Controinformazione

Dai giornali gli articoli i controinformazione

Genova: Collasso Energetico Festival delle Energie

Genova: Collasso Energetico Festival delle Energie

di Redazione ([email protected])

29/04/2008

Dal 10 al 25 maggio a Genova nel centro cittadino

 
Con un team organizzativo tutto al femminile si svolge a Genova “Collasso Energetico”, grande manifestazione che tratta, attraverso differenti linguaggi, il tema dell'emergenza energetica del pianeta terra. Organizzato e promosso da Teatro Cargo di Genova, su progetto di Laura Sicignano e Alessandra Vannucci, “Collasso Energetico” presenta spettacoli teatrali, numerosi eventi e performances, laboratori, visite ecologiche della città e molte conferenze condotte da illustri relatori.
La manifestazione si svolge nel centro cittadino, tra Palazzo Tursi e Palazzo Ducale, la Civica Biblioteca Berio, Castello D'Albertis e Porto Antico, con eventi nelle piazze Matteotti e San Lorenzo. Nel corso della manifestazione sono proposti alcuni appuntamenti nel ponente genovese, a Teatro Cargo e presso il Muvita Science Center di Arenzano. Ad apertura della manifestazione sabato 10 maggio alle 21,30 in piazza De Ferrari è in programma l'energetica esibizione dei Vulcanica, percussionisti che con passione e divertimento fanno musica suonando di tutto, dai bidoni ai cerchioni e latte di ogni dimensione.
Tra gli spettacoli teatrali “Ecologia, follia e dintorni” di e con Jacopo Fo, analizza le modalità con cui gli uomini hanno portato il pianeta sull'orlo del collasso, chiedendo se l'intervento dei comici possa contribuire a salvarne le sorti. “Del buio e della luce” è il titolo della conferenza scenica di e con Mario Tozzi, spettacolo-evento con racconti attorno all'energia che verrà.
Tra gli eventi spettacolari presentati nella manifestazione “Nomadizziamoci” con Syusy Blady. Nel cortile di Palazzo Ducale viene montata una yurta, tenda mongola, prototipo abitativo del passato e del futuro: gli spettatori, invitati a entrare dall'artista, comodamente seduti tra tappeti e cuscini, assistono all'affascinante racconto della vita ecologicamente compatibile dei nomadi della Mongolia. A Castello D'Albertis un gruppo di Indios dell'Amazzonia costruisce la maloca, tipica capanna brasiliana, raccontando la propria piccola e preziosa civiltà, data già per estinta ma che invece è sopravvissuta grazie ad un accorto uso delle risorse energetiche a disposizione. In Piazza Matteotti visita alla casa ecologica, eco-abitazione a basso consumo alimentata solo con energie alternative, all'interno della quale vivono alcuni operatori che illustrano come sia possibile ricorrere a fonti energetiche alternative e pulite, senza ridurre il confort abitativo.
Il tema della situazione energetica internazionale è trattato nell'ambito di 8 tavole rotonde, conferenze-aperitivo animate da illustri relatori tra i quali il premio Nobel Dario Fo, il metereologo Luca Lombroso, Roberto Danovaro, membro del comitato scientifico del WWF, il geologo e ricercatore del CNR Mario Tozzi, gli scrittori Alessandro Hellmann e Mark Lynas ed i giornalisti Giulietto Chiesa e Patrizio Roversi,
A corollario della manifestazione, visite ecologiche guidate nel centro storico della città, il più grande centro storico d'Europa, stand di libri e riviste sull'argomento ed info point con distribuzione di materiale informativo.
Due le mostre artistiche, “Sete d'Etiopia” a Palazzo Ducale, a cura della Fondazione Butterfly onlus, presenta 41 suggestive foto in bianco e nero di Fabrizio Jelmini, “Nuova scienza: una prospettiva artistica”, di Laulima, coniuga al BerioCaffè arte e scienza. Previste anche giornate a tema sia per imparare a risparmiare energia, spendendo meno in casa, e promuovendo una mobilità sostenibile in città, mentre venerdì 16 s'impara con patrizio Roversi a risparmiare in barca, compiendo su un battello il giro del porto genovese. Divertimento assicurato ed ecologicamente corretto per grandi e piccini anche attraverso feste e giochi, dalla caccia al tesoro ecologica ai passatempi on line.
 
IL Festval delle energie è realizzato con contributo di: Regione Liguria, Comune di Arenzano, Elsag Datamat, Villa Montallegro, Amiu, Iride, Sogea, Qui Ticket Service, Finstral. In collaborazione e con patrocinio di: Comune di Genova
Con patrocinio di: ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Provincia di Genova
Partners: Arpal, Cnr, Legambiente, WWF, IRECon Italia, Associazione Albergatori Genova, Amt Genova, Camera di Commercio Genova, BerioCafè, Bottega Equosolidale, Fnac, Enea, Itinera, Coordinamento Ligure Donne Latinoamericane, Liguria Business Journal, Sostenibili, Kyoto Club, Butterfly onlus, Laulima.
Gli organizzatori ringraziano: Confindustria, IIC, Soslog, Consorzio Liguria Via Mare, Voci della Terra, Coop Solidarietà e Lavoro, Survival, Qualità Italia.
Info: tel. 010.694240
www.teatrocargo.it

Argomento: 

Va tutto molto bene. Di Marco Travaglio

Ora d'aria
l'Unità, 27 aprile 2008
Spiaceva quasi, l’altroieri, sentire l’intera piazza San Carlo che sfanculava ogni dieci minuti Johnny Raiotta, il direttore del Tg1 che fa rimpiangere Mimun. Troppi vaffa per un solo ometto. Poi però uno rincasava, cercava il servizio del Tg1 di mezza sera su una manifestazione criticabilissima come tutte, ma imponente, che in un giorno ha raccolto 500mila firme per tre referendum. Invece, sorpresa (si fa per dire): nessun servizio, nessuna notizia, nemmeno una parola.

Molti e giusti servizi sul 25 aprile dei politici, sulle elezioni a Roma, sul caro-prezzi, sul ragazzino annegato, poi largo spazio alle due vere notizie del giorno: le torte in faccia al direttore del New York Times e la mostra riminese su Romolo e Remo (anzi, per dirla col novello premier, Remolo). Seguiva un pallosissimo Tv7 con lo stesso Raiotta, Tremonti, la Bonino e Mieli che discutevano per ore e ore di nonsisabenechecosa. Raiotta indossava eccezionalmente una giacca, forse per riguardo verso il direttore del Corriere. Questo sì che è servizio pubblico. Così, nel tentativo maldestro di contrastare - oscurandolo - il V-Day sull’informazione, Johnny Raiotta del Kansas City ne confermava e rafforzava le ragioni.

E anche i giornali di ieri facevano a gara nel dimostrare che Grillo, anche quando esagera, non esagera mai abbastanza. Il Giornale della ditta, giustamente allarmato dal referendum per cancellare la legge Gasparri, sguinzaglia per il terzo giorno consecutivo un piccolo sicario con le mèches in una strepitosa inchiesta a puntate: “La vera vita di Grillo”. Finora il segugio ossigenato ha scoperto, nell’ordine, che Grillo: da giovane andava a letto con ragazze; alcuni suoi amici, invidiosi, parlano male di lui; la sua villa a Genova consuma energia elettrica; ha avuto un tragico incidente stradale; è genovese e dunque tirchio (fosse nato ad Ankara, fumerebbe come un turco); nel suo orto ha sistemato una melanzana di plastica; ha avuto un figlio “nato purtroppo con dei problemi motori” (il giornalista è un cultore della privacy); e, quando fa spettacoli a pagamento, pretende addirittura di essere pagato. Insomma, un delinquente. E siamo solo alla terza puntata: chissà quali altri delitti il Pulitzer arcoriano - già difensore di Craxi, Berlusconi, Dell’Utri e Mangano - scoprirà a carico di Grillo.

Nell’attesa, il Giornale ha mandato al V2-Day un inviato di punta, Tony Damascelli. Il quale, mentre il Cainano riceve il camerata Ciarrapico, paragona Grillo a Mussolini chiamandolo Benito e poi si duole perché piazza San Carlo ha applaudito a lungo Montanelli (fondatore del Giornale quand’era una cosa seria) e Biagi, definito graziosamente “il grande disoccupato”. La scelta di inviare Damascelli non è casuale, trattandosi di un giornalista sospeso dall’Ordine dei Giornalisti perché spiava un collega del suo stesso quotidiano, Franco Ordine, spifferando in anteprima quel che scriveva all’amico Moggi. Siccome l’Ordine non è una cosa seria, lo spione non fu cacciato, ma solo sospeso per 4 mesi. E siccome Il Giornale non è (più) una cosa seria, anziché licenziarlo l’ha spostato in cronaca. E l’ha mandato al V-Day che aveva di mira, fra l’altro, l’Ordine dei Giornalisti. Geniale.

Il Foglio, per dimostrare l’ottima salute di cui gode l’informazione, pubblicava proprio ieri un articolo di Roberto Ciuni, ex P2. Ma, oltre ai giornalisti-cimice, abbiamo pure i giornalisti-medium. Quelli che non han bisogno di assistere a un fatto per raccontarlo: prescindono dal fattore spazio-temporale. Il Riformista, alla vigilia del V-Day, già sapeva che sarebbe stata una manifestazione terroristica, “con minacce in stile Br ai giornalisti servi” (“Le Grillate rosse”). Ecco chi erano i 100 mila in piazza San Carlo: brigatisti. Francesco Merlo se ne sta addirittura a Parigi: di lì, armato di un telescopio potentissimo, riesce a vedere e a spiegare agli italiani quel che accade in Italia. Ieri ha scritto su Repubblica che “in Italia c’è sovrapproduzione di informazione” (testuale): ce ne vorrebbe un po’ meno, ecco.

Quanto a Grillo, è “in crisi” (2 milioni di persone in 45 piazze) e “non riesce a far ridere” (strano: ridevano tutti). Poi, citando Alberoni (mica uno qualsiasi: Alberoni), ha sostenuto che “in piazza c’erano umori che non s’identificano con Grillo”. Ecco, Merlo è così bravo che, appollaiato tra Montmartre e gli Champs Elysées, riesce a penetrare la mente e gli umori dei cittadini in piazza a Torino, Milano, Bologna, Roma. E spiega loro che cosa effettivamente pensano. Più che un giornalista, un paragnosta. Finchè potrà contare su fenomeni così, l’informazione in Italia è salva. Di che si lamentano, allora, Grillo e gli italiani?

 
L' intervento di Marco Travaglio in piazza San Carlo: prima parte - seconda parte - terza parte

Argomento: 

Deterring democracy in Italy intervista a Chomsky

 
Intervista a Noam Chomsky
Un caso chiave di controllo del pensiero :"Deterring democracy in Italy"
Noam Chomsky, intervistato da Domenico Pacitti, dice che le accuse a Silvio Berlusconi sono banali in confronto a quanto accade negli Stati Uniti e spiega che l’Italia è stata l’obiettivo principale degli sforzi Usa per sabotare la democrazia fin dalla Seconda Guerra Mondiale. Chomsky suggerisce come via da seguire le proteste organizzate a livello internazionale. Questa intervista è stata realizzata telefonicamente da Roma mentre il professor Chomsky si trovava nella sua casa nel Massachusetts, subito dopo le elezioni politiche italiane. Viene pubblicata da terrelibere per la prima volta.
di Domenico Pacitti
Title: Deterring democracy in Italy
Pacitti: Silvio Berlusconi, plurimiliardario magnate dei media, ha vinto le elezioni italiane nonostante sia in balia delle accuse criminali e del conflitto tra affari ed interessi politici. Sembra che gli italiani siano meno interessati alla questione morale e più interessati a quello che Berlusconi possa fare per loro.
Chomsky: Perché pensa che la situazione sia diversa in Gran Bretagna e negli Stati Uniti?
Pacitti: È questo che spero che ci spieghi.
Chomsky: La risposta è che non è diverso.
Pacitti: Può elaborare il concetto?
Chomsky: Alcuni mesi fa qui c’è stata un'elezione. Ora, io non so in Italia, ma qui la popolazione è "sondata" estensivamente, in modo massiccio, cosicché noi abbiamo una conoscenza abbastanza buona degli atteggiamenti pubblici. C'è, infatti, ad Harvard un progetto chiamato "L’Elettore che Svanisce", che mi sembra molto significativo. Si occupa di analizzare nei dettagli i risultati elettorali per tentare di determinare perché gli elettori stanno perdendo interesse nelle elezioni da venti anni a questa parte. Una delle cose che viene misurata è il senso di "helplessness", di impotenza cioè, ovvero si percepisce sempre di più che non è possibile fare niente che agisca sul processo politico. Il senso di impotenza ha colpito pesantemente quest’anno, ben oltre ogni precedente. Di fronte all'elezione approssimativamente il 75% della popolazione ha percepito che non c'era alcuna competizione, che era solo una sorta di gioco tra sottoscrittori ricchi, "boss" di partito ed i media. L’industria delle relazioni pubbliche, della pubblicità, ha creato i candidati, addestrandoli ad usare certi gesti e determinate parole che i ricercatori di marketing indicavano come utili ai fini elettorali.Alla fine nessuno diceva ciò che pensava, nessuno capiva e molti pensavano che si trattasse di qualcosa privo di senso, solo una specie di gioco di marketing, di pubbliche relazioni.
Pacitti: E pensa che ciò che sta accadendo in Italia sia simile?
Chomsky: Posso dire che è molto simile, ma io non conosco l’Italia come gli Stati Uniti. Questa è una tendenza che partì dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna e che risale alla prima parte del secolo. Era naturale che dovesse nascere nei paesi più democratici. Negli anni ‘20 qui si capì subito – negli altri paesi più tardi – che non era più possibile controllare la gente con la forza.I paesi stavano diventando più democratici. Il diritto di voto si stava estendendo. Il Partito Conservatore britannico - abbiamo i loro verbali interni – all’epoca della Prima Guerra Mondiale comprese che non c’era più alcun modo di tenere la generalità della popolazione fuori del sistema elettorale. Compresero che si andava verso il suffragio universale e che dovevano perciò rivolgersi a quello che chiamarono "guerra politica". Sono chiamate pubbliche relazioni, ma significa propaganda, cioè il tentativo di controllare gli atteggiamenti delle persone ed i loro pensieri dirigendoli verso altre preoccupazioni.Non potendo controllare il popolo con la mera forza, lo si tiene comunque fuori dall’"arena politica". Lo stesso veniva fatto negli Stati Uniti. Infatti, si registrava una crescita enorme dell’industria delle pubbliche relazioni. Nelle società più avanzate, più democratiche, c’è da credere che appena una società ottiene più libertà, la propaganda sostituisce la violenza come mezzo di controllo del popolo.
Pacitti: Berlusconi è stato imputato in una serie di processi penali in cui è stato condannato. Ma a causa della legge italiana sulla caduta in prescrizione dei reati, in effetti nessuna di queste sentenze è stata applicata. Un recente libro elenca quattordici imputazioni contro Berlusconi. Nell'ultimo decennio ha collezionato pene detentive per un totale di sei anni e cinque mesi per corruzione, finanziamento illegale e falso in bilancio.
Chomsky: Per gli standard Usa si tratta di banalità.
Pacitti: Nel 1990, Berlusconi fu condannato per spergiuro dopo aver negato la sua appartenenza alla loggia Massonica P2, una organizzazione anti-comunista che ha usato i servizi segreti per fini politici.La condanna di Berlusconi fu annullata da un'amnistia generale. Il sostegno degli Stati Uniti alla P2 sembrerebbe confermare quello che lei sta dicendo.
Chomsky: Precisamente. L'Italia, come sappiamo, è stata il principale obiettivo degli Stati Uniti fin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Lo scopo era quello di minare la democrazia in Italia.Negli anni ’40, c'era la grande paura che la Sinistra vincesse un’elezione democratica. In particolare, nel 1948 la Sinistra aveva un grande prestigio. Voglio dire che aver sostenuto la resistenza contro il Fascismo era un fatto molto importante in quel periodo, così come supportare i sindacati. Proprio mentre la Sinistra si apprestava a vincere le elezioni, gli Usa iniziarono a cospirare. Non so se a lei è noto, ma il primo piano del Consiglio di Sicurezza Nazionale [NSC1, si veda in proposito il memorandum in "Storia del Consiglio di Sicurezza Nazionale 1947-1997": www.fas.org/irp/offdocs/NSChistory.htm ] riguarda l’obiettivo di minare la democrazia in Italia. Questo era il problema dell’epoca. E conclusero che potevano minare il processo democratico ricorrendo all’arma degli aiuti alimentari – e non credo che ci sia bisogno di ricordarle che in quel periodo c’era molta gente letteralmente affamata – alla reintegrazione della polizia fascista (cosa che fu effettivamente fatta) e ad altre cose del genere tra le quali il sabotaggio dei sindacati. Se tutto questo non fosse stato sufficiente e la Sinistra nonostante tutto avesse vinto, gli Stati Uniti avrebbero tentato la carta di una "mobilitazione nazionale", appoggiando nel contempo una serie di attività paramilitari contro il governo. La politica del Consiglio di Sicurezza Nazionale prevalse, e continuò fino agli anni settanta e forse oltre. Voglio dire che le nostre conoscenze arrivano solamente fino agli anni settanta perché lì i documenti si fermano. Il sostegno alla P2 va inserito in questo contesto. In altre parole, lo sforzo di minare la democrazia italiana ha radici antiche. A confronto, Berlusconi non sta organizzando attività militari per rovesciare il governo. Ciò che accade oggi non è corretto, ma non è grave quanto quello che è accaduto in passato. Ed è lo stesso qui. A Clinton non è accaduto di avere molti processi per corruzione. Ma guardiamo il "curriculum" di Reagan e di alcuni esponenti della sua amministrazione [1981-89].
Pacitti: C'è più di un sospetto qui in Italia che Berlusconi abbia avuto un sostegno dalla Mafia siciliana alle elezioni nazionali.
Chomsky: Sì, ma da dove venne la Mafia siciliana? Non nacque dal nulla. La Mafia, come lei sa, era stata distrutta da Mussolini. E come fu ricostituita la Mafia? Fu ricostituita quando gli eserciti americani e britannici sbarcarono prima in Sicilia e poi in Italia meridionale; e la stessa cosa accadde in Francia meridionale e la criminalità fu ricostituita come un’"agenzia" per minare la resistenza e minare la Sinistra.
Pacitti: Quindi, lei ha esaminato nei dettagli la vicenda italiana?
Chomsky: Non ho fatto ricerche originali ma ho valutato la vicenda comparando diverse fonti. Quindi, per esempio, nel mio libro Deterring Democracy uno dei capitoli [capitolo 11: la Democrazia nelle Società Industriali], contiene dei riferimenti al principale progetto statunitense e britannico dopo la Seconda Guerra Mondiale: minare la resistenza contro il Fascismo e ripristinare il tradizionale sistema politico. C’è un riferimento all’Italia, che viene approfondito in un altro libro successivo, che si avvale di rivelazioni ulteriori. E sull’argomento c'è un libro molto buono che ho recensito da qualche parte [World Orders, Old and New, Londra, 1997]. Uno storico italiano [Federico Romero, The United States and the European Trade Union Movement 1944-1951, Nord Carolina, 1989-1992] giudica addirittura positivamente il fatto che gli alleati abbiano disarmato la resistenza e riportato il "Comitato di Liberazione Nazionale" all’ordine, perché i "liberi movimenti politici e sociali da sempre ispiravano diffidenza agli Alleati" in quanto "difficili da controllare". Romero descrive gli sforzi degli inglesi e degli americani finalizzati a minare i gruppi operai e la resistenza contro Fascismo in Italia settentrionale. Nonostante il giudizio positivo, la descrizione è di grande interesse in quanto molto accurata.
Pacitti: E la base per questo processo fu posta subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, giusto?
Chomsky: Sì, e non solo per l'Italia. È stato un fenomeno mondiale. Lo stesso è avvenuto in Giappone. Uno studio notevole è appena stato pubblicato – ha vinto il premio Pulitzer [Hirohito and the Making of Modern Japan di Herbert P. Bix] - su come gli Stati Uniti riabilitarono l’Imperatore Hirohito dopo la Seconda Guerra Mondiale come parte dello sforzo complessivo di sostenere il Fascismo e minare la Sinistra. È stato un fenomeno mondiale.
Pacitti: Dunque, i casi italiani di corruzione risultano assai meno gravi della casistica americana?
Chomsky: Menzionerò solo un altro esempio per convincerla. In Francia, proprio accanto l’Italia, ci fu una grande resistenza anti-fascista e forti movimenti operai. Il sud della Francia fu colpito con intensità seconda solamente al caso italiano. L’obiettivo era sempre il sabotaggio della Sinistra e dei sindacati. Così fu restaurata la Mafia corsa in Francia meridionale e quella è stata la fonte del traffico di eroina nel mondo. Per ripagarli dei "servizi politici" gli americani consegnarono ai corsi il monopolio della produzione di eroina. E con questo siamo alla "French connection", giusto? Così nacque il problema della droga nel dopoguerra. Queste sono cose importanti. Basta dare un’occhiata al "NSC1" che ho citato prima, il primo memorandum del "Consiglio di Sicurezza Nazionale", così cruciale nel contesto, richiedeva se necessario, come dicevo, la coercizione. Diciamo in prima istanza il ricatto del cibo e - se non bastasse - il sabotaggio delle elezioni. Gli Stati Uniti avrebbero dovuto sobillare una "mobilitazione nazionale", e quindi preparare la guerra e sostenere le attività paramilitari interne italiane.
Pacitti: Da quello che lei sta dicendo deriva che Berlusconi sarebbe stato appoggiato fin dall’inizio dalla Mafia, che a sua volta è stata spalleggiata dagli Stati Uniti.
Chomsky: Sì, gli Stati Uniti avevano restaurato la Mafia, che in precedenza era stata distrutta.
Pacitti: Quindi in Italia stiamo vedendo solo "metà della storia". Posso chiederle qualcosa di più sul caso Berlusconi? So che non le piace dare consigli e senza dubbio non me ne darà alcuno. Ma molta gente radicale in Italia sta chiedendosi cosa fare. C’è chi ha iniziato a scrivere libri che raccolgono i casi di corruzione e di ingiustizia, dalla Mafia a Berlusconi fino ai casi socialmente accettati di corruzione accademica. So che lei ha posto il problema all'interno di un contesto più largo, globale, ma c'è qualche cos’altro che noi potremmo e dovremmo fare stando qui e che non stiamo facendo e che va oltre un contesto italiano?
Chomsky: La risposta a queste domande è la stessa, al di là di quale sia il caso specifico. Non ci sono segreti che non siano stati scoperti negli ultimi duemila anni. Nello specifico italiano, tra "Mafia connections", criminalità e così via i fatti dovrebbero essere sufficientemente conosciuti. Ma la domanda è un’altra: a chi importa realmente? Per quanto posso capire, il vero problema è che in Italia la gente grosso modo sa, magari non i dettagli, ma effettivamente non gliene importa.
Pacitti: E perché pensa che non ci sia interesse e coinvolgimento?
Chomsky: Il popolo subisce una pressione tremenda, non solo in Italia ma in tutto il mondo. Il tentativo è quello di rimuovere la popolazione dall’arena politica. Questo viene chiamato neo-liberismo, un modello che ha il suo zoccolo duro in Gran Bretagna e negli Stati Uniti - di nuovo i paesi più avanzati - ma che si espande ovunque, col risultato di invertire quello che accadde negli anni sessanta. Quello che accadde negli anni sessanta aveva terrorizzato le élite internazionali. Questo emerge in modo netto, e forse nel modo più netto, in The Crisis of Democracy, il più sorprendente documento sull’argomento.
Pacitti: Fu pubblicato nel 1975 ed era il primo studio della Commissione Trilaterale fondata da David Rockefeller. Giusto?
Chomsky: Sì. La Commissione era una élite, una élite internazionale liberista, da Europa, Stati Uniti e Giappone. Ed era formata prevalentemente da persone dell’amministrazione Carter, che erano quasi interamente "liberal" nel senso americano del termine, cioè socialdemocratici ed internazionalisti. Tutta questa gente era profondamente turbata da quanto accadeva in tutto il mondo negli anni sessanta. Ciò che li turbava maggiormente era la crescita della democrazia, cioè la parte della popolazione – le donne, i lavoratori, le minoranze, gli anziani – solitamente apatica e passiva che entrava nell’arena politica e tentava di imporre le proprie richieste. Stavano entrando in un territorio proibito. Iniziarono a pensare che il sistema politico fosse nelle mani delle tirannie private, di poteri privati, e stavano cominciando ad erodere proprio questi poteri. Quella è la crisi della democrazia secondo la "Trilateral". Affermarono dunque che troppa democrazia non va bene, occorre più moderazione, era necessario riportare la gente all’apatia ed alla passività. Affermarono di essere turbati e richiamarono le istituzioni responsabili dell’indottrinamento – termine loro, non mio – dei giovani. Si riferivano alle scuole, ai funzionari, ai media, alle chiese che anziché indottrinare stavano diventando troppo indipendenti e "pensanti", troppo attivi. Avrebbero dovuto agire per invertire appunto "la crisi della democrazia". Ci sono stati da allora sforzi notevoli per riportare le persone alla marginalità, e questo tentativo assume molte forme. Una forma è la "minimizzazione" dello Stato in chiave neoliberista. Sottrarre le decisioni all’arena pubblica per portarle in mani private è un’altra forma di privatizzazione. Un'altra forma è la centralizzazione delle autorità finanziarie. La Banca Centrale Europea ha autorità enorme e non è responsabile di fronte al parlamento. Ancora più importante è la liberalizzazione della finanza a partire dagli anni ‘70, smantellando il sistema Bretton Woods. Questo crea ciò che gli economisti chiamano un parlamento virtuale, che deve dare retta agli investitori, altrimenti loro possono distruggere l'economia. Ciò restringe enormemente il raggio d’azione dei governi. Ma ci sono anche dei gruppi di potere estremamente importanti che hanno in comune un accordo sostanziale sulla necessità della commercializzazione dei servizi. L’idea dominante è quella di privatizzare i servizi, cioè tutto quello che lo Stato può garantire – istruzione, sanità, ecc. Liberalizzando si aprono i servizi alla competizione privata, e questo significa trasferirne il controllo ai privati.
Pacitti: È precisamente quello che Berlusconi ha in mente.
Chomsky: Precisamente. Ma è solo una componente di un processo mondiale, dovuta ai problemi che comporta la crescita del processo democratico. Si sta concretizzando ovunque come un tentativo di erodere la Sinistra. Non è più possibile in Occidente controllare il popolo con la violenza. Non lo puoi semplicemente sbattere in una stanza delle torture. Occorrono altri mezzi. Uno di questi è la propaganda. Un altro è un consumismo parossistico, che cerca di condurre la gente verso consumi sempre più massicci. Negli Stati Uniti l’economia ha sofferto a causa delle politiche neoliberiste, come è stato il caso in tutto il mondo, tale economia essendo sostenuta in notevole misura dallo spendere dei consumatori. Il debito delle famiglie supera il reddito. E questo viene giudicato positivamente, perché intrappola la gente nel debito. Così hai solo da lavorare duramente e non pensare. Così fin dall’infanzia i bambini sono inondati di messaggi che dicono: compra, compra, compra e così via. Lo stesso avviene a livello internazionale. Il Terzo Mondo è intrappolato nel debito imposto dall’immensa propaganda del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Sono congegni finalizzati a controllare le popolazioni e ad assicurare il potere alle tirannie locali. Questo è quello che avviene nell’era della libertà.
Pacitti: Pensa che l'unica cosa da fare qui in Italia sia tentare di svelare tutto questo?
Chomsky: Occorre provare a spiegare alla gente cosa accade. Non è una questione di piccole corruzioni qui o lì. Questi sono fatti marginali. Le persone hanno ragione a non essere preoccupate di questo. Questo è corrotto, quello è corrotto. E allora? Ciò che è veramente importante sono i metodi profondi e sistematici di controllo della popolazione. Uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, Alexander Hamilton, descriveva il popolo come una grande bestia che deve essere controllata. Come la mise il maggior compilatore della Costituzione, James Madison, i ricchi della nazione devono controllare ciò che accade.
Pacitti: E pensa che noi dovremmo raccontare la verità continuando a scrivere libri ed articoli?
Chomsky: Noi dobbiamo organizzare; dobbiamo organizzare le persone. Non servono i libri se sono letti solo da alcuni accademici. Le cose cambiano se essi riescono a raggiungere il grande pubblico e diventano così parte degli sforzi organizzativi; per esempio, quegli sforzi che sono riusciti finalmente a creare azioni di protesta a livello internazionale. E ciò emerge dalla organizzazione di massa. Non è sufficiente scrivere libri. Gli obiettivi della privatizzazione sono ovvi e non saranno fermati scrivendo libri. Saranno fermati da una resistenza unita su basi internazionali. Questa è la via per fermare il neoliberismo.
Pacitti: Lei è d’accordo che valga la pena scrivere sulla parte italiana del quadro per chiarirlo?
Chomsky: Ne vale la pena se tale scrivere è parte di uno sforzo organizzativo. Se si scrive qualcosa per lettori accademici che leggono in una biblioteca, va bene. Ma scrivere serve davvero soltanto se qualcuno lo trasforma in azione. Ma la cosa essenziale è che le parole siano usate. Voglio dire, è come quando si fa scienza. Possiamo usarla per aumentare la comprensione e la ricerca, oppure in modo tale da beneficiare il popolo? Se è così, va bene.
Pacitti: Molte grazie. Sono sicuro che i nostri lettori troveranno i suoi commenti, come sempre, illuminanti e stimolanti.
L'intervista è del 2 febbraio 2002
http://www.unamanolavalaltra.it/LiberaMente/Chomsky/Chomsky-DemocraziaIt...
By una donna at 2008-04-20 10:08
 
 

Argomento: 

TV: EUROPA7, IL COMMISSARIO KROES CONFERMA LE VIOLAZIONI - 18/4/08

TV: EUROPA7, IL COMMISSARIO KROES CONFERMA LE VIOLAZIONI - 18/4/08

Dichiarazione di Giulietto Chiesa
In merito alla risposta della Commissaria Neelie Kroes all'interrogazione dei deputati Agnoletto, Aita, Berlinguer, Catania, Chiesa, Fava, Frassoni, Guidoni, Morgantini, Musacchio, Napoletano
Bruxelles, 18 aprile 2008
Al di là dell'arduo linguaggio burocratico, si capisce che la commissaria europea conferma:
a) che l'Italia viola la legislazione europea sulla materia che disciplina la radiodiffusione televisiva.
b) che il Consiglio di Stato Italiano "dovrà applicare il diritto comunitario" alle direttive della Corte di Giustizia Europea. Cioè non ci sono altre vie da esperire che quella di applicare la legge.
Qui va solo aggiunto che non solo Centro Europa 7 ha diritto al risarcimento del danno fino a qui subito, a causa delle suddette violazioni, ma continua vieppiù ad avere diritto di usare le frequenze che gli sono state fraudolentemente sottratte, dopo essergli state regolarmente assegnate.
c) che la Commissione ha notificato all'Italia, nel luglio del 2007, un parere motivato che conferma la procedura d'infrazione avviata nel 2006 e ha "intrapreso un'azione per porre termine alle violazioni e controllerà che la decisione della Corte di Giustizia sia pienamente applicata dall'Italia".
Plaudo alla commissaria Neelie Kroes e all'Europa dei diritti dei cittadini che si fa sentire. Il prossimo governo italiano sarà guidato da un premier che, personalmente, è all'origine di gravi violazioni delle norme europee, che investono il diritto dei cittadini a una informazione libera e pluralistica. Proprietario di una rete che non gli spetta e che non vuole cedere .
Vedremo ora con quali trucchi si cercherà di mascherare ulteriori violazioni del diritto comunitario.
Giulietto Chiesa
Parlamentare europeo

 
*********************
INTERROGAZIONE SCRITTA E-0744/08
di Giusto Catania (GUE/NGL), Roberto Musacchio (GUE/NGL), Umberto Guidoni (GUE/NGL), Claudio Fava (PSE), Monica Frassoni (Verts/ALE), Giovanni Berlinguer (PSE), Pasqualina Napoletano (PSE), Vittorio Agnoletto (GUE/NGL), Vincenzo Aita (GUE/NGL), Luisa Morgantini (GUE/NGL) e Giulietto Chiesa (PSE)
alla Commissione
Oggetto: Sistema di assegnazione delle frequenze radiotelevisive in Italia- Sentenza della Corte di giustizia
Con la recente sentenza della Corte di giustizia dell'UE (C-380/05) sulla disputa dell'assegnazione delle frequenze fra l'emittente italiana Europa 7 e Rete 4, il sistema d'assegnazione delle frequenze radiotelevisive in Italia viene definito come contrario al diritto comunitario.
Secondo la Corte, il regime italiano non rispetta "il principio di libera prestazione di servizi e non segue criteri di selezione obiettivi e trasparenti". La Corte europea dà ragione all'emittente Europa 7 che aveva ottenuto un'autorizzazione a trasmettere a livello nazionale in tecnica analogica, ma non è mai stata in grado di trasmettere perché non sono mai state assegnate le radiofrequenze.
Alla luce del pronunciamento della Corte di giustizia:
Come intende agire la Commissione europea per porre termine alle violazioni riscontrate dalla Corte e fare rispettare il diritto comunitario?
 
 
*********************
RISPOSTA DI NEELIE KROES A NOME DELLA COMMISSIONE
Bruxelles, 15 aprile 2007
La sentenza della Corte di giustizia nella causa C-380/05 faceva seguito a una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell'articolo 234 TCE, con cui il giudice nazionale del rinvio, il Consiglio di Stato italiano, poneva una serie di quesiti riguardo alla compatibilità con il diritto comunitario della normativa nazionale che disciplina il settore della radiodiffusione televisiva su frequenze terrestri e, in particolare, del regime transitorio in favore delle reti esistenti.
Il Consiglio di Stato dovrà applicare l'interpretazione del diritto comunitario fornita dalla Corte di giustizia sui fatti della controversia in questione, che riguardano una richiesta di risarcimento del danno che la Centro Europa 7 sostiene di aver sofferto per il fatto che non le sono state assegnate, dai convenuti nella causa principale, le radiofrequenze terrestri in tecnica analogica necessarie per svolgere l'attività di diffusione di programmi radiotelevisivi.
Per quanto concerne la violazione delle direttive relative al nuovo quadro normativo per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (1), la Commissione ha avviato nel luglio 2006 una procedura di infrazione contro l'Italia ai sensi dell'articolo 226 TCE, relativamente alla legislazione italiana che disciplina il passaggio dalla tecnica di trasmissione terrestre analogica a quella digitale(2). La Commissione ha portato avanti la procedura di infrazione notificando all'Italia, nel luglio 2007, un parere motivato ai sensi dell'articolo 226 TCE.
Pertanto, occupandosi delle disposizioni nazionali sopra citate nel contesto della procedura di infrazione ai sensi dell'articolo 226 TCE, la Commissione ha già intrapreso un'azione per porre termine alle violazioni e controllerà che la decisione della Corte di giustizia sia pienamente applicata dall'Italia.
Note:
(1) Direttiva 2002/21/CE (direttiva quadro), GU L 108 del 24.4. 2002, direttiva 2002/20/CE (direttiva autorizzazioni), GU L 108 del 24.4.2002, e direttiva 2002/77/CE della Commissione (direttiva concorrenza), GU L 249 del 17.9.2002.
(2) Legge n. 66/01, legge n. 112/04 ("legge Gasparri"), decreto legislativo 177/05 ("il testo unico") e delibera AGCOM 435/01/CONS (”il regolamento”).
 
 

  

Argomento: 

Elezioni, in libreria vince l'antipolitica

 

A parte Tremonti, in testa nella saggistica, e la Santanchè, con le donne islamiche, stavolta i candidati hanno evitato gli sforzi letterari

Elezioni, in libreria vince l'antipolitica

Travaglio ha già sfornato un testo-denuncia sui prossimi parlamentari. In evidenza anche i temi del Nord e l’aborto

 Loro ci provano, ma in libreria è forse ancora più difficile che nell'urna. Parliamo dei politici-scrittori, che le altre volte, a ridosso delle scadenze elettorali, si scatenavano in autobiografie, biografie più o meno compiacenti e saggi sulla loro visione del mondo. Stavolta, complice anche l'interruzione anticipata della legislatura, sono stati tutti molto più... riservati: fanno eccezione Giulio Tremonti, che col suo titolo vagamente pontificale - "La paura e la speranza" (Mondadori, € 16) - e una visione così pessimistica della globalizzazione che forse piacerebbe persino a Luca Casarini, ha addirittura conquistato la vetta della saggistica e il sesto posto assoluto nella classifica generale dei libri più venduti; e anche Daniela Santanchè, che in "Le donne violate" (Marsilio, € 17.50) denuncia la drammatica condizione delle donne islamiche in Italia; mentre l'inaffondabile Giulio Andreotti in "2000" (Rizzoli, € 17) proietta il suo diario ormai sessantennale nel terzo millennio.
Per il resto prevalgono i libri "sulla" politica, o meglio ancora sull'antipolitica. Come il nuovo Travaglio, che ancora in tandem con Peter Gomez, e battendo tutti sul tempo, è andato a sfrucugliare nelle fedine penali dei candidati a rischio elezione, il prossimo 13 aprile, e nelle notizie di archivio che li riguardano, mettendo in fila una lunga lista di "raccomandati, riciclati, condannati, imputati, ignoranti, voltagabbana, fannulloni del nuovo parlamento", intitolata "Se li conosci li eviti" (Chiarelettere, € 14.60). Alla stessa categoria (e allo stesso editore) appartiene "Sparlamento" (€ 12.60), in cui il cronista parlamentare Carmelo Lopapa (dopo la prefazione di Dario Fo e Franca Rame) racconta invece di "Teofurbi, affaristi, trasformisti, massoni, famigli".Più ampio (e persino più scoraggiante) il panorama descritto da Elio Veltri e Francesco Paola in "Il governo dei conflitti" (Tea, € 8.60), il cui titolo - leggibile nei due sensi - accenna all'insopportabile groviglio di interessi fra loro in conflitto che fa dell'Italia a tutti i suoi livelli (dalla sanità al calcio, dall'informazione alla finanza, oltre naturalmente alla politica) il paese più ingessato (e forse anche più ingiusto) dell'Occidente.
Come al solito di vasto respiro e solido spessore è la visione che guida Giovanni Sartori in "La democrazia in trenta lezioni", curato per Mondadori (€ 12) dalla giornalista televisiva Lorenza Foschini: fondamentali le domande a cui il politologo risponde con l'abituale rigore e limpidezza: cosa vuol dire esattamente democrazia? Quali sono le condizioniche la rendono possibile? Si può espostare? E qual è il suo futuro?
Fra i temi che stanno invece animando la campagna elettorale c'è da registrare il vivace dibattito sulla questione settentrionale, suscitato in primis dal libro di Riccardo Illy "Così perdiamo il Nord" (Mondadori, € 14.50), ma anche da "Nord, terra ostile", ovvero "perchè la sinistra non vince", pubblicato da Marco Alfieri per Marsilio (€ 11) e da "Nord. Dal triangolo industriale alla megalopoli padana", scritto da Giuseppe Berta per Mondadori (€ 18).
Un altro tema forte, infine, che ha tenuto banco soprattutto nelle prime settimane di campagna elettorale, è stato quello dell'aborto, sollevato da Giuliano Ferrara, a cui ha risposto con un libro breve ma molto intenso Adriano Sofri:"Contro Giuliano" (Sellerio, € 10), scritto di getto sull'onda della passione etica e civile, affronta - con l'amicizia che unisce da sempre i due contendenti, ma anche con la nettezza delle posizioni contrapposte e con la rispettosa distinzione di una visione consciamente maschile - la lacerazione che ogni interruzione di gravidanza provoca nelle donne coinvolte, ma anche il disagio aggiuntivo che su di essa proietta il trascinarla sulla scena pubblica.
S.F.

Argomento: 

Cacho Caselli, dai golpisti al Pdl - di Eleonora Martini su Il Manifesto del 13/03/2008

Personaggi neri in Italia ed eminenze grigie all'estero. L'elenco dei candidati "discussi" presentati dal Popolo delle libertà si allunga se si vanno a sbirciare le liste presentate dall'altra parte dell'Atlantico, agli italiani residenti in terra argentina per il voto nella circoscrizione estero. Dopo Ciarrapico, il fascista, spunta ora il nome di Esteban Juan Caselli, detto «Cacho», ma anche «il vescovo» per le sue frequentazioni. Ex ambasciatore argentino in Vaticano durante il governo di Menem dal '97 al '99 e funzionario durante la dittatura dei generali Viola e Bignone, nel giugno del 1997 Caselli fu accusato dall'ex ministro dell'economia, padre liberista della moderna finanza argentina Domingo Cavallo di aver costituito «una rete di protezione giuridica che dava appoggio locale agli autori dell'attentato contro la sede dell'Associazione di mutua assistenza israelo-argentina (Amia) di Buenos Aires» avvenuto il 18 luglio 1994 e che causò la morte di un'ottantina di persone e il ferimento di un centinaio. A ricordarlo è stato ieri Luciano Neri, uno dei responsabili del Coordinamento nazionale del Pd per gli italiani nel mondo, che ha chiesto a Berlusconi di ritirare dalle liste il nome di «Cacho» per «favorire candidature etiche». L'ex ambasciatore Caselli due giorni fa avrebbe anche rivelato al quotidiano argentino Critica di avere avuto l'offerta del seggio al Senato «da Berlusconi in persona».
«Sulla cospicua eredità che gli avrebbe lasciato un ufficiale dell'aviazione militare, Miguel Cardalda, di cui era autista - racconta Luciano Neri - sono state riempite pagine e pagine da giornalisti e scrittori fra i quali l'attuale deputato Miguel Bonasso, autore di "Don Alfredo", e Olga Wornat, autrice di Nuestra Santa Madre». In patria parlano di un patrimonio accumulato che si aggirerebbe attorno agli 800 milioni di dollari. «L'ex ministro Cavallo - continua Neri - ha esplicitamente incluso l'aspirante senatore italiano Caselli in una "mafia" legata ad Alfredo Yabran, personaggio collegato tra l'altro all'uccisione di Josè Luis Cabezas, fotografo del settimanale politico argentino Noticias. Yabran, attualmente scomparso, è stato considerato anche "prestanome eccellente" dell'ex presidente Menem». I rapporti personali tra Menem e «il vescovo», come lo chiamavano i giornali di opposizione, si sono deteriorati quando è esploso l'affaire del traffico d'armi vendute illegalmente alla Croazia durante la guerra con la Serbia e all'Ecuador durante il conflitto con il Perù. Le indagini coinvolsero anche al Casa Rosada e, grazie alla testimonianza di Caselli, coinvolto nell'inchiesta, il presidente Menem finì agli arresti. «Cacho», vicino al cardinale Angelo Sodano, ha buoni rapporti con la parte più conservatrice della chiesa argentina e pessimi con i più progressisti perché nel suo tessere legami tra la Casa Rosada e il Vaticano ha spesso accuratamente tenuto fuori molti vescovi locali. Come nel '98, quando durante la visita di Giovanni Paolo II a Buenos Aires organizzò solitariamente l'ennesimo incontro tra il Papa e il presidente. Il suo circolo di potere non è estraneo al siluramento di molti vescovi progressisti: l'ultimo, Maccarone, sarebbe stato "fatto fuori" consegnando direttamente al Vaticano il video di un rapporto sessuale tra il vescovo e un giovane ragazzo. Senza dubbio, insomma, un'altra candidatura che «serve» al Cavaliere «per vincere». Anche se, a ben guardare, il personaggio è visto come fumo negli occhi dall'attuale governo di Cristina Kirchner che probabilmente farà di tutto per contrastare la candidatura.
Ma le sorprese nelle liste dei candidati del Pdl riservati ai 3.649.000 italiani iscritti alle liste dell'Aire, non finiscono qui. Nella ripartizione Europa ad esempio - una delle quattro in cui viene ripartita la circoscrizione estero secondo la legge Tremaglia - il deputato uscente Massimo Romagnoli, proveniente da Glyfada, una delle zone residenziali di Atene, il cui nome fino a un mese fa era addirittura indicato come papabile ministro degli italiani all'estero in caso di vittoria del Pdl, è stato relegato invece al decimo posto della lista per la Camera. Al suo posto come capolista c'è invece il leghista Giuseppe Learco Plebani, già candidato alle scorse elezioni senza alcun successo. Nel centrodestra parlano di «errore», ma forse confidano nel fatto che all'estero gli elettori possono indicare la preferenza, vigendo per la Camera il sistema strettamente proporzionale. Di certo dovranno fare i conti anche con l'Udc che nella ripartizione America settentrionale presenta alla camera lo statunitense Massimo Seracini, che potrebbe sedurre l'elettorato cattolico fedele al deputato uscente Salvatore Ferrigno, inspiegabilmente non riconfermato nel Pdl.
D'altra parte la sorpresa che riservarono gli italiani residenti all'estero alle elezioni politiche del 2006 nessuno l'ha dimenticata. Perciò nessuno vuole perdere l'occasione di un voto che potrebbe ancora una volta risultare decisivo. Eppure in entrambi gli schieramenti le previsioni più gettonate danno una sostanziale parità, 6 deputati. Voce però già circolata anche nel 2006, fino al clamoroso risultato che vide l'Unione aggiudicarsi otto deputati e quattro senatori contro i quattro e uno del Polo. L'errore allora fu tutto della coalizione di centrodestra che non riuscì a tenere a bada il senatore Mirko Tremaglia e la sua personale lista. La tenuta della coalizione di centrosinistra invece premiò l'Unione anche se, con la vittoria in tasca, i democratici rivendicavano di aver semplicemente raccolto quanto seminato in «trent'anni di lavoro con gli emigranti italiani nel mondo». Il panorama questa volta è completamente diverso, più simile a quello delle altre circoscrizioni. «Eppure se non si riconosce la specificità del voto all'estero non capisci nulla di come andranno queste elezioni», spiega Norberto Lombardi, altra colonna portante del Coordinamento Pd italiani nel mondo. Loro, dicono, ci hanno provato a fare un accordo con le altre forze di sinistra: «Potevamo giocare un'asimmetria politica all'estero, fermo restando la specificità italiana», spiega Lombardi. Non ci sono riusciti. E così oggi i loro candidati sono "minacciati" dalla presenza delle liste della Sinistra arcobaleno (che non si presenta in Nordamerica), di Sinistra critica (solo in Europa), ma anche e forse soprattutto da quelle di Luigi Pallaro e Ricardo Merlo in Sudamerica. In particolare, a turbare i sogni dei democratici è la lista Movimento Associativo Italiani all' Estero, l'ultima invenzione dell'argentino Merlo, il candidato più votato in tutta la circoscrizione durante la scorsa tornata elettorale, quando era capolista alla camera sotto il simbolo di «Pallaro senador». I due hanno litigato forse perché in Pallaro ribolle un'anima troppo conservatrice. Nelle liste di Merlo c'è una candidatura importante, quella più inquietante per il Pd: l'argentina Mirella Giai, che nel 2006 era capolista al senato per l'Unione e in un primo momento venne data per eletta. Nel riconteggio finale però venne scavalcata per pochi voti dal brasiliano Edoardo Pollastri (confermato quest'anno dal Pd, in coppia con la deputata uscente di Caracas Mariza Basile). La cosa non andò giù a Mirella Giai e così, dopo aver tentato inutilmente ricorso, ora ha deciso di passare alla concorrenza. Per il resto, le liste dei democratici non riservano grandi sorprese: tante riconferme e una sola new entry, la 29enne di Johannesburg Romina Crosato. Molto malumore invece per l'esclusione in Nord America del deputato Giovanni Rapanà, di Montreal, che alle scorse elezioni aveva ottenuto più voti di Gino Bocchino, canadese anche lui ma di Toronto, confermato capolista alla camera. Malgrado il tempo decisamente tiranno in questa tornata elettorale, anche la Sinistra arcobaleno ce l'ha fatta a presentare le liste quasi ovunque. In Europa ripropongono il deputato verde uscente Arnoldo Casola, mentre in Sudamerica puntano su esponenti dell'estrema sinistra uruguaiana, venezuelana, brasiliana e argentina. Infine al senato in Oceania, l'australiano Giovanni Sgrò, storica figura di lotte contadine. Un nome d'eccezione.
 


Per chi vota la mafia di Peter Gomez - l’Espresso

 Cari Amici,
immagino che alcuni di voi abbiamo già letto quest'articolo dell'Espresso. Ma per tutto coloro che non ne hanno avuto occasione, si tratta di un vero e proprio "vademecum elettorale", per arrivare preparati al voto!redazione 
 
Se le cose andranno come devono andare, se in Sicilia l'Udc supererà la soglia dell'8 per cento dei voti, nel prossimo Senato siederà un uomo che Giovanni Brusca, il capomafia killer del giudice Giovanni Falcone, considerava "un amico personale". Si chiama Salvatore Cintola, ha 67 anni, è laureato in lingue e in vita sua è stato prima repubblicano, poi socialdemocratico e quindi socialista. Per qualche settimana ha anche militato in Sicilia Libera, un movimento indipendentista creato nel '93 per volere del boss Luchino Bagarella. Ma alla fine ha scoperto una vocazione per il centro ed è passato alla corte di Totò Cuffaro diventando deputato regionale sull'onda di migliaia di preferenze (17.028 nel 2006). Due anni fa ad Altofonte, raccontano le intercettazioni, la sua campagna elettorale era stata condotta pure dagli uomini d'onore, ma farsi votare dalla mafia non è un reato. Frequentare i boss neppure. E così la posizione di Cintola, iscritto per ben quattro volte nel giro di 15 anni sul registro degli indagati della procura di Palermo, è stata come sempre archiviata.

Cintola, numero quattro del partito di Casini nella corsa a Palazzo Madama, può insomma tentare liberamente il gran salto in Parlamento. E se ce la farà si troverà in compagnia di una foltissima pattuglia di amici, parenti, soci, complici veri, o presunti, di mafiosi, 'ndranghetisti e camorristi. Sì perché mentre Confindustria espelle non solo i collusi, ma persino chi paga il pizzo (persone cioè che codice alla mano non commettono un reato, ma lo subiscono), Udc, Pdl, e, in misura minore, il Pd, di fronte al rischio mafia chiudono gli occhi.

Nelle tre regioni del sud, Sicilia, Calabria e Campania, quello della criminalità è infatti un voto organizzato, al pari di quello delle associazioni dei precari (voti in cambio dei rinnovi dei contratti pubblici) o del volontariato (voti contro finanziamenti). Quanto pesi dipende dalle zone. In alcuni comuni della Calabria, ha spiegato il pm Nicola Gratteri, sposta fino al 20 per cento dei consensi. Numeri analoghi li fornisce a Napoli il sociologo Amato Lamberti che parla di una "joint venture criminale tra camorristi, imprenditori spregiudicati e e politici affaristi, in grado di orientare su tutta la regione il 10 per cento dell'elettorato". Mentre a Palermo, il vicepresidente della commissione antimafia Beppe Lumia (Pd), spiega: "I voti che Cosa nostra controlla sono circa 150mila. Sono una sorta di utilità marginale che, indipendentemente dai sistemi elettorali, serve per raggiungere gli obiettivi: o la quota dell'8 per cento al Senato, o la vittoria complessiva in caso di testa a testa. Solo alla fine della campagna elettorale, comunque, chi opera sul territorio può rendersi conto delle scelte delle cosche. È a quel punto che i mafiosi lanciano segnali: sanno di essere forti e lo fanno pesare".

 
Già, i segnali, ma quali? I colloqui intercettati durante le ultime consultazioni narrano che Cosa nostra, quando si vede richiedere il voto, sceglie spesso la linea dell'understatement. "Allora noi ci muoviamo. Però con riservatezza, come merita lui, con molta pacatezza, capisci (altrimenti) gli facciamo danno", dicevano nel 2001 i mafiosi di Trabia a chi domandava loro un appoggio per la candidatura di Nino Mormino, l'ex vice-presidente della commissione Giustizia della Camera, oggi lasciato in panchina dal Pdl. Non è insomma più epoca di evidenti passeggiate sotto braccio con il capomafia del paese. E a Palermo, per accorgerti di cosa sta succedendo, devi saper identificare i nomi e i volti di chi distribuisce manifestini o santini elettorali.

Per le politiche del 2006, per esempio, tra ragazzi del motore azzurro, l'organizzazione voluta da Marcello Dell'Utri (condannato in primo grado per concorso esterno e in secondo per tentata estorsione), figurava tutta la famiglia di Rosario Parisi, il braccio destro del boss Nino Rotolo, a cui era stato pure delegato il compito di curare uno dei tanti gazebo berlusconiani. Nel quartiere popolare della Kalsa, invece, fino a venti giorni prima delle amministrative non si vedeva un manifesto. Poi, una bella mattina,sulla saracinesca del negozio vuoto del più importante latitante della zona qualcuno aveva appeso un' immagine del sindaco Diego Cammarata (verosimilmente all'oscuro di tutto). Era il via libera. Mezz'ora dopo i muri dell'intero quartiere, come gli abitanti, parlavano solo di lui.
Non deve stupire: la mafia, anzi le mafie, sono ormai laiche, non sono a prescindere di destra o di sinistra, e prima della chiamata alle urne fanno dei sondaggi. Come ha raccontato il pentito Nino Giuffrè l'organizzazione ha uomini ovunque in grado di percepire gli umori dell'elettorato. Poi, quando diventa chiaro chi può vincere, stringe accordi con chi è disponibile al dialogo. O imponendo candidature, o offrendo voti in cambio di soldi, appalti o favori. Anche per questo, e non solo per distrazione, nelle liste oggi c'è finito di tutto. In Sicilia, per esempio, presentare Cuffaro, condannato in primo grado a 5 anni per favoreggiamento, è stato come segnare una svolta.

Cintola a parte, l'Udc fa correre alla camera Francesco Saverio Romano, tutt'ora indagato per concorso esterno; Calogero Mannino, imputato davanti alla corte d'appello di Palermo; e Giusy Savarino, che solo un mese fa ha visto il Tribunale inviare, al termine del processo 'Alta Mafia', alcuni atti che la riguardano alla procura. Secondo i giudici dalle intercettazioni e dai verbali emerge come nel 2001 lo scontro sulla sua candidatura alle regionali tra suo padre, Armado Savarino, e l'ex assessore Udc, Salvatore Lo Giudice, poi condannato a 16 anni di reclusione, sia stato risolto dalla mediazione del boss di Canicattì, Calogero Di Caro.

Certo, si può benissimo concordare con Pier Ferdinando Casini, il quale di fronte alle polemiche, fin qui limitate al nome di Cuffaro, ripete "non è giusto che le liste le faccia la magistratura". Resta però il fatto che il numero di suoi candidati risultati in rapporti con uomini di Cosa nostra, o coinvolti a vario titolo in indagini per mafia, è altissimo. Troppi per ritenere che le accuse lanciate dai pentiti, secondo i quali il voto per il partito di Cuffaro negli ultimi anni sarebbe stato compatto, siano del tutto campate in aria. In questa situazione, con la magistratura che non può intervenire perché per arrivare al processo ci vuole (giustamente) la prova dell'accordo con i mafiosi, a denunciare e bonificare ci dovrebbe pensare la politica.

Il tentativo della commissione Antimafia di far approvare, per iniziativa del senatore di Forza Italia Carlo Vizzini, un codice etico che impedisse la presentazione di candidati collusi almeno alle amministrative del 2007 è però rimasto lettera morta. Al primo febbraio del 2008 su 103 prefetture, solo 86 avevano inviato alla commissione una fotografia di quello che era accaduto nelle urne sei mesi prima. E stando a quanto risulta dai documenti che 'L'espresso' ha letto, mancavano, tra l'altro, all'appello le risposte delle provincie di Avellino, Caltanissetta, Enna, Messina, Palermo, Reggio Calabria, Taranto e Trapani. I partiti avversari poi tacciono tutti. Il Pdl, nonostante le polemiche contro il "cuffarismo e il clientelismo", è prudentissimo. Anche perché gli azzurri in lista non si sono limitati a ricandidare il senatore Pino Firrarello, condannato in primo grado per turbativa d'asta aggravata e ora sotto inchiesta per concorso esterno, o l'ex sottosegretario Antonio D'Alì, ex datore di lavoro del superlatitante Matteo Messina Denaro, e oggi accusato dall'ex prefetto di Trapani Fulvio Sodano di aver voluto il suo trasferimento per fare un piacere a Cosa nostra (sulla vicenda è in corso un'indagine e un processo per diffamazione).

Negli elenchi fa capolino pure la new entry Gabriella Giammanco, ex aspirante velina, volto giovane del Tg4, ma soprattutto nipote di Vincenzo Giammanco, definitivamente condannato come socio e prestanome di Bernardo Provenzano. E poi ci sono tutti gli altri. A partire da Gaspare Giudice, assolto in primo grado dalle accuse di mafia con una sentenza in cui il tribunale sostiene di aver però "verificato con assoluta certezza" l'appoggio datogli da Cosa nostra nel 1996 e "con grandissima probabilità" anche nel 2001. Per arrivare a Renato Schifani, considerato in pole position dal 'Giornale' come futuro ministro degli Interni, sebbene negli anni '80 sia stato a lungo socio, assieme all'ex ministro Enrico La Loggia, della Siculabrokers: una compagnia in cui figuravano anche Nino Mandalà, futuro boss di Villabate, e Benny d'Agostino, imprenditore legato per sua ammissione al celebre capo di tutti i capi, Michele Greco.

Insomma, meglio non discutere di mafia. Un po' come fa il Pd messo in imbarazzo dalle proteste di Beppe Grillo e della Confindustria, quando con un colpo di mano aveva tentato di escludere dalle liste Beppe Lumia. Dietro a quella scelta non è difficile vedere l'ombra del grande avversario di Lumia, il dalemiano Mirello Crisafulli, filmato mentre discuteva, dopo averlo baciato, di appalti e favori con i boss di Enna, Raffaele Bevilacqua. Da quando nel 2007 Lumia, condannato a morte da Cosa nostra, aveva definito la sua candidatura inopportuna, Crisafulli, grande amico di Cuffaro, non lo salutava più. Poi in lista c'era finito solo Crisafulli e Lumia era stato recuperato come numero uno al Senato solo quando era diventato chiaro che stava per passare con Di Pietro. In compenso tra gli aspiranti deputati del Pd è comparso Bartolo Cipriano, ex sindaco e poi consigliere del comune messinese di Terme Vigliatore, sciolto per mafia nel 2005.

Meglio vanno le cose in Calabria, dove le liste di Veltroni, capeggiate dall'ex prefetto De Sena sono in buona parte pulite (al contrario di quanto era accaduto con le regionali quando la 'ndrangheta votò per il centrosinistra). Tra i democratici suscita qualche perplessità principalmente il nome di Maria Grazia Laganà, la vedova di Francesco Fortugno, il vice-presidente della regione ucciso dai clan, sotto inchiesta per truffa ai danni dello Stato nell'ambito delle indagini sulle infiltrazioni mafiose alla Asl di Locri. Qui, come in Campania, la battaglia con il centrodestra si profila in ogni caso all'ultimo voto. E il Pdl candida al Senato (decimo posto) addirittura Franco Iona, cugino primo del boss Guirino Iona, capo dell'omonima cosca crotonese ora in carcere dopo anni di latitanza. Nel 2005 Iona non aveva potuto correre per le amministrative con l'Udeur proprio a causa della sua ingombrante parentela. Ora, nonostante le proteste del presidente della commissione Antimafia Francesco Forgione, Iona si dà da fare per raccogliere voti e ribadisce di essere incensurato.

Difficile comunque che ce la faccia, al contrario di Gaetano Rao, numero 17 del partito di Berlusconi e Fini alla Camera, e soprattutto nipote di don Peppino Pesce, vecchio boss dell'omonima e potentissima cosca di Rosarno. Per uno strano scherzo del destino Rao si ritrova candidato assieme ad Angela Napoli (An), membro della commissione Antimafia e feroce avversaria della 'ndrangheta. La Napoli, insomma, ingoia amaro anche perché con lei sono candidati Pasquale Scaramuzzino, l'ex sindaco di Lamezia Terme, un comune sciolto nel 2002 dal governo per mafia in seguito a una sua battaglia, e Giuseppe 'Pino' Galati, allora leader del Ccd: un partito che l'attaccava a tutto spiano.

Anche in Campania, dove solo nella provincia di Napoli, sono stati sciolti 15 comuni (in prevalenza di centrosinistra) dal 2001 a oggi, c'è incertezza. Alle prese con l'emergenza rifiutiil Pd pare essersi mosso con relativa cautela, anche perché scottato dalle indagini sul clan Misso e i suoi rapporti con la Margherita. Tutt'altra storia sono invece le liste degli avversari. In Parlamento entrerà Sergio De Gregorio, l'ex dipietrista subito convertito a Berlusconi, indagato per riciclaggio dopo che sono stati scoperti suoi assegni in mano a Rocco Cafiero detto ''o capriariello', un contrabbandiere considerato organico al clan Nuvoletta. Con lui ci sarà Mario Landolfi (An), ora costretto a fronteggiare l'accusa di essere stato appoggiato nel 2006 da un manipolo di camorristi. E c'è pure Nicola Cosentino, uno che la mafia se l'è trovata suo malgrado in casa, visto che uno dei suoi fratelli ha sposato la sorella del boss, detenuto al 41 bis, Peppe Russo, detto 'o padrino'. Insomma, c'è da stare tranquilli. Comunque finiranno le cose il 13 aprile avremo un Parlamento specchio del paese. Peccato solo che a essere riflessa, almeno nel sud, sarà anche la parte peggiore.

hanno collaborato Arcangelo Badolati, Giuseppe Giustolisi, Roberto Gugliotta e Claudio Pappaianni
(20 marzo 2008)


Acqua azzurra, acqua «antidepressiva» da "il manifesto" del 25 Marzo 2008 - di Luca Celada

La specialità di Los Angeles sono gli ansiolitici e gli antiepilettici, nel New Jersey dominano le medicine per l'angina e i tranquillanti come la carbamazepina a Tucson vanno gli antibiotici e a San Francisco c'è una spiccata presenza di ormoni. Un menù farmacologico che comprende antidepressivi, antidolorifici, anticoagulanti, diuretici antinfiammatori e farmaci per il controllo del colesterolo, tutti nell'acqua potabile rilevati da un indagine della Associated Press sulle scorte di acqua dei 50 stati americani comprese 24 grandi zone urbane. Conclusione dell'inchiesta durata 4 anni: «l'acqua potabile usata da almeno 41 milioni di americani è contaminata da una vasta gamma di sostanze farmacologiche».
Si tratta è vero di dosi «traccia» ben al di sotto di quelle ritenute nocive o anche efficaci ma lo studio basato su centinaia di analisi di laboratorio, rilevamenti ambientali e interviste con esperti, conferma che le acque potabili assomiglianao sempre di più ad un «brodo primordiale» farmacologico pieno di supplementi ormonali, antibiotici, anticonvulsivi, psicofarmaci, i residui insomma delle 3,7 miliardi di ricette mediche fatte in America più un altro 3 miliardi e rotti di medicine da farmacia assunte annualmente. Un fenomeno naturalmente non limitato agli Stati uniti; risultati analoghi sono stati rilevati in Canada oltre che in Australia, Asia e Europa.
La fonte delle sostanze chiaramente siamo noi, sempre più popolazione ipermedicata. I farmaci che assumiamo in quantità collettivamente mastodontiche vengono infatti assorbiti solo in parte dal metabolismo degli organismi cui sono inizialmente destinati (i nostri) mentre le quantità eccedenti espulse tornano nell'ambiente attraverso gli scarichi fognari. Sommariamente filtrate queste acque di scarico sono reimmesse nell'ambiente, in laghi e fiumi, riutilizzate per l'irrigazione dei campi, e riassorbite nel ciclo naturale di evaporazione e scolo per tornare infine alle falde acquifere. A volte sono le stesse acque di superficie ad essere purificate per essere riutilizzate direttamente come acqua potabile, ma i sistemi di depurazione non sono però sufficienti a sbarazzarsi del tutto delle sostanze chimiche che compongono i medicinali.
Nessuno conosce gli effetti dell'esposizione cronica a piccole dosi di questo «casuale» cocktail farmaceutico ad esempio sul metabolismo cellulare ma come ha rilevato uno degli esperti consultati dalla Ap, anche se le dosi sono minime si tratta pur sempre di sostanze prodotte per avere effetti specifici sull'organismo umano e quindi almeno potenzialmente più specificamente nocive di veleni ambientali come i pesticidi. Più inquietante ancora è la questione dell'impatto epidemiologico, gli effetti prodotti su una popolazione esposta anno dopo anno a piccole dosi di analgesici o antidepressivi o antibiotici, una specie di omeopatia inversa e perniciosa dagli effetti ignoti sulla tolleranza o le allergie, per citare solo due esempi. Nel caso degli antibiotici proprio la diffusione ambientale pervasiva in piccole dosi dell'attuale campionario sembrerebbe lo scenario ideale per rafforzare le resistenze dei patogeni. Né si tratta di un fenomeno limitato alle aree urbane ad alta densità visto che positivi ai farmaci sono risultati anche campioni prelevati in zone rurali, in campagna inoltre si aggiungono i problemi dovuti alle perdite incontrollate dei pozzi neri. I farmaci sono stati trovati infine anche in acque in bottiglia in particolare quelle contenenti acqua di rubinetto filtrata dato che i medicinali non vengono eliminati da filtri covenzionali ma solo da sistemi sofisticati e costosi come l'osmosi inversa. I risultati dell'inchiesta hanno dimostrato soprattutto una cosa: la terra è una biosfera, un sistema biodinamico chiuso la cui capacità di assorbire e smaltire l'impatto dell'uomo sta rapidamente raggiungendo il limite. La pressione che stiamo applicando all'ambiente sta cioè contaminando una delle risorse più preziose: l'acqua pulita.
 


dal blog di Jacopo Fo: come si bacia una ragazza

da www.jacopofo.com
Internet è il paese delle meraviglie.
Google offre un servizio gratuito di statistiche per il tuo sito.
Così puoi sapere un mucchio di informazioni.
Ad esempio che parole chiave usa chi arriva sul tuo sito.
19 ragazzi hanno cercato "Come si bacia una ragazza" e qui spiegherò come si fa.
Questo perché mi sono commosso di tenerezza pensando a quanto anch'io ho patito e mi sono arrovellato chiedendomi come dovessi fare per baciare una ragazza.
Una vera cattiveria che non lo insegnino a scuola.
Comunque passiamo a spiegare come si bacia.
1) La cosa importante da capire è che le ragazze amano la dolcezza.
Il bacio dovrebbe essere un modo per comunicare con i movimenti quello che le parole non possono dire.
Emozione. Baciare è come scrivere una poesia.
Molti maschi baciano come se fosse una competizione sportiva, una prova di coraggio, una dimostrazione di forza fisica, una lotta tra lingue.
NO!!!
Baciare è un modo per raccontare una similitudine poetica: sei tanto bella che ti mangerei come se tu fossi una fragolina di bosco.
Sei tanto amabile che ti succhierei come se tu fossi un cioccolatino.
Sei tanto morbida che mi viene voglia di giocare a saggiare la tua morbidezza.
Inoltre se muovi la lingua e basta, senza lasciarti andare alle sensazioni che la bocca, le labbra e la lingua di lei ti fanno sentire allora bacerai uno schifo.
La chiave di tutto è mettersi in uno stato d'animo contemplativo, rilassato e sorridente.
Avvicinare le labbra alle sue come se stessi per assaporare la miglior crema alla vaniglia del mondo e ascoltare il lento accarezzarsi di labbra e lingue.
Poi se vuoi puoi anche muovere la lingua un po' più velocemente ma solo se da questo movimento trai una sensazione fisica piacevole.
Ma la velocità non fa punteggio, è un gioco di ascolto non una gara di corsa.
Più ascolti le sensazioni, più entri in empatia con la ragazza, più riesci a lasciarti andare e i movimenti diventano spontanei, la mente smette di pensare e tu sei lì che non fai niente altro che ascoltare cosa ti piace di più nei movimenti che fai.
Non pensare "adesso devo fare questo, adesso devo fare quello".
Non c'è nessun copione da eseguire.
Nessuno sa come deve essere un bacio, nei dettagli.
Ogni bacio è un caso unico a sé.
Il bacio è una poesia inventata al momento lasciando che le parole vengano fuori spontaneamente, senza stare lì a controllare se sono giuste o sbagliate. Fidati: quando sei in questo stato libero e sorridente della mente scopri che sai come fare a farla impazzire senza doverci pensare. E’ la magia della natura. Baciarsi è una cosa che è scritta nel tuo DNA. Non la devi imparare. Devi scoprire che lo sai già fare.
2) LA TECNICA DEL BACIO
Chiarito lo scopo del bacio e lo stile del bacio passo a descrivere la tecnica del bacio.
Baciarsi consiste nel socchiudere la bocca, senza esagerare, non sei dal dentista. Le bocche dischiuse si avvicinano.
Sopratutto nel primo bacio con una ragazza nuova è importante l'istante dell'impatto.
Non sei obbligato ad andarle a sbattere contro fratturandole un labbro.
Anzi è più carino, emozionante, lasciare che l'emozione che senti prenda il controllo. Probabilmente ti sentirai tremare dentro, il cuore che batte come una mitragliatrice d'assalto, le mani fredde e sudate, un crampo alla pancia o allo stomaco eccetera eccetera.
OK! E' tutto regolare. Può sembrare assurdo ma il vero motivo per cui ci si bacia è proprio quello di sentire queste sensazioni bomba.
All’inizio ti spaventano perché pensi derivino dalla tua insicurezza e sospetti che sverrai, ti farai la pipì addosso, morirai, le starnuterai in faccia o dirai qualche cazzata mostruosa, e lei non vorrà mai più baciarti e andrà a dire alle sue amiche che sei uno sfigato mondiale.
Butta via tutte queste paranoie e dedicati ad assaporare come l’emozione ti fa perdere il controllo della mente. Osserva come in realtà è molto piacevole questa confusione mentale.
Sei perfettamente in grado di sopravvivere a questo scombussolamento.
E non è niente male. Comunque molto meglio che essere ubriachi.
A questo punto le tue labbra sono a centimetri 1 dalle sue di lei.
OK fermati per un istante e annusa l’aria. Sentirai il profumo della sua pelle. Se è la prima volta che dai un bacio questo ricordo ti accompagnerà per tutta la vita e sarà qualche cosa di tenerissimo che riguarderai con dolcezza. E’ uno dei ricordi essenziali della vita, di quelli che ti puoi portare nella tomba (i ricordi dolci sono l’unica cosa che ti potrai portare nella tomba).
Ora avanza lentamente fino a sfiorare le labbra di lei con le tue.
A mé da molto gusto ascoltare che sensazione provo quando avviene questo impatto sfiorante. E poi saggiare le labbra di lei con una lievissima pressione delle mie. Sentire quanto sono elastiche.
Quindi uno può indugiare a fregarsi le labbra come fanno i cavalli. Oppure può avanzare con la lingua in terra straniera.
Immagina le due bocche socchiuse di profilo: tra le labbra e i denti si forma uno spazio. Lì le lingue si incontrano inizialmente. E tu lecchi la sua lingua.
Se pensi di dare una leccatina a un gelato che ha un gusto nuovo riesci a immaginare come dovrebbe muoversi la lingua. Né troppo dura-rigida né troppo molla-lumaca-morta, né troppo rapida.
E’ una lingua che si muove per andare a sentire il sapore.
Una lingua che cerca il piacere del gusto.
E a questo punto assapora il sapore che ha la ragazza che stai baciando. Ogni donna ha un sapore diverso e trovare il sapore che ti soddisfa veramente è lo scopo della vita. E magari hai la fortuna di trovare il sapore assoluto per te al primo bacio.
Quindi ascolta bene.
Successivamente puoi iniziare a fare i movimenti che vuoi, entrare nella sua bocca con la lingua (senza esagerare sennò la soffochi), oppure scivolare sui suoi denti, arrotolarsi e spintonarsi (delicatamente) con la punta della lingua di lei, bearsi in strofinamenti, leccatine. Alternare momenti in cui sono le lingue a parlarsi ad altri nei quali si parlano le labbra. Ma si può anche indugiare a leccare un labbro.
Ma in effetti quel che fai non è tanto importante. All’inizio uno prova gusto a sperimentare. Poi trovi che ci sono determinati movimenti che ti danno più gusto e che staresti lì a goderteli in eterno, oppure no, magari ti piacerà sempre cambiare. Ma insomma questo non è importante. Non è importante cosa fai ma come lo fai. E questo è un principio che non vale solo per il bacio.
Comunque non serve pensare e progettare i movimenti della lingua. Anzi questo è il vero pericolo, l’errore madornale. L’obiettivo è che la parte inconscia della tua mente si occupi dei movimenti della lingua e delle labbra e che tu (essere razionale) ti limiti a stare lì a goderti e assaporare le sensazioni piacevoli. Se farai così sarai spontaneo, non controllato, e il tuo corpo, che possiede una saggezza di milioni di anni di evoluzione, saprà benissimo trovare i movimenti più piacevoli per te e per lei.
Le donne sentono se stai a fare i piani di come muoverti e non ti lasci andare. E non gli piace. E’ come per il ballare. Se pensi ai movimenti che devi fare fai schifo.
Se ti lasci andare ad ascoltare la musica il tuo corpo si muove per conto suo e tu balli bene e ti senti bene.
Questo è tutto.
Buon Bacio a tutti.
PS
Ricordati che un buon bacio può essere rovinato dall’alito cattivo. Un buon amante si lava i denti e la lingua con cura, mangia caramellane alla menta, foglie di menta, gocce di olio essenziale alla menta o simili. Anche lavarsi le ascelle è utile. E se pensi di arrivare molto lontano lavati bene anche il pisello.
E asciugalo con cura dopo averlo lavato sennò rischi fastidiose irritazioni.
Per altre informazioni sul mondo del sesso vedi www.sessosublime.it.


Il Tibet libero e le Olimpiadi

tratto dal sito www.peacelink.it
Sono stato un atleta per molto tempo. Ho indossato la maglia azzurra e, come tutti gli atleti degni di esser chiamati tali, ho sempre sognato le Olimpiadi. Ma ho un'altra idea di Olimpiadi.

17 marzo 2008 - Flaviano Bianchini

"Assegnando a Pechino i Giochi, aiuterete lo sviluppo dei Diritti Umani." Con questa frase, che di fatto ammette le violazioni dei Diritti Umani, Kiu Jingming, vicepresidente del Comitato olimpico di Pechino, riuscì a convincere il CIO ad assegnare alla Cina i Giochi olimpici del 2008.
Ecco. In questi giorni in Tibet potete vedere come la Cina sta sviluppando i Diritti Umani. 

Pochi mesi fa il governo centrale, guidato da Hu Jintao, ex governatore del Tibet che represse nel sangue la rivolta dell'89, ha emanato una legge che consente alla polizia di incarcerare tutti i potenziali dissidenti per evitare brutte figure durante i Giochi. Altra mossa di valorizzazione dei Diritti Umani.
Così come valorizzazione dei Diritti Umani è reprimere nel sangue una rivolta pacifica. O assediare i monasteri dove si rifugiano i monaci. O sparare sulla folla che sfila pacificamente per le strade del Barkor.
Tutti i Paesi occidentali, Stati Uniti ed Europa in testa, si sono lanciati in mirabolanti dichiarazioni di gioia e felicità per l'indipendenza del Kosovo. Ma nessuno mai si pronuncia per l'indipendenza del Tibet. Addirittura in Italia nessun membro del Governo, né dello Stato, né della Chiesa, ha ricevuto il Dalai Lama in visita nel novembre scorso. Il Dalai Lama è venuto in Italia, ha fatto le sue conferenze, ha incontrato gli altri Nobel per la Pace, ha fatto le sue interviste ed è ripartito senza che nessuno lo ricevesse in via ufficiale. Come un "turista" qualsiasi...
Sono stato un atleta per molto tempo. Ho indossato la maglia azzurra e, come tutti gli atleti degni di esser chiamati tali, ho sempre sognato le Olimpiadi. Ma ho un'altra idea di Olimpiadi. Vorrei qui ricordare che nell'antica Grecia durante le Olimpiadi venivano sospese le guerre e che il Sudafrica non ha potuto partecipare ai Giochi fino a quando non ha abolito l'apartheid e che a Mosca '80 gli Stati Uniti non parteciparono e l'Italia partecipò senza bandiera per protestare contro l'invasione sovietica dell'Afghanistan.
E oggi?
Oggi, non solo si da l'organizzazione dei Giochi al Paese che più in assoluto viola i Diritti Umani, ma nessuno si preoccupa di boicottarli se il governo di questo Paese reprime nel sangue una legittima e pacifica manifestazione di indipendenza di un paese occupato.
Non un solo Paese ha in mente di boicottare i Giochi. E in Italia gli unici partiti politici che si pronunciano in tal senso sono i leghisti che ne approfittano per rilanciare le loro idee di protezionismo economico e i Radicali che da sempre si battono per i Diritti Umani.
Gli altri? Tacciono. O fanno un timido rimprovero alla Cina per la repressione e si augurano che tutto si sistemi al più presto.
Mario Pescante, presidente del CONI, ha addirittura dichiarato che la sua preoccupazione per le Olimpiadi non è il Tibet ma i possibili attentati dei terroristi islamici...
Ci sono diverse manifestazioni davanti alle ambasciate cinesi di tutta Europa; ma, secondo me, non è lì che vanno fatte. Queste manifestazioni bisognerebbe farle davanti ai governi.
Io VOGLIO vedere il nostro governo e i nostri candidati premier fare qualcosa.
VOGLIO vedere i leader mondiali discutere dell'opportunità dei Giochi in Cina.
VOGLIO vedere il CIO discutere di una sede alternativa anche se in extremis.
VOGLIO sentire il CONI che si pronunci sul ritirare i nostri atleti, o quanto meno la nostra bandiera, dalle Olimpiadi.
Nel 2001 furono assegnati i Giochi a Pechino nella speranza che ciò contribuisse a far aprire la Cina al mondo, ed è solo boicottando i giochi che si può far capire alla Cina che per aprirsi al mondo non basta un'economia forte. Ci vuole anche il rispetto dei Diritti Umani.
 

Copyright © Flaviano Bianchini


Candidatura per matrimonio con rampollo di casa Berlusconi

Cari Amici,
perchè non unirsi all'iniziativa? scrivete a  [email protected] inviando il vostro curriculum! redazione
Egregio Presidente Berlusconi,
proprio mentre meditavo sul mio futuro lavorativo e sulle incertezze della precarietà è arrivata la Sua magnifica proposta! Sono anni che mi interrogo sul mio avvenire, come riuscirò ad acquistare una casa e a fare una famiglia, senza sobbarcarmi un mutuo ventennale per acquistare un'auto, da accumulare a quello della topaia che potrò permettermi, arrivando alla quarta della settimana del mese cibandomi di pasta all'olio.
Finalmente, l'illuminazione.
 
Trovo davvero generoso da parte del terzo uomo più ricco d'Italia mettere a disposizione i propri figli per risolvere tutti questi affanni in un batter d'occhio!
 
Ho quindi deciso di non perdere tempo e candidarmi ad essere impalmata da uno dei Suoi discendenti.
 
Ho 27 anni, laureata, bella presenza, sorriso da film americano, carattere estroverso e gentile. Ottimo pedegree: la mia famiglia è da sempre collocata politicamente a destra, addirittura un nonno partito volontario per El-Alamein! Parlo fluentemente due lingue, lavo, stiro, cucino.
 
Le confesso, egregio Presidente, di aver avuto qualche titubanza inziale: con quale orgoglio e rispetto di sè una donna potrebbe mai rinunciare ai diritti faticosamente conquistati dalle lotte femministe, alla propria indipendenza e alla propria identità, per diventare concubina di un miliardario? 
 
Ma se questa è l'unica soluzione possibile per il precariato femminile è inutile stare a spaccare il capello in quattro: non c'è problema che l'American Express platinum di un rampollo miliardario non possa risolvere!
 
La ringrazio per avermi offerto la possibilità  di non  far parte di quel 20% di donne che dopo il primo figlio esce defibitivamente dal mercato del lavoro, o della grande quantità di manager capaci che rimangono al palo economicamente e nella propria carriera lavorativa, che quotidianamente combattono in trincea per essere trattate al pari dei colleghi uomini.
 
Mi auguro quindi che vorrà valutare positivamente il mio profilo.
 
In attesa di Suo cortese cenno di riscontro, porgo i più cordiali saluti
 
carlotta nao


Ritorno a Fallujah

Tre anni dopo il devastante attacco degli Stati Uniti il nostro corrispondente è entrato nella città irachena sotto assedio, trovandola senza acqua pulita, corrente elettrica e medicine.

8 febbraio 2008 - Patrick Cockburn
Fonte: Indipendent on-line - http://www.independent.co.uk - 28 gennaio 2008, e 
 Associazione PeaceLink. Tradotto da Annamaria Arlotto

E' più difficile entrare a Fallujah che in qualsiasi altra città del mondo. Per la strada proveniente da Bagdad ho contato 27 posti di blocco, tutti sorvegliati da soldati e poliziotti ben armati . "L'assedio è totale" dice, scuro in volto, il dott. Kamal all'ospedale di Fallujah, mentre stila la lista di ciò che gli occorrerebbe, che comprende di tutto, dalle medicine all'ossigeno e dall'elettricità all'acqua pulita.
L'ultima volta che tentai di entrare a Fallujah in macchina, diversi anni fa, rimasi coinvolto nell'imboscata ad un convoglio americano che trasportava carburante, e dovetti uscire dall'auto a carponi e sdraiarmi sul ciglio della strada insieme all'autista, mentre tra soldati americani e guerriglieri si era aperto il fuoco. La strada adesso è molto più sicura ma a nessuno è concesso di entrare a Fallujah fuorché ai residenti in grado di comprovare che vivono là mediante documenti d'identità dettagliati. La città è isolata dal novembre del 2004, quando i Marines americani vi irruppero con un attacco che l'ha lasciata per la maggior parte in rovina.
Le strade, con i muri butterati dai segni delle pallottole e con gli edifici ridotti ad un cumulo di lastre di cemento, appaiono ancora come se il combattimento fosse cessato da poche settimane.
Sono andato a vedere il vecchio ponte sull'Eufrate dalle cui travi d'acciaio i falluiani avevano impiccato i corpi bruciati di due guardie private americane addette alla sicurezza, uccise dai guerriglieri - l'incidente che fu la scintilla che provocò la prima battaglia di Fallujah. Il ponte, a corsia unica, c'è ancora ed è sovrastato dalle rovine di un edificio bombardato o colpito da granate, il cui tetto, in frantumi, si allunga sulla strada mentre una rete di ferro arrugginita tiene insieme lastroni di cemento.
Il capo della polizia di Fallujah, il colonnello Feisal Ismail Hassan al-Zubai, ha cercato di far vedere che la sua città sta facendo progressi.
Mentre guardavamo il ponte una piccola folla si è radunata . Un anziano col cappotto marrone ha strillato: "non abbiamo l'elettricità, non abbiamo l'acqua!"
Altri hanno confermato che a Fallujah la corrente elettrica c'è per un'ora al giorno. Il colonnello Feisal ha detto che non poteva far molto riguardo ad acqua ed elettricità, ma ha promesso ad un uomo di togliere lo sbarramento fatto col filo metallico davanti al suo ristorante.
Fallujah se la passa forse meglio di prima, ma di strada da fare ne rimane tanta. I medici dell'ospedale confermano che sono diminuiti gli arrivi di vittime di sparatorie o esplosioni di bombe da quando il Movimento Awakening ha espluso al-Qa'ida dalla città negli ultimi sei mesi, ma la gente cammina ancora con cautela per le strade, come se si aspettasse che da un momento all'altro una sparatoria abbia inizio.
Il colonnello Feisal, un ex ufficiale delle Forze Speciali di Saddam Hussein, ammette gioiosamente che prima di essere a capo della polizia "combatteva gli americani". Suo fratello Abu Marouf, un tempo al comando della guerriglia, controlla 13.000 combattenti del Movimento anti al-Qa'ida Awakening, dentro e attorno a Fallujah. Il colonnello ha precisato che le strade di Fallujah non sono proprio sicure, ma il suo convoglio marcia veloce ed è condotto da un poliziotto con il volto coperto da un passamontagna bianca, che da sopra il veicolo e con in mano il fucile intima ai veicoli in arrivo di togliersi di mezzo gesticolando in modo frenetico.
Il commissariato di polizia è un locale ampio e protetto da barriere fatte con cemento e terra. Appena raggiunto il cortile interno abbiamo visto dei cartelli che dicevano che se la battaglia contro al-Qa'ida era finita non li erano però gli arresti. Da un'altra parte del commissariato è apparsa una fila di venti prigionieri, ognuno con gli occhi coperti da una benda bianca e aggrappato ai vestiti del prigioniero davanti. Quei prigionieri mi hanno ricordato le fotografie degli uomini che furono accecati dal gas durante la Prima Guerra Mondiale e che arrancavano dietro un uomo che invece ci vedeva e che era, in quel caso, un secondino della prigione.
Ci sono edifici nuovi sulla via principale. A mangiare andavo in un locale che fa kebab che si chiamava HajiHussein ed era uno dei migliori in Iraq. Ma col perdurare dell'occupazione ho cominciato ad attirare sguardi ostili, e il proprietario mi ha consigliato di mangiare al piano di sopra, in una stanza vuota, per sicurezza; poco dopo il locale è stato distrutto da una bomba americana. Adesso è stato ricostruito e dipinto con colori sgargianti, e sembra che gli affari vadano bene.
Un tempo Fallujah contava 600.000 abitanti: nessuno degli ufficiali in città sembra essere a conoscenza del numero attuale. Il colonnello Feisal è speranzoso riguardo agli investimenti e ci ha portato a vedere un nuovo edificio bianco chiamato Fallujah Business Development Centre, finanziato in parte da una divisione dello US State Department . Alcuni soldati americani alti stavano presidiando una conferenza sullo sviluppo economico. "Ha attratto un investitore americano finora" mi ha detto un consulente americano in divisa, con tono di speranza. "Io sono Sarah e mi occupo di interventi psicologici" mi ha detto un'altra funzionaria statunitense, che ci ha mostrato tutta fiera la nuova Radio Fallujah che aveva appena preso il via.
Dall'altra parte della città abbiamo attraversato il ponte di ferro costruito intorno al 1930 , che rappresenta adesso l'unico collegamento con l'altra sponda dell'Eufrate. Esiste un ponte moderno mezzo miglio in giù sul fiume ma l'esercito americano se ne è impossessato e lo usa, a sentire la gente del posto, come parcheggio per i veicoli. Dall'altra parte del ponte, passate le file di alti giunchi dove coloro che scappavano dalla città durante gli assedi del 2004 provavano a nascondersi, c'è un edificio sventrato dalle bombe dal lato della strada. Dall'altro c'è l'ospedale i cui dirigenti sono stati accusati dai comandanti americani di gonfiare sistematicamente il numero delle vittime del bombardamento americano.
Quando ho domandato cosa manca all'ospedale il dott. Kamal mi ha risposto: "medicine, combustibile, elettricità, generatori di corrente, un sistema per il trattamento delle acque, ossigeno e attrezzatura medica." Difficile non pensare che l'aiuto americano sarebbe stato meglio diretto verso l'ospedale anziché il centro per lo sviluppo economico...
Il colonnello Feisal ha detto che le cose stavano andando meglio, ma intanto era accerchiato da donne vestite di nero che gridavano che i loro bambini non erano stati curati.
"Ogni giorno 20 bambini muoiono qua" , ha detto una di loro, "Sette proprio in questa stanza."
I medici hanno detto che si prendono cura dei loro pazienti meglio che possono. "Gli americani non ci procurano nulla" ha detto una madre che cullava un bambino, "portano solo distruzione".

Note:
Tradotto da Annamaria Arlotta per www.peacelink.it


Ma in Messico, che ci fa Bella Ciao con la Coca?

(di Fabrizio Lorusso)

 Cosa direste se, tanto per fare un esempio, l’inno nazionale italiano o la marsigliese venissero storpiati e poi utilizzati per pubblicizzare in televisione un prodotto di una nota multinazionale americana, non propriamente tra le più nobili e apprezzate nel mondo? Bene, forse ad alcuni l’iniziativa farebbe semplicemente sorridere mentre per altri risulterebbe un terribile insulto o uno scherzo di cattivo gusto.

Qualcosa di simile sta succedendo in Messico con il nuovo spot di una bibita energetica, venduta anche in Italia, che risponde al nome di Aquarius e che sta diffondendo candidamente in TV la musica e le parole della nostra “Bella Ciao!” in versione ska – punk. Su numerosi blog e forum on-line in lingua spagnola, gruppi di entusiasti adolescenti e video ammiratori, quelli che si dedicano a votare su Internet le “reclame più belle dell’anno”, si sfidano per indovinare il titolo della canzone e poterla possedere scaricandola, “alguien sabe el titulo de la cancion del espot? La quiero…”. Intanto altri tristemente rispondono con un pizzico di compiacimento che sì, sanno tutto di lei, “se llama Bela Chau!, la publicidad es genial”. Poco geniale e divertente sembrerà a chi ancora ricorda e conosce il significato della resistenza, delle sue lotte, i suoi caduti e i suoi simboli. Una proposta promozionale che sarebbe stata improbabile e scandalosa in Italia, in terra azteca sta aprendo mercati senza grandi opposizioni e senza una dovuta opera di controinformazione in proposito.
Il bombardamento mediatico dello spot sta trasformando la nota canzone partigiana, memoria di avvenimenti lontani ma vivi, in un anonimo balletto da spiaggia, successo dell’estate consumabile sotto il sole del tropico come fosse un soft drink amaro e banale. Il problema è che, sebbene non si tratti formalmente di un inno nazionale, la canzone ha assunto nel tempo un ruolo simbolico e affettivo fondamentale per la memoria storica italiana e non solo. In tutta l’America Latina da tempo si ascoltano e si ballano le sue note in italiano e anche nella versione tradotta all’inglese la quale riesce, in qualche modo, a servirsi della “lingua globale” per scavalcare ermetiche frontiere, guadare fiumi militarizzati e varcare muri artificiali e ideologici.
I valori di libertà e speranza che il testo e la musica di Bella Ciao! rappresentano sono, ancora oggi, un baluardo contro tutte le repressioni e le tirannie da cui questa fetta di mondo è stata costantemente minacciata. Già di per sé, l’appropriazione di una melodia popolare per finalità di lucro appare come una scelta discutibile visto che promuove lo sfruttamento di un patrimonio collettivo per un puro e semplice guadagno privato. Ma in questo caso, inoltre, non si possono trascurare i protagonisti di questa sgradevole storia pubblicitaria: da un lato abbiamo la sottomarca Aquarius della Coca-Cola Company la quale, dopo essere diventata fieramente il baluardo di un modello consumista spinto al massimo in tutti gli angoli del globo, sta cercando di ripulire la sua immagine sbandierando una presunta responsabilità sociale, tutta da costruire, nei paesi in cui opera, nonostante le sue condotte siano state, in passato, alquanto discutibili e tendenzialmente monopolistiche; dall’altro c’è la canzone della resistenza partigiana contro l’occupazione nazi – fascista degli ultimi tragici anni del Secondo Conflitto Mondiale in Italia.
L’uso commerciale delle tracce insostituibili della memoria collettiva mondiale è, in fondo, una pratica radicata, una tentazione facile per il marketing soprattutto ora che, con la globalizzazione dell’economia e la rivoluzione nelle telecomunicazioni, servono ed urgono dei modelli interculturali cui attingere e, perché no, dei nomi e dei simboli da trasformare in marche.
Alcune di queste forse, una volta, erano il patrimonio di qualche popolo o cultura locale, e racchiudevano una porzione di un mondo ormai dimenticato. Oppure sintetizzavano cosmovisioni che vengono oggi vituperate nell’ambito di una cultura a senso unico e diventano, quindi, molto più facili da sfruttare e omologare per altri fini, come se fossero degli asset gratuiti pronti per l’uso col minimo sforzo: l’economicità dell’operazione è servita.
La reazione della società civile in Messico è stata, per ora, irrilevante e l’incarico di diffondere l’informazione su Bella Ciao!, i suoi significati e l’uso indebito che se ne sta facendo, è stato rilevato da alcuni gruppi organizzati di italiani all’estero come il collettivo AlterIta che sta organizzando piccoli incontri e raccogliendo le firme affinché tutti possano manifestare il proprio dissenso attraverso il suo blog all’indirizzo http://alteritamessico.blogspot.com/. Si stanno anche raccogliendo tra intellettuali, sindacalisti, accademici e personalità di spicco le adesioni a un comunicato stampa che verrà presto diffuso nei media messicani e italiani con il fine di non dimenticare e semplicemente lasciar perdere come spesso accade quando l’apatia conquista i cuori e la memoria.

SCUSATE SE E’ POCA Napoli, 23 febbraio Il Giorno del Rifiuto di Mimmo Grasso

E adesso dove la metto questa?”, pensa, corrucciatissimo, Dante mentre regge un sacchettone di spazzatura (e, ovviamente -è un poeta,no?-, che “spazzatura” è perifrastica attiva e futura). E’ indeciso se tenersela in mano o lanciarla cadere sulla capoccia dei passanti. Può anche darsi che la sta portando come souvenir non metaforico del suo viaggio iniziatico, del “rito di passaggio”. E se invece  fosse il contrario, vale a dire che porta con sé la “mappatella” con il necessario per il viaggio che stavolta inizia da Napoli? Immaginiamo quanti “maledetti dannati”  incontrerà laggiù e quale sarà l’ovvio contrappasso.
L’operazione di mettere nel giorno del “munnezza day” quel presente in mano all’ Alighieri (anche se mi pare che, tutto sommato, stia dicendo,nauseato, “scusate se è poca”) è di Giacomo Faiella, patafisico del Collegio Partenopeo (Rettore Mario Persico). La foto ha già girato mezzo mondo e sarebbe divertente analizzarla come “segno” in vari modi. Dante come lo spazzino di Baudelaire? Dante come emblema del “Trionfo della spazzatura” di Montale? Mah. Ovviamente, elaborando altre letture (teoria del caos, globalizzazione) lo stesso sacchetto può sostituire la fiaccola della statua della Libertà di Manhattan. La spazzatura come monumento e memento della morte del pianeta E, infatti, in termini di caos, le rovine delle Twin Towers (segno di sfacelo che, tuttavia, mantiene un valore storico e semantico) valgono le macerie di Napoli (che, appunto “macerano”, sono già ex-rovine).
Il 23 febbraio ero mischiato indifferenziato nella folla dei “munnezza day” di Napoli, in piazza Dante e ho ascoltato sia cose interessantissime che altre che non condivido (nel merito,ahimè, più che nel metodo).
Tra quelle del primo gruppo ci metterei le relazioni degli scienziati (Marfella, Pallante, Ortolani) sottolineando che Pallante ha fatto benissimo a tirare le orecchie ad altri scienziati che non rispettano il criterio che fonda la scienza, e che è l’abduzione di Peirce. In parole semplici, uno scienziato ragiona sempre (e fino a prova contraria)  se…allora, probabilmente e salvo che…. Suscita infatti enorme perplessità che altri addetti ai lavori, incluso i rappresentanti del Ministero della Salute, si mostrino tetragoni ottimisti in ordine ai rischi di malattia generate dai rifiuti tossici che,altrimenti, perché si chiamerebbero tossici, perché hanno la tosse?
Ma, come suol dirsi, occorre trasformare le minacce in opportunità, pensare positivo.  Se comandassi io, preparerei questa  strategia:
1. individuare qualche extracomunitario raccolto a Lampedusa e che abbia la dissenteria.
2.temporeggiare per togliere la spazzatura e aspettare che arrivi il caldo che, notoriamente, aumenta il rischio di epidemie.
3. creare una ditta e dittarelle collegate per la produzione di articoli sanitari e di vaccini (n.b.: chiedere ai comparielli della camorra di contattare la camorra cinese, così facciamo presto a soddisfare la richiesta ).
4. mandare in giro scagnozzi per acquistare tali prodotti fino ad esaurimento scorte e dimostrare, carte alla mano,  al Ministero competente che c’è un problema.
5. far dichiarare a vari primari ( miei debitori perché li ho messi io lì e in quel ruolo) che c’è il  rischio di colera (abbiamo precedenti credibili).
6. chiedere soldi a chi di dovere, così sano e risano la sanità campana (occorre fare presto: già escono articoli sui giornali. Devo fare una riunione coi direttori dei miei giornali  per dirgli che non sono ancora pronto).
7. in caso di risposta negativa, libererei per le strade di Napoli gli extracomunitari di cui sopra, facendoli ricoverare all’ospedale per le malattie infettive, dandone adeguata informazione ai media con l’ordine di monitorare il caso ogni giorno e aumentare le interviste ai luminari della scienza e al popolo (n.b. ricordarsi di farsi fare il riassunto della peste dei Promessi Sposi).(n.b.di n.b.: gli extracomunitari  non rischiano niente perché nessun napoletano se la prenderebbe con un povero cristo).
8. mandare i miei scagnozzi a fare casino sia tra i napoletani che tra gli extracomunitari e creare problemi seri di ordine pubblico.
9. nell’attesa dei soldi chiedere ai miei consulenti finanziari di elaborare un giro di fatture.
10. Arrivano i soldi, dò le percentuali, sistemo la sanità, recupero voti e posso anche alzare  senza storie le barriere per l’immigrazione.
Assurdo, vero? Chissà.
Pochi giorni fa ho letto che Hegel, che tifava per la rivoluzione francese, nel vedere Napoleone-a-Cavallo entrare a Jena, si emozionò e annotò:”Ho visto lo Spirito del mondo a cavallo”. E io, chi cazzo vedo? Qual è lo Spirito-del-mondo che mi privilegia di una “visione”? Mi devo accontentare di Re Ubush.
Ci hanno detto dal palco di piazza Dante che “L’incredibile è vero”, che “ciò che non sapete è l’incredibile”, ecc. Lo ha detto Grillo che ha anche chiesto “diecimila scuse” per come l’Italia ha trattato e tratta Napoli. Accetto le sue scuse, una tantum, perché ne avverto la sincerità, ma non accetterò mai quelle di altri. Dò atto a Grillo di aver centrato il bisogno di riscossa e di “appartenenza” di Napoli. Ciò che ha detto è vero e reale (documentabilissimo): le aziende del Nord hanno, ricorrendo all’offerta della camorra (e dunque rendendosi complici di coloro che dicono di condannare) usato la Campania come sversatoio di rifiuti tossici. Ma ciò, caro Grillo, fa parte della tradizione napoletana, a cominciare dai rifiuti del big-bang. Scherzo. E’ altresì  vero che Napoli & Affini è ancora colonia del Nord cui interessa comunque la raccolta, irriciclata, di  risparmio del sud che viene  investito al nord costringendo le imprese di qui a finire in mano agli strozzini (curiali o camorristi). Basta vedere, ad esempio, quante banche nuove sono state aperte negli ultimi dieci anni; leggere i flussi bankitalia relativi al risparmio  (dove viene raccolto e dove finisce). A proposito (sennò mi scordo: che fine hanno fatto i furbetti del quartierino? Riciclati? E vorremmo dimenticare Sindona, Calvi, Parmalat, Bipop e tantissimi altri?). I “napoletani” sono borsaioli ma non certo scalatori di borsa. Sono d’accordissimo inoltre nel condannare (ma è poco: occorre prenderli in giro)  i Savoia  scappati con la cassa (noblesse oblige) e ai quali non è stato inviato un regale vaffanculo. Hanno osato pensare addirittura a un risarcimento. Ok: facciamo un po’ di conti? D’accordissimo ancora su tante altre cose, ivi incluso il brigantaggio (per togliere ogni cattivo pensiero di resistenza duosiciliana il Piemonte pretendeva una ferma militare di sette anni). La “Questione meridionale” non si risolve da centinaia di anni perché  è una famelica opportunità settentrionale. Altresì, questa città non ha mai avuto un re napoletano. Sempre stranieri -e con l’indispensabile  sigillo papale. Forse solo Federico II si può considerare “napoletano” ed è stato lui, tra l’altro, che ha dato all’Italia la coscienza civile e il senso dello Stato, più tante altre cose modernissime. Tièh.
Marfella ci ha informati, da esperto, sul fatto che  noi, i napolegni, siamo geneticamente più forti perché sangue misto, meticci. Facciamo un po’ l’elenco: italici, osci, fenici, greci, romani, longobardi, bizantini, normanni, svevi, francesi, spagnoli, austriaci (cui si aggiungono gli extracomunitari di oggi, la cui maggiore rappresentanza da cinquant’anni è quella americana, per la presenza della Nato). Si, siamo geneticamente fortissimi. In tremila anni, facendo i conti delle lavandaie ,che sono diretti e non sbagliano, ognuno di questi invasori ha governato circa 10 generazioni a testa, quanto basta per mischiare il sangue come si deve. Conviene tenerci buoni: siamo un’ottima riserva di piatrine, “jettammo  ’o sango”.
Tre  passaggiì di Grillo, nel pieno della vis oratoria, non mi convincono. Anzi, non sono per niente d’accordo e posso accettarli solo come “pro-vocazione” agitatoria, come espediente –retorico-  per creare dissonanza e indurre a riflettere (probare-delectare-flectere- Cic, Quint.).
Il primo: “la camorra sarà anche camorra ma è intelligente e non avrebbe consentito che a Napoli arrivasse l’esercito”. Sorry: la camorra fa schifo e non è intelligente;  è tribale (nel senso di prepaleolitica, bestiale), conosce solo il diritto penale, ragiona esclusivamente  in termini di business, preda. E’ infatti il predatore che si organizza in gruppo per rubare la carcassa agli animali cacciatori, stanchi per le corse nella savana e il lavoro di appostamento. Non si penserà, spero, che il camorrista sia un povero diavolo senz’arte né parte. Il branco della camorra ha arte e parte e dividendi, s’intana a Piazza Affari e nei quartieri-bene. Il capo camorrista è altresì molto borghese. Mi chiedo inoltre cosa ci sia di diverso tra il contratto sottoscritto dall’Impregilo e un’estorsione. Se è vero che la mondezza che giace moribonda per le vie di Napoli appartiene, contrattualmente, all’Impregilo, De Gennaro sta facendo un’appropriazione indebita?
L’esortazione di non andare a votare credo vada nella direzione del “tanto peggio tanto meglio”. Credo che se non si va a votare si aprono spazi proprio a chi si vuole combattere e che certamente se ne impiperà dello scarso consenso numerico eventualmente espresso dal voto. Anzi, lavora meglio e senza controllo.
L’esortazione affinché Napoli chieda la separazione dal resto d’Italia, come ha fatto il Kossovo, può servire solo per far leva sulla presunzione che staccarsi dall’Italia possa contribuire a un senso di identità e sembra conseguente al solo vaffanculismo. Napoli non è il Kossovo, terra sulla quale sono morte migliaia di persone per motivi che non stiamo qui a ripetere (chiamiamola, alla Reich, “peste emozionale”). E, poi, scusate, se è utile che qualcuno vada via, perché non  i veneti o altri, quelli che ci hanno riempito di rifiuti pagando quattro soldi lo smaltimento affidato al malaffare e iscrivendo a bilancio tale costo al valore di mercato,lucrando anche sul differenziale e consolidando il rating (il che dimostra che la mondezza di Napoli è più che utile e che non è vero che non viene differenziata)? Perché la finanza non fa qualche ispezioncina sui loro bilanci e proprio per queste voci? E’ semplice: attraverso le fatture (che avranno una partita Iva) si può risalire alla ditta che ha trasportato i rifiuti e verificare dove li ha sgomberati. Poi, attraverso le analisi di bilancio della stessa e degli estratti conto è abbastanza agevole verificare che fine ha fatto il differenziale di cui sopra. M, comunque, perché dovremmo separarci? Mica siamo leghisti: abbiamo molto rispetto per gli antenati che sono morti per l’Italia. Ma, poi, se dobbiamo separarci, dovremmo anche in questo caso attualizzare i soldi che il Piemonte ha incamerato per la sua  tesoreria, valorizzare le industrie che c’erano, le materie prime passate di mano, ecc. E valorizzare le centinaia di migliaia di vite perse nelle miniere, ecoballe di carne . Un accordo col Belgio, per esempio, prevedeva negli anni  post-bellici tot tonnellate di carbone contro tot minatori del sud. Gli emigrati del Sud con le loro rimesse hanno consentito il boom economico italiano. Se vi capita di vedere la richiesta di attestazione dei redditi che l’INPS invia annualmente ai pensionati, noterete che c’è ancora la voce “indennità ex minatori del Belgio”. Mica occorrerà inserire anche la voce “Indennità Impresilo”? Occorrerà valorizzare, ancora, i giovanissimi napoletani che parteciparono come volontari per liberare la Spagna (4.000, mica bruscolotti). L’elenco, in tutti i settori,  sarebbe lungo e il risarcimento incalcolabile. Non ne vale la pena perché questi soldi non ce li restituiranno  mai e saremmo costretti a dichiarare guerra. Ma qui siamo tradizionalmente guerrafondai tra di noi e pacifisti con l’estero. L’unica realtà europea che non ha mai dichiarato guerra e ha voluto vivere in pace (nei limiti del tempo) è stato il Regno delle due Sicilie.
Comunque, grazie a Grillo l’ Italia sa -in modo diretto e senza fronzoli:è importante- da dove nasce questo pattume, perché Napoli è finita in questa situazione.
E ringrazio, di cuore, Franca Rame, che ha letto la sera del 23 febbraio una lettera indirizzata ad alcuni boss della camorra. Previdente, l’ha solo letta perché, imbucata, sarebbe tornata indietro con l’annotazione “sconosciuto all’indirizzo”. Il testo si trova su questo blog. Su Youtube si può ascoltare e vedere una buona parte della lettura. Mi ha meravigliato il suo trattare i camorristi come persone. Certo, so perfettamente che i vari Sandokan Tanzan e Madrake della camorra una lettera del genere non la leggeranno, neanche se gliela mette il figlio sotto il piatto il giorno di Natale (perché pure loro portano la famiglia in giro per presepi nella settimana dell’avvento). Ma perchè poi dovrebbero leggerla? Non possono farlo, sono analfabeti, sanno solo contare  e misurano il proprio onore con gli zero del conto in banca.
Questa lettera è stata tuttavia ascoltata da migliaia di persone, in diretta, ed ha fatto leva  sul loro profondo sentimento  di civiltà..
Ci sono dei momenti in cui ci sembra di rivivere le situazioni. Si tratta di quelle piccole piramidi di tempo che sono i dejà vu. Vi testimonio il mio: piazza Dante; il palco davanti all’emiciclo di una costruzione in rosso pompeiano; statue sui cornicioni. Port’Alba a sinistra
e il vico (famigerato) Carceri Sanfelice a destra.
Appare Franca, “figura” con un mantello rosso.
Le statue si danno la voce e guardano tutte verso il centro del palco.
Chi c’è con lei, Eleonora Pimentel Fonseca?
Sento aprirsi il portone di Palazzo Serra di Cassano, quello che il Principe, dopo l’impiccagione del figlio Gennaro, rivoluzionario del ’99, volle fosse chiuso per sempre.
E, altresì, mi è sembrato di vedere in quella piazza un tempo “mercatello” e scenario di giochi equestri,  un cavallo dal bel manto nero luminoso scalpitare senza briglie. E’ l’ Equus neapolitanus, il cavallo -furente- di Virgilio e simbolo di Napoli che un altro nobilissimo napoletano, Giuseppe Maresca, ha fatto resuscitare pochi anni fa, dedicandoci la vita. Un miracolo. E’, per capirci, come se un gesso pompeiano improvvisamente si alzasse dalla pomice, dalle rovine e dalle macerie  e, come niente fosse, vi dicesse “Che ora è?”  Non si sa -che anche l’arte equestre è nata a Napoli. Perché l’equus era senza briglie? Perché Carlo d’Angiò, venendo a Napoli, fece apporre, per sfregio all’irruenza dei napoletani, un paio di briglie sulla statua di un famosissimo cavallo di bronzo di cui è rimasta la testa, conservata oggi al Museo Archeologico Nazionale.
“Briglie consapevoli” di allora come lo “sfollagente consapevole” di oggi?
Beh, comunque, tornando a casa e passando davanti al Museo, ho sentito un nitrito.
 
 
 
                                                                                              Mimmo Grasso