Discussione politica

"Un´altra storia" diventa nazionale la Borsellino chiama il centrosinistra

É già nata in Sicilia ma ora punta a "sbarcare" nelle altre regioni italiane. Rita Borsellino vuole far diventare la sua associazione politica "Un´altra storia", nata dal lavoro sul territorio di oltre 200 cantieri, un soggetto plurale federato e federativo, che non sia contro i partiti ma a loro vantaggio, con l´obiettivo di «offrire dei luoghi della politica» per recuperare il rapporto con i cittadini-elettori ridotto ormai ai minimi termini, come dimostrano i tassi di astensionismo, e dare un contenuto progettuale all´antipolitica. «La protesta sterile fine a se stessa - teorizza la Borsellino, che ieri ha presentato a Roma il suo progetto alla presenza di Antonio Di Pietro e di Anna Finocchiaro - non porta da nessuna parte. Bisogna tornare a parlare con la gente».
I valori di riferimento sono quelli del centrosinistra («anche se ora come ora - dice la Borsellino sono diventati difficili da individuare») a cominciare dalla cultura della legalità. "Un´altra Storia" vuole essere una critica all´attuale governo e al modello che esprime. All´associazione hanno già aderito diverse celebrità del centrosinistra: da Flores D´Arcais a Carla Fracci, da Ovadia a Fo e Franca Rame, da Carlo Lucarelli a Dacia Maraini, a Roberto Benigni. 

La Repubblica, 4 luglio 2008


In piazza, subito, per la giustizia

1) Stiamo chiamando a raccolta coloro che si ostinano a credere di essere responsabili della democrazia nel proprio Paese perché credono che la democrazia italiana sia di nuovo in pericolo. Berlusconi chiede, e pensa di ottenere, anche con qualche sostegno parziale della opposizione, leggi che sono contro tutti le leggi e fuori del dritto. Lo sottraggono ai suoi processi e bloccano un numero altissimo di altri procedimenti.

2) Ci ammoniscono: questa volta no. Questa volta Berlusconi è stato eletto con una maggioranza che impedisce qualunque de-legittimazione. Rispondiamo: Non siamo noi a delegittimare. E’ il premier che delegittima se stesso con le leggi “private” che intende imporre. In ogni caso la parola serve a introdurre un clima di zuffa e di golpe che oscura la questione. La questione è opposizione. L’opposizione a leggi che violano le leggi (prima di tutto la Costituzione) è un dovere.

3) La democrazia è una forma di governo basato sulle garanzie di chi governa ai cittadini, e sul consenso dei cittadini a chi governa. Richiede, come ogni meccanismo geniale e delicato, continua sorveglianza e continua manutenzione. E’ vero, Berlusconi ha avuto (non tanto lui, ma certo la sua coalizione-testugine) molti voti in più dei suoi avversari. Quei voti gli aprono legittimamente la porta. Ma non approvano, o autenticano o dichiarano giusto e vero tutto ciò che il beneficiario di tutti quei voti farà, una volta varcata la soglia delle elezioni. Ogni atto successivo, se nel frattempo permangono condizioni di libertà, è soggetto al giudizio di chi si oppone. Tutto ciò non è automatico e per “partito preso”. Neppure i più aspri detrattori di Berlusconi si aspettavano che, per prima cosa, l’uomo di Arcore celebrasse il suo ritorno con leggi ancora peggiori di quelle per cui era già diventato celebre non solo in Italia.

4) Se il diritto al giudizio sugli atti di chi governa finisse nel giorno e nell’ora in cui viene eletto (è ciò che ti dicono i berlusconiani: “ Con tutti quei voti come osate criticarlo?) allora finirebbe la democrazia. E invece della democrazia ci sarebbe un consenso controllato.

5) Berlusconi è un primo ministro legittimo esattamente nella misura in cui l’ormai celebre primario della clinica Santa Rita di Milano è un chirurgo legittimo. Berlusconi ha avuto i suoi “pieni voti”, e così il chirurgo che asportava pezzi di corpo umano a piacere. Anche lui era arrivato al tavolo operatorio a pieni voti. Il giudizio - sul primo ministro e sul chirurgo (che in entrambi i casi si chiama “giustizia” e “difesa dei cittadini”) non contesta i “pieni voti”. Riguarda ciò che il titolare di quei voti fa nell’esercizio di un potere di cui, ad ogni istante, è chiamato a rendere conto.

6) E’ antidemocratico sostenere che il voto sospende il giudizio. Anche la pena di morte (in alcuni paesi tra cui gli Stati Uniti) è davvero democratica nel senso che più del 50 percento dei cittadini è a favore. Chi è contrario alla pena di morte però continua a battersi e non smette di chiedersi se ce la farà. Il consenso cambia, se c’è lotta e opposizione decisa. Questo è il tratto distintivo della democrazia, e il dovere democratico dei cittadini che non vogliono arrendersi. Questi cittadini non hanno voglia o interesse di sostenere che sono più bravi - o coraggiosi o democratici - di altri o che fanno una opposizione che altrimenti non si fa. Questo giudizio, a tempo debito, lo daranno col voto. Ma la questione urgente e grave è qui, adesso. E noi non vogliamo chiamarci fuori. Intendiamo esserci.

7) Esserci non vuol dire fare teatro, vuol dire fare politica. Poiché la grande stampa e tutte (tutte) le televisioni sotto controllo dirottano il discorso altrove o raccontano di un consenso che non c’è o di un premier e di un governo che esistono in dibattiti finti, commenti di esaltazione e “retroscena” concordati, noi ci rendiamo conto che la presenza fisica è indispensabile.
E’ ciò che ci resta come spazio di contatto con i cittadini.
Noi abbiamo orrore del silenzio, quelli di noi che hanno vissuto altre epoche difficili, come il fascismo. Sappiamo quanto rapidamente si passa dal silenzio al silenzio-assenso. Vuol dire, nei fatti, fine della libertà anche quando la libertà resta teoricamente nelle leggi.

8) Ci dicono: sarete in pochi. E’ possibile. Nella storia succede. Si va facilmente da un milione a duemila partecipanti. E ritorno. Ecco, noi contiamo sul ritorno. Sappiamo che avviene solo se non ci si sottomette alla “loro” regole del gioco. Solo se non si tace. Solo se non si finge di vivere in tempi di legale normalità.

 Furio Colombo


Direttive per il corteo d’autunno.

A tutti i compagni della sinistra.

Direttive per il grande corteo d’autunno di lotta e protesta indetto dal Pd contro il governo Berlusconi. Attenersi alle disposizioni. Per dubbi e domande rivolgersi al funzionario di zona. Non cedere alle provocazioni. Ingoiare questo articolo subito dopo la lettura.

Compagni del nord-est. Comporsi ordinatamente in corteo alle spalle della delegazione regionale capeggiata dal compagno Calearo. Evitare atteggiamenti minoritari, evitare abbigliamento troppo casual o trasandato: è possibile che il corteo venga invitato a un’assemblea di Confindustria. Non facciamo figuracce.

Precari. Le forze produttive sottopagate o ricattate dal capitale si comporranno dietro lo striscione della componente Giavazzi. Visto che hanno molto tempo libero fra un contrattino e l’altro, si consiglia attenta lettura dei fondi del “Corriere” da cui ricavare gli slogan di riferimento (licenziare meno/ licenziare tutti) Lo striscione con l’enorme scritta “Il liberismo è di sinistra” si collocherà immediatamente dopolo striscione di apertura del corteo.

Metalmeccanici. Tutti dietro lo striscione della componente Colaninno. Evitare inutili slogan sul contratto che risulterebbero controproducenti, sottolineare il ruolo degli imprenditori illuminati.

Anziani e pensionati. Non dimenticare l’acqua minerale. Esibendo la social card del governo, i panini verranno scontati del dieci per cento.

Caduti sul lavoro. Questa componente del corteo sarà numerosa ma, per forza di cose, immobile. Sarà aperta dal grande striscione “Industrie Marcegaglia”.

Comizio finale. Sul palco interverranno i maggiori esponenti del partito, a sottolineare la vivace democrazia interna. Aprirà Veltroni, e concluderà il comizio il compagno Walter Veltroni. Al termine defluire ordinatamente.

Il manifesto  A. Rebecchi


Doppio gioco: Il ritorno del caimano

E adesso, pover'uomo? Dalle parti di Walter Veltroni e del Partito democratico comincia a farsi largo il sospetto tremendo: e cioè di essere caduti come gonzi nella supertrappola di Silvio Berlusconi. Altro che lo 'statista', tutto sorrisi e nuova dignità istituzionale. Piuttosto l'autore di un trappolone pazzesco, una supercazzola storica, e un amo ingoiato dal Pd con tutta la lenza fino alla canna. Un tranello magistrale che inizia con la strategia del sorriso, qualche mese prima delle elezioni, allorché il Cavaliere comincia ad attrarre Veltroni verso una partita uno contro uno, contando sull'orgoglio dei veltroniani, e sulla loro fiducia che la grande novità rappresentata dal Pd potesse modificare strutturalmente il contesto competitivo, far dimenticare l'abisso di consenso in cui era precipitato il governo Prodi e consentire al nuovo centrosinistra di sfondare al centro, grazie al modernismo della sua proposta politica.
Come in tutte le trame perfette, il trucco era lì sul tavolo, in piena evidenza, e aveva le corna vichinghe e le fattezze della Lega, accolta nell'alleanza elettorale della destra come un partito 'regionale', e quindi marginale rispetto allo schema del faccia a faccia epocale Berlusconi-Veltroni; e rivelatasi invece decisiva, con il quasi raddoppio dei suoi voti al Nord, nella contabilità dei rapporti di forza elettorali e nel quantificare nella sua pesantezza la sconfitta del Pd. Ma il piatto presentato da Berlusconi era effettivamente appetitoso: comunque fossero andate le elezioni, il testa a testa fra il vecchio capopopolo di Forza Italia e il nuovo segretario del Pd avrebbe finalmente legittimato e normalizzato la politica italiana, attribuendo ai due leader un'allure 'costituente' e lasciando il campo libero per l'edificazione della terza Repubblica.

È per questo che fino a pochi giorni fa l'atteggiamento di Veltroni è sembrato giustificare l'attacco spazientito di Arturo Parisi, che con una secca intervista a 'la Repubblica' ha dettato il primo compito: "Ammettere la sconfitta". Altrimenti il Pd si sarebbe ancora trastullato, come dicono negli ambienti vicini all'ex ministro della Difesa, con la confortante, per quanto strampalata, idea di avere vinto o quasi le elezioni e di essere al governo con Berlusconi.

Per uscire da questa rosea nuvola, era necessario che il Cavaliere rivelasse il suo vero volto, che poi è il suo volto solito, con i 44 denti spianati del Caimano, l'animosità interessata contro la giustizia delle toghe rosse, quelle che vorrebbero appiccicargli addosso sei anni di condanna in primo grado per l'affare Mills, ossia per una presunta colossale evasione fiscale, e che hanno indotto Berlusconi a modificare il decreto sulla sicurezza per introdurvi le sue solite e costituzionalmente micidiali leggine 'ad personam'.

Ma in realtà, che sotto la maschera dello statista ci fosse sempre il solito Berlusconi, il demagogo insofferente dei controlli legali e istituzionali, era molto più di un sospetto dei malevoli. La strategia berlusconiana nel cammino verso Palazzo Chigi si era dispiegata con tutte le accortezze del caso. Il malfido Pier Ferdinando Casini era stato tenuto fuori dai confini del Pdl e dell'alleanza. Sopravvissuto elettoralmente, si era ritrovato in una posizione scomodissima, schiacciato fra Pdl e Pd, ignorato dai media, praticamente ridotto al silenzio; mentre l'altro dei dioscuri, Gianfranco Fini, che qualche mese fa aveva osato aprire una rissa a suon di insulti con il Cavaliere, era stato fatto accomodare sullo strapuntino della presidenza della Camera, terza carica dello Stato (in teoria), ma convogliato di fatto in un binario morto.

Ma il vero capolavoro di Berlusconi era stato fatto con la formazione del governo. Con Palazzo Chigi sotto la flautata regia di Gianni Letta, punto di incontro e di gestione di relazioni politiche, civili, militari e clericali, Berlusconi ha messo i suoi tasselli nelle posizioni critiche del governo. Accanto al disarmante Angelino Alfano, come vero ministro ombra della Giustizia ha piazzato il suo penalista Niccolò Ghedini, l'Azzeccagarbugli di cui sono note le sottigliezze giuridiche
E il capolavoro autentico è riuscito nell'assemblaggio del pacchetto di mischia del governo, in cui spiccano gli ultimi eredi del Psi e del craxismo (Renato Brunetta, Giulio Tremonti, Maurizio Sacconi, Franco Frattini, per non citare Stefania Craxi). Ora, vecchi e giovani craxiani, come Berlusconi sapeva bene, una dote ce l'hanno: sono capaci di fare politica. Hanno, storicamente, pochi tabù. Come cultura, sono eclettici.

E posti di fronte alla necessità di governare un paese in stagnazione economica, in cui sarà difficile rispondere alle aspettative suscitate fra i cittadini, soprattutto per ciò che concerne i redditi, specialmente Brunetta e Tremonti si sono detti che non era il caso di andare sul classico e sul prevedibile. Occorrevano invenzioni da "socialismo nazionale" (come disse Nino Andreatta nella polemica da 'comari' con Rino Formica: anche se va ricordato che spesso Andreatta pensava in inglese, e la formula 'national socialism', tradotta rigidamente in italiano, non suonava bene).

Brunetta ha attaccato sul fronte del pubblico impiego, aprendo il fronte della trasparenza e passando alle minacce contro i "fannulloni". Tremonti ha provato ad applicare sul campo i postulati del suo pamphlet 'La paura e la speranza', inventandosi la 'Robin Hood Tax', diventata rapidamente 'Robin Tax', in assonanza con la Tobin Tax dei no global acculturati, e che dovrebbe mettere le mani nelle tasche dei petrolieri e delle banche, tassando i profitti congiunturali. Ora, non ci vuole molto a capire che questa tassa è un taglieggiamento illiberale, e un'operazione di colossale demagogia (chi decide che i profitti sono eccessivi? Il ministro dell'Economia?). Altro che tassa "etica". Una gabella discrezionale, con verniciatura populista: un esercizio di cinismo politico a fini di consenso di stampo putiniano.

Eppure, in un ambiente culturale moralmente deprivato come quello italiano pochissime voci si sono sollevate contro il disegno neostatalista di Tremonti. Vecchi e giovani liberisti, che fino a mezz'ora fa tenevano lezioni ultraliberali con il ditino alzato e le labbra a culo di gallina, si sono adeguati senza battere ciglio ai diktat di Tremonti. Il povero ministro ombra Pier Luigi Bersani ha provato a spiegare che l'aggravio fiscale verrà immediatamente scaricato sui consumatori, "alla pompa", ma la sua voce, così come le tenui critiche della Confindustria, è stata soffocata dagli applausi delle platee osannanti.

Solo quando Berlusconi ha portato il colpo sulla giustizia qualcuno si è svegliato. E ha proceduto a un primo e provvisorio bilancio. Alla voce Alitalia, è probabile un mezzo disastro, dopo che il Cavaliere ha deliberatamente provocato il fallimento della trattativa con Air France; potrebbe risultarne uno spezzatino e una significativa perdita di posti di lavoro. Sui rifiuti a Napoli, il premier si è buttato a corpo morto, sempre sulla base dell'idea che i problemi si risolvono soltanto se lui si arrotola le maniche (ma ci vorranno tre anni, la militarizzazione delle discariche, e qualche prodigio nei tempi nella realizzazione dei termovalorizzatori).Il nucleare è stato rilanciato dall'esperto dell'uranio Scajola, senza nessuna discussione e senza nessun approfondimento, con l'annuncio che partirà nel 2013 ma ovviamente senza spiegare dove (dire quando si avvierà un programma nucleare è facile, dire i luoghi in cui si metteranno le centrali, invece, meno).
Sul piano interno, dopo avere costruito un clima demenziale verso immigrati e zingari, e combinato qualche casino con il reato o l'aggravante legati alla clandestinità, il governo ha lanciato la pazza iniziativa della militarizzazione delle città, un segnale deprimente che moltiplica l'allarme per la sicurezza. In politica estera Berlusconi e Frattini hanno già offerto a George W. Bush, sull'impegno in Afghanistan, più di ciò che il presidente americano poteva e voleva offrire in cambio. In Europa, il governo ha annunciato che terrà fede ai programmi prodiani sul rientro del deficit e, a parte qualche volgarità leghista sul referendum irlandese, per ora non sembra coltivare vere vocazioni euroscettiche. Il resto, sfoltimento delle province e tagli pesanti agli enti locali, appartiene al Dna del centrodestra. Abolizione dell'Ici e detassazione parziale degli straordinari erano due misure simboliche, poco utili e forse dannose.

Ma adesso che Berlusconi si è sentito obbligato a riaprire il cantiere del conflitto con la giustizia, che potrebbe avere riflessi distruttivi sul piano costituzionale (in particolare con il presidente della Repubblica), tutti gli infingimenti sono caduti. Per ciò che riguarda il Cavaliere, essendo lui naturalmente disinibito, si arrangerà: avanzerà o arretrerà in base ai suoi interessi, al timore delle condanne, alla prospettiva di farsi eleggere a maggioranza sul Colle più alto. L'attacco alla libertà d'informazione con il disegno di legge sulle intercettazioni prepara comunque un clima da 'demokratura', con gli intellettuali sedicenti liberali che plaudono alla stretta sui media.

In ogni caso, il problema riguarda soprattutto Veltroni: il Pd è diviso fra correnti, fondazioni, centri culturali, e l'intera sinistra appare talmente abbattuta (vedi i catastrofici risultati amministrativi in Sicilia) da rischiare l'evaporazione. Con ogni probabilità il disegno strutturale del leader del Pd, pacificazione politica e riforme, è abortito. Il risultato elettorale è stato fallimentare, il programma istituzionale sta per arenarsi di fronte alla protervia di Berlusconi. In questa situazione, non c'è congresso che possa rianimare il Pd. Ma se si tratta di inventare qualcosa per salvare il salvabile, per i 'democrat' è venuto il momento di pensare a qualcosa di eccezionale, di emergenziale: forse perfino di eroico, anche se sappiamo che è sfortunato quel partito che ha bisogno di eroi.

Edmondo Berselli - da L'Espresso

21 giugno 2008 


La parrucca del Re Sole che governa il Belpaese

di EUGENIO SCALFARI

"BERLUSCONI vuole dimostrare che per governare la crisi italiana è costretto per necessità a separare lo Stato dal diritto. Come se il Paese attraversasse una terra di nessuno. Il soldato come questurino, il giudice come chierico, il giornalista come laudatore: sono le tre figure di una scena politica che minaccia di trasformare il senso della nostra forma costituzionale. Sono i fantasmi di un tempo sospeso dove il governo avrà più potere e il cittadino meno diritti, meno sicurezza, meno garanzie". Così ha scritto ieri Giuseppe D'Avanzo su questo giornale.

Purtroppo questo suo giudizio fotografa esattamente la realtà. Non sarà fascismo, ma certamente è un allarmante "incipit" verso una dittatura che si fa strada in tutti i settori sensibili della vita democratica, complici la debolezza dei contropoteri, la passività dell'opinione pubblica e la sonnolenta fragilità delle opposizioni.

Questa sempre più evidente deriva democratica, che si è profilata fin dai primi giorni della nuova legislatura ed è ormai completamente dispiegata davanti ai nostri occhi, ha trovato finora il solo argine del capo dello Stato. Giorgio Napolitano sta impersonando al meglio il suo ruolo di custode della Costituzione. L'ha fatto con saggezza e fermezza, dando il suo consenso alle iniziative del governo quando sono state dettate da necessità reali come nella crisi dei rifiuti a Napoli, ma lo ha negato nei casi in cui le emergenze erano fittizie e potevano insidiare la correttezza dei meccanismi costituzionali. Sarebbe tuttavia sbagliato addossare al presidente della Repubblica il peso esclusivo di arginare quella deriva: se la dialettica si riducesse soltanto al rapporto tra il Quirinale e Palazzo Chigi la partita non avrebbe più storia e si chiuderebbe in brevissimo tempo. Bisognerà dunque che altre forze e altri poteri entrino in campo.

Bisogna denunciare e fermare la militarizzazione della vita pubblica italiana della quale l'esempio più clamoroso si è avuto con i provvedimenti decisi dal Consiglio dei ministri di venerdì sulla sicurezza e sulle intercettazioni: due supposte emergenze gonfiate artificiosamente per distrarre l'attenzione dalle urgenze vere che angustiano gran parte delle famiglie italiane.

la prima volta che l'Esercito viene impegnato con funzioni di pubblica sicurezza. Quando fu assassinato Falcone e poi, a breve distanza di tempo, Borsellino, contingenti militari furono inviati in Sicilia per presidiare edifici pubblici alleviando da quelle mansioni la Polizia e i Carabinieri affinché potessero dedicarsi interamente alla lotta contro una mafia scatenata.

Ma ora il ruolo che si vuole attribuire alle Forze Armate è del tutto diverso: pattugliamento delle città con compiti di pubblica sicurezza e quindi con poteri di repressione, arresto, contrasti a fuoco con la delinquenza.

Che senso ha un provvedimento di questo genere? Quale utilità ne può derivare alle azioni di contrasto contro la malavita? La Polizia conta ben oltre centomila effettivi, altrettanti ne conta l'Arma dei carabinieri e altrettanti ancora la Guardia di finanza. Affiancare a queste forze imponenti un contingente di 2.500 soldati è privo di qualunque utilità.

Se il governo si è indotto ad una mossa tanto inutile quanto clamorosa ciò è avvenuto appunto per il clamore che avrebbe suscitato. Tanto grave è l'insicurezza delle nostre città da render necessario il coinvolgimento dell'Esercito: questo è il messaggio lanciato dal governo. E insieme ad esso l'eccezionalità fatta regola: si adotta con una legge ordinaria una misura che presupporrebbe la dichiarazione di una sorta di stato d'assedio, di pericolo nazionale.
Un provvedimento analogo fu preso dal governo Badoglio nei tre giorni successivi al 25 luglio del '43 e un'altra volta nel '47 subito dopo l'attentato a Togliatti. Da allora non era più avvenuto nulla di simile: la Pubblica sicurezza nelle strade, le Forze Armate nelle caserme, questa è la normalità democratica che si vuole modificare con intenti assai più vasti d'un semplice quanto inutile supporto alla Pubblica sicurezza.

* * *

Il disegno di legge sulle intercettazioni parte dalla ragionevole intenzione di tutelare con maggiore efficacia la privatezza delle persone senza però diminuire la capacità investigativa della magistratura inquirente.

Analoghe intenzioni avevano ispirato il ministro della Giustizia Flick e dopo di lui il ministro Clemente Mastella, senza però che quei provvedimenti riuscissero a diventare leggi per la fine anticipata delle rispettive legislature.

Adesso presumibilmente ci si riuscirà ma anche in questo caso, come per la sicurezza, il senso politico è un altro rispetto alla "ragionevole intenzione" cui abbiamo prima accennato. Il senso politico, anche qui, è un'altra militarizzazione, delle Procure e dei giornalisti.

Le Procure. Anzitutto un elenco dei reati perseguibili con intercettazioni. Solo quelli, non altri. E' già stato scritto che lo scandalo di Calciopoli non sarebbe mai venuto a galla senza le intercettazioni. Così pure le scalate bancarie dei "furbetti". Ma moltissimi altri. Per chiudere sul peggiore di tutti: la clinica milanese di Santa Rita, giustamente ribattezzata la clinica degli orrori.

Le intercettazioni poi non possono durare più di tre mesi. Non c'è scritto se rinnovabili e dunque se ne deduce che rinnovabili non saranno. Cosa Nostra, tanto per fare un esempio, è stata intercettata per anni e forse lo è ancora. Tre mesi passano in un "fiat", lo sappiamo tutti.

I giornalisti e i giornali. C'è divieto assoluto alla pubblicazione di notizie fin all'inizio del dibattimento. Il deposito degli atti in cancelleria non attenua il divieto. Perché? Se le parti in causa o alcune di esse vogliono pubblicizzare gli atti in loro possesso ne sono impedite. Perché? Non si invochi la presunzione di innocenza poiché se questa fosse la motivazione del divieto bisognerebbe aspettare la sentenza definitiva della Cassazione. Dunque il motivo della secretazione è un altro, ma quale?

In realtà il divieto non è soltanto contro giornali e giornalisti ma contro il formarsi della pubblica opinione, cioè contro un elemento basilare della democrazia. Il caso del Santa Rita ha acceso un dibattito sull'organizzazione della Sanità, sul ruolo delle cliniche convenzionate rispetto al Servizio sanitario nazionale. Dibattito di grande rilievo che potrebbe aver luogo soltanto all'inizio del dibattimento e cioè con il rinvio a giudizio degli imputati.

L'eventuale archiviazione dell'istruttoria resterebbe ignota e così mancherebbe ogni controllo di opinione sul motivo dell'archiviazione e su una possibile critica della medesima. Così pure su possibili differenze di opinione tra i magistrati inquirenti e l'ufficio del Procuratore capo, sulle avocazioni della Procura generale, su mutamenti dei sostituti assegnatari dell'inchiesta. Su tutti questi passaggi fondamentali la pubblica opinione non potrebbe dire nulla perché sarebbe tenuta all'oscuro di tutto.

Sarà bene ricordare che il maxi-processo contro "Cosa Nostra" fu confermato in Cassazione perché fu cambiato il criterio di assegnazione dei processi su iniziativa del ministro della Giustizia dell'epoca, Claudio Martelli, allertato dalla pressione dei giornali in allarme per le pronunce reiterate dell'allora presidente di sezione, Carnevale. Tutte queste vicende avvennero sotto il costante controllo della stampa e della pubblica opinione allertata fin dalla fase inquirente. Falcone e Borsellino non erano giudici giudicanti ma magistrati inquirenti. Mi domando se avrebbero potuto operare con l'efficacia con cui operarono senza il sostegno di una pubblica opinione esaurientemente informata.

Le gravi penalità previste da questa legge nei confronti degli editori costituiscono un gravame del quale si dovrebbero attentamente valutare gli effetti sulla libertà di stampa. Esso infatti conferisce all'editore un potere enorme sul direttore del giornale: in vista di sanzioni così gravose l'editore chiederà a giusto titolo di essere preventivamente informato delle decisioni che il direttore prenderà in ordine ai processi. Di fatto si tratta di una vera e propria confisca dei poteri del direttore perché la responsabilità si sposta in testa al proprietario del giornale.

Si militarizza dunque il giudice, il giornalista ed anche la pubblica opinione.

* * *

Ha ragione il collega D'Avanzo nel dire che questi provvedimenti stravolgono la Costituzione. Identificano di fatto lo Stato con il governo e il governo con il "premier". Se poi si aggiunge ad essi il famigerato lodo Schifani, cioè il congelamento di tutti i processi nei confronti delle alte cariche dello Stato, l'identificazione diventa totale.

Qui il nostro discorso arriva ad un punto particolarmente delicato e cioè al tema dell'opposizione parlamentare.

Parlo di tutte le opposizioni politiche. Ma in particolare parlo del Partito democratico.

Negli ultimi giorni il Pd e Veltroni quale leader di quel partito hanno assunto su alcune questioni di merito atteggiamenti di energica critica nei confronti del governo. La luna di miele di Berlusconi è ancora in pieno corso con l'opinione pubblica e con la maggior parte dei giornali ma è già svanita in larga misura con il Partito democratico. Salvo un punto fondamentale, più volte ribadito da Veltroni: il dialogo deve invece continuare sulle riforme istituzionali e costituzionali.
E' evidente che questa "riserva di dialogo" condiziona inevitabilmente il tono complessivo dell'opposizione. Le riforme istituzionali e costituzionali sono di tale importanza da trasformare in "minimalia" i contrasti di merito su singoli provvedimenti. Tanto più che Tremonti chiede all'opposizione di procedere "sottobraccio" per quanto attiene alla strategia economica; ecco dunque un'ulteriore "riserva di dialogo". Sembrerebbe, questa, una novità a tutto vantaggio dell'opposizione ma non è così. La politica economica italiana dovrà svolgersi nei prossimi anni sotto l'occhio vigile delle Autorità europee. Che ci piaccia o no, noi siamo di fatto commissariati da Bruxelles.

Tremonti dovrà assumere responsabilità impopolari. Necessarie, ma impopolari e vuole condividere con l'opposizione quell'impopolarità.

Intanto, nel merito delle riforme, Berlusconi procede come si è detto e visto, alla militarizzazione del sistema. "L'Etat c'est moi" diceva il Re Sole e continuarono a dire i suoi successori fin quando scoppiò la rivoluzione dell'Ottantanove.
Voglio qui ricordare che uno dei modi, anzi il più rilevante, con il quale l'identificazione dello Stato con la persona fisica del Re si realizzò fu l'asservimento dei Parlamenti al volere della Corona. Gli editti del Re per entrare in vigore avevano bisogno della registrazione dei Parlamenti e soprattutto di quello di Parigi. Questa era all'epoca la sola separazione di poteri concepita e concepibile. Ma il re aveva uno strumento a sua disposizione: poteva ordinare ai Parlamenti la registrazione dell'editto. Di fronte all'ordine scritto del Sovrano il Parlamento registrava "con riserva" e l'editto entrava in funzione. Di solito quest'ordine veniva dato molto di rado ma col Re Sole e con i suoi successori diventò abituale. Quando i Parlamenti si ribellarono ostinandosi a non obbedire il Re li sciolse. Il corpo del Re prevalse sulla labile democrazia del Gran Secolo.

Il Re Sole. Ma qui il sole non c'è. C'è fanghiglia, cupidigia, avventatezza, viltà morale. Corteggiamento dell'opposizione. Montaggio di paure e di pulsioni. Picconamento quotidiano della Costituzione.
Quale dialogo si può fare nel momento in cui viene militarizzato il Paese nei settori più sensibili della democrazia? Il Partito democratico ha un solo strumento per impedire questa deriva: decidere che non c'è più possibilità di dialogo sulle riforme per mancanza dell'oggetto. Se lo Stato viene smantellato giorno per giorno e identificato con il corpo del Re, su che cosa deve dialogare il Pd? E' qui ed ora che il dialogo va fatto, la militarizzazione va bloccata. Le urgenze e le emergenze vanno trasferite sui problemi della società e dell'economia.

"In questo nuovo buon clima si può fare molto e molto bene" declama la Confindustria di Emma Marcegaglia. Qual è il buon clima, gentile Emma? Quello dei pattuglioni dei granatieri che arrestano gli scippatori e possono sparare sullo zingaro di turno? Quello dell'editore promosso a direttore responsabile? Quello del magistrato isolato da ogni realtà sociale e privato di "libero giudizio"? Quello dei contratti di lavoro individuali? E' questo il buon clima?

Ricordo che quando furono pubblicati "on line" gli elenchi dei contribuenti ne nacque un putiferio. Il direttore dell'Agenzia delle Entrate, autore di tanto misfatto, fu incriminato e si dimise. Ma ora il ministro Brunetta pubblica i contratti di tutti i dirigenti pubblici e le retribuzioni di tutti i consulenti e viene intensamente applaudito e incoraggiato. Anch'io lo applaudo e lo incoraggio come ho applaudito allora Visco e Romano. Ma perché invece due pesi e due misure? La risposta è semplice: per i pubblici impiegati si può.

E' questo il buon clima? Attenti al risveglio, può essere durissimo. Può essere il risveglio d'un paese senza democrazia. Dominato dall'antipolitica. Dall'anti-Europa. Dall'anarchia degli indifferenti e dalla dittatura dei furboni.

Io trovo che sia un pessimo clima.

(

15 giugno 2008

).


Avviso d'incendio - di Rossana Rossanda e Valentino Parlato

Oggi il manifesto si è vestito di nuovo, più pulito, più ordinato, più elegante. Non che a indossarlo sia un bel ventenne, abbiamo i nostri 37 anni, difficile definirci splendidi quarantenni, abbiamo più che rughe qualche livido. Viviamo nell'incubo di un debito pesante e siamo persino in «stato di crisi» con la cassa integrazione a rotazione. Ma siano inossidabili, questo è certo. E rilanciamo. Diceva un adagio spagnolo che un gentiluomo dev'essere sempre in condizione di incontrare il suo amore, la sua morte, il suo re. Eccoci pronti. Il nostro amore lo abbiamo un poco perduto di vista ma sta qui intorno da qualche parte. Con la nostra morte siamo avvezzi a batterci un paio di volte all'anno. L'attuale re si tratta di sbalzarlo da cavallo prima che lui sbalzi noi. Non ce la faremo da soli, ma dobbiamo metterci più sprint. A questo ci attrezziamo.
L'Italia va incontro ai tempi più oscuri da quando è nata la repubblica. Ha mandato spensieratamente a Palazzo Chigi un governo di fascistoidi, bugiardi e corruttori.

Fascistoidi non solo perché siamo il solo paese in Europa la cui Camera è presieduta da un ex missino e la capitale idem, ma perché il peggio della destra - razzismo, superomismo, arroganza, disprezzo per la democrazia, vaghe idee ma ostili alla Costituzione, populismo, «noi tireremo diritto», balle tipo trecentomila fucili pronti a sparare, il ricatto come metodo dei rapporti - sta dilagando senza fare scandalo, come se un po' di fascismo quotidiano fosse ovvio e comunque disinnescato. E poi, bugiardi, una cosa dicono oggi e ritirano domani, nella persuasione che basti affermarla due volte ergendo il petto perché sia vera. E corruttore il loro leader, scampato alla giustizia solo in grazia alle prescrizioni perseguite dai suoi avvocati, il più vanesio e ridicolo dei capi di stato del continente - e non è che ne manchino.
Al potere da poche settimane, questo governo ogni giorno ne tira fuori una - ha già ridetassato chi ha una casa per ingraziarsi chi qualcosa possiede e va strillando in tv che le pensioni costano il 60 per cento della spesa pubblica mentre sono pagate dai lavoratori fino all'ultimo euro. Agita la galera per l'affamato che riesce ad aggrapparsi fino alle nostre sponde e per chi non si presenta al lavoro nel pubblico impiego. Il premier vagheggia l'uso dell'esercito per le popolazioni del sud strette fra la discarica sotto casa e le forze armate che gli impongo di lasciarvela mettere, mentre dopo la prima devastazione voluta da Veltroni delle povere baracche di un campo romeno, abbiamo un pogrom spontaneo alla settimana. Alemanno ha giurato di far fuori da Roma tutti gli immigrati clandestini, cioè tutti quelli che non sono venuti con un contratto in mano, e Maroni insiste che chi non lo ha vada dentro da sei mesi ai quattro anni. Già succede in Francia, ha detto - e tutti zitti. Finché Sarkozy ha spiegato a Berlusconi che questa è una disposizione mai applicata una volta, non essendosi trovato un Pm che abbia la faccia di chiederla. E poi, osservano coraggiosamente i democratici, è più facile cacciare gli immigrati senza processo che con, e cacciarli in fretta è quel che conta. Con l'amico Sarkozy il nostro presidente avrebbe già cambiato a fine settimana le nostre cosiddette missioni di pace in esplicite missioni di guerra per far contento l'amico Bush se proprio l'altro ieri Obama non avesse vinto le primarie dei democratici e va a capire se non lascia Iraq e Afghanistan per primo. E sempre Berlusconi avrebbe già fissato il viaggio dall'amico Olmert se questi non fosse sulla via dell'uscita anche lui per corruzione.
Sarebbe un governo pessimo come altri, se ci fosse una opposizione come altre, che non si felicitasse con il premier ogni due giorni, ricevendo in cambio congratulazioni per le sue buone maniere. Ratzinger, che da giovane ne ha viste altre, fa sapere di essere tutto contento per il «clima» che vige oggi in Italia. Trovarne uno che alle prodezze della Lega sbotti: Ma questa è una vergogna! No, uno c'è, Massimo Cacciari, ora che i serenissimi vogliono impedire un quartiere per i sinti, ancorché siano italiani e paghino le tasse da decenni. Ma non c'è una società civile che scenda in piazza a dire: Questo è troppo. Basta qualche decina di leghisti a Mestre per bloccare un cantiere, perché Venezia dorme, non vede, non sente.
Questo è il guasto profondo, e in atto da tempo. La tempesta elettorale ha solo reso evidente un processo di egoismo, e incarognito, che ha portato l'Italia a essere il solo paese d'Europa che ha tutta la destra al governo e tutta la sinistra fuori dal parlamento. Non ce ne sono altri. E se questo è successo, qualche responsabilità l'avremo avuta pure noi nel nostro piccolo. Per distrazione, per sufficienza, perché «rivoluzione o niente», per stanchezza - siamo in campo da quasi quarant'anni, troppo modesto distributore di contravveleni.
Il peggio che avviene nelle situazioni simili alla nostra è il pensare di non farcela, che tanto tutto è inutile, vero motivo della disaffezione di chi scrive e di chi legge, mentre le piccole ferite che ognuno si sente bruciare sulla pelle a forza di tirare la carretta non aiutano a liberarsi dai vecchi vizi e dai vecchi vezzi. Come potrebbe essere diverso con l'aria che tira? Anche il manifesto ha avuto le sue linee d'ombra, i suoi momenti di spleen.
Ma non c'è più tempo per lo spleen. Si sente puzza di fuoco, mettiamo fuori il cartello «Avviso di incendio!» come Walter Benjamin nella repubblica di Weimar, era il 1926. Non fu molto ascoltato. Noi abbiamo meno genialità ma più lettori di quel profetico infelice. E avvertiamo compagni ed amici - si diceva una volta - che chi ha adesso le redini del paese non farà prigionieri, come ebbe a dire Previti. A lui non è andata bene. Perché non vada bene ai suoi consoci, il manifesto riparte ancora una volta.
Dateci una mano.


Farla finita con la Realpolitik

 
di Paolo Flores d'Arcais
Il nostro torto è di non credere alle nostre analisi. Quando Nanni gridò a piazza Navona oltre sei anni fa che "con questi dirigenti non vinceremo mai più", in tanti trovammo che quel grido di indignazione e rabbia era la migliore sintesi di anni di riflessioni (anche su MicroMega, anzi quasi solo su MicroMega), e che la rabbia poteva diventare azione, e quindi speranza. Pochi giorni dopo, infatti, realizzammo il Palavobis, a cui stavamo già lavorando, e pochi mesi dopo il milione e più di auto-organizzati a piazza san Giovanni.
Ma a quel punto cominciammo a non prendere più sul serio le nostre analisi, a sostituirle con le illusioni. Le solite illusioni: che quei dirigenti sarebbero cambiati (nel duplice senso: di imparare loro stessi, o di rinnovare parzialmente i gruppi dirigenti dall’interno).

Illusioni o meno, abbiamo fatto fino in fondo, e anzi oltre, il nostro dovere secondo la "disciplina repubblicana", votando chi non ci convinceva affatto (o peggio) pur di evitare la vittoria del peronismo-videocratico-clerico-fascista. Non è servito a nulla. Le colpe, le ignominie, le dissipazioni, le mediocrità, accumulate e stratificate negli anni dalla nomenklatura variegata del centro-sinistra, sono state più forti di ogni generosità e di ogni impegno: masse di cittadini democratici hanno detto chiaramente, con il loro non-voto, che non sono più disponibili per un "meno peggio" che evidentemente sentono sempre meno distinguibile dal peggio-peggio berlusconiano, leghista e post-fascista.
A questo punto, e dentro una catastrofe che abbiamo fatto di tutto per evitare e di cui solo le nomenklature del centro sinistra (tutte, vecchie e nuove) portano l’intera responsabilità, è lo stesso realismo che impone di farla finita con ogni Realpolitik. L’unica strada che ancora non è stata percorsa è quella della coerenza intransigente e radicale con i valori che si dichiarano. E’ l’unica, perciò, che abbia senso percorrere.
Lungo tale strada il primo equivoco da spazzar via è che ci fossero due sinistre. Ve ne era ed è una sola: PARTITOCRATICA, anche se poi variegata in apparenze più o meno moderate o radicali. Ma i Bertinotti e i D’Alema non sono né moderati né radicali: sono autoreferenziali, sono CASTA.
Ora ci aspettano anni in cui sarà necessario fare politica direttamente, auto-organizzandosi, in mille club, tematici, territoriali, telematici, senza la pretesa di una "linea generale" onnicomprensiva da condividere, ma anche senza più l’illusione che il momento elettorale possa esser delegato alla casta medesima.
Cominciamo subito, perciò, a proporre esperienze di azione politica nuova, a praticarle, a raccontarle, in coerenza con i valori del Palavobis e di san Giovanni. Senza la pretesa di "coordinarle", ma di comunicarle e moltiplicarle. Del resto, la "democrazia presa sul serio" ha almeno un suo rappresentante in Parlamento: Pancho Pardi.
Non perdiamoci di vista e non limitiamoci alla geremiade. Il sito di MicroMega cercherà di servire anche a questo.

(29 aprile 2008)

Il dopo elezioni

Farla finita con la Realpolitik


Ma che sarà mai altri 5 anni con Berlusconi?!?

Pare proprio che sia arrivata una tranvata di proporzioni galattiche.
Gli italiani hanno scelto i 56 pregiudicati di Berlusconi, i condoni, le tasse non pagate, la criminalità organizzata. Veltroni gli ha dato una mano fingendo di cambiare ma tenendosi Bassolino e 18 condannati tra i candidati. La sinistra ha scelto il suicidio con pacchi di decisioni ambigue.
E adesso ci tocca di affrontare un bel casino.
Comunque potrebbe esserci di peggio. Al momento non mi viene in mente niente ma...
Ad esempio poteva resuscitare Hitler e riinvaderci.
Di certo non ci resta che rimboccarci le maniche.
E comunque cerchiamo di prenderla sul ridere che sennò rischia di far male alla salute.
In fondo è divertente che Berlusconi abbia stravinto.
E ha anche un sacco di capelli.
Ok, questa non fa ridere.
Va beh, ci penso su e ve ne tiro fuori una da scompisciarsi.
Giuro.
Vado un attimo di là a piangere e poi ve la dico.
Ripubblico qui l'articolo che ho pubblicato all'indomani della caduta di Prodi che si intitolava proprio (ma tu guarda):
Va beh… ecche’ sara’ mai un altro governo Berlusconi?!?
Va bene, e’ stata una batosta questo crollo di Prodi, prima ancora che riuscisse a compiere qualche piccolo o grande passo verso il rinnovamento dell’Italia.
Devo dire che anch’io sono crollato psicologicamente, telefono ai miei amici e piangiamo insieme singhiozzando.
Ma ci meritiamo veramente questa situazione di merda? Dopo tutti gli sforzi di questi anni, finalmente si intravedeva un filo di luce… E adesso che succede?
Comunque, a questo punto, tocca farsene una ragione, elaborare il lutto e cercare di capire quale lezione positiva possiamo ricavare.
Ovviamente, prima, hai l’autorizzazione a urlare per quindici minuti che i leader del centro sinistra sono persone con le quali non vorresti mai, in nessun caso, fare sesso. E puoi anche scendere in dettagli vigorosi esprimendo i tuoi giudizi sul loro buon senso, coerenza, fantasia e dedizione alla causa del progresso.
Ma poi ti tocca anche cercare i lati positivi delle questione! Se no cadi in depressione e Silvio ci gode. Vuoi dargliela vinta?
Non ci credo!
Quindi tiriamo su i pezzi della nostra anima e cerchiamo di cambiare prospettiva.
Innanzitutto possiamo dire che la nostra delusione nasce dal fatto che siamo persone ottimiste, desiderose del bene comune, amanti della vita e del piacere.
In ogni caso viviamo molto meglio di quel branco di dannati senza Dio che grufolano nei tunnel del potere assetati di presenze a Porta a Porta.
Hai mai seriamente pensato come vive un D’Alema, un Casini, un Fini?
Un incubo senza tregua di telefonate, complotti da scoprire e da ordire, voci sussurrate, sospetti, con tutti sempre pronti a tagliarti una mano per fregarti l’orologio.
Certo, questo non ci consola del fatto che speravamo fosse giunto l’inizio del cambiamento e invece ci tocca di aspettare ancora.
Ma pensa se nascevi nel 1700 ed eri un progressista che sentiva il cambiamento arrivare. Pensa che tristezza: tutti i progressisti del 1700 sono morti senza vedere un grande cambiamento.
E anche quelli del 1800 hanno sofferto. Hanno visto le macchine arrivare, certo, ma hanno visto anche il mondo incrudelirsi e avanzare i germi folli del militarismo e del fascismo.
Cavolo, a noi e’ andata decisamente meglio. Innanzitutto abbiamo scopato in modo tale che non succedeva da millenni in Europa.
Bisogna risalire al matriarcato, 15000 anni fa, per ritrovare una simile celebrazione felice del piacere, condiviso da maschi e femmine, alla pari.
Ed e’ ovvio che far l’amore alla pari e’ impareggiabile: c’e’ il piacere della complicita’, del gioco, della tenerezza.
Quindi dobbiamo dire che c’e’ andata di culo gia’ solo per la fortuna sessuale che abbiamo goduto.
Sesso sfrenato in un’epoca in cui ci si lava e si fanno i gargarismi!
Il meglio!
E poi c’e’ stato il rock & roll, i festival pop, la marijuana! Cazzo se ci siamo divertiti: tutti nudi al parco Lambro!
L’altra sera hanno mandato un documentario in tv e mi sono rivisto nudo che ballavo insieme a mille persone sotto il palco del Festival di Re Nudo. Sono apparso per un attimo. Ho gridato a mia figlia:”Guarda il tuo papa’ in televisione!” E lei ha detto: “Ma papa’, fai schifo!”
Va beh, non si puo’ avere tutto dalla vita…
E ti ricordi la rivoluzione studentesca? Le scuole occupate dentro cui facevamo sesso in modo esagerato?
(Anzi perche’ non torniamo a occupare le nostre vecchie scuole? Magari anche solo il sabato e la domenica. Non sarebbe divertente? Tirerebbe su il morale!)
Cavolo! E abbiamo anche visto la rivoluzione dei computer. Ma vi ricordate che casino erano gli appuntamenti prima dei cellulari?
Ho perso decine di occasioni di fare sesso perche’ non ci si ritrovava agli appuntamenti! Adesso con il cellulare basta telefonarsi: “Dove sei?”
“Sono qui?”
“Ma qui dove?”
“Nella stazione.”
“Va bene, allora tu stai ferma li che io faccio tutto il giro della stazione fino a che ti trovo che se ci cerchiamo in due non ci troviamo mai!”
Abbiamo vissuto grandi svolte della storia: la fine della segregazione razziale negli Usa e in Sud Africa ad esempio. Vi ricordate Martin Luther King? “Io ho un sogno”. Beh, quel sogno si e’ realizzato e addirittura un nero e’ in corsa per la carica di Presidente degli Stati Uniti.
Stiamo guardando un mondo incredibile!
Un mondo pieno di ecologisti, gente che fa volontariato, gente che lavora al di fuori del sistema. E ognuno di noi possiede mezzi di comunicazione straordinari. Vi ricordate quando stampavamo quei volantini schifosi col ciclostile?
Cazzo, mia figlia non sa neanche cos’e’ un ciclostile!
E vogliamo parlare delle dittature in Sud America che non ci sono piu’?
Della caduta del muro di Berlino?
Nella nostra vita abbiamo visto un mutamento globale incredibile.
E ci siamo illusi che la storia corresse con la velocita’ dei nostri sogni.
Invece adesso e’ un momento di merda.
Ma in fondo abbiamo visto di peggio.
Chi ha la mia eta’ si ricorda quando il pericolo era il colpo di stato e si doveva dormire fuori la notte.
Veramente l’Italia rischio’ la guerra civile. E la storia che i democristiani di allora fossero meglio di Berlusconi e’ una favola!
C’erano meno scandali ma solo perche’ i giornali avevano un bavaglio totale. Anche oggi ce l’hanno ma esistono Report e Santoro. I giovani forse non sanno neppure che negli anni sessanta c’era anche la censura. Mio padre e mia madre si beccavano decine di denunce perche’ non recitavano esattamente il testo che era stato approvato dalla commissione censura.
C’erano proprio funzionari che giravano per i teatri con il testo omologato e una pila e controllavano che gli attori durante la rappresentazione non aggiungessero una sola parola!
E vogliamo parlare della mafia?
Scusate se ricorro a un altro piccolo esempio personale ma credo che sia estremamente illuminante.
Nel 1962 i miei genitori furono costretti dal livello insopportabile di censura ad abbandonare Canzonissima, trasmessa su Rai 2, alla settima puntata. Fu uno scandalo enorme. I motivi scatenanti dello scontro furono due scenette: una riguardava gli incidenti su lavoro. Argomento del quale non si era mai parlato in tv.
L’altro pezzo parlava di mafia. Una madre piangeva il figlio ucciso. Non si accusava nessun pezzo grosso della politica di essere colluso con la mafia. Si osava solo dire che in Sicilia la mafia uccideva contadini, sindacalisti, giornalisti.
Malagodi, allora segretario del partito liberale, fece un’interpellanza alla commissione parlamentare di controllo dicendo:”due guitti insultano l’onore del popolo siciliano sostenendo l’esistenza di un’organizzazione criminale chiamata MAFIA.”
E i giornali di destra in coro lanciavano insulti ai miei…
Oggi neanche Cuffaro ha il coraggio di dire che la mafia non esiste.
Ne abbiamo fatta di strada da allora. Chilometri.
Cinquant’anni fa nessun boss mafioso veniva mai arrestato e interi reparti dello stato a partire dal governo erano direttamente alleati dei mafiosi.
Gli affari sporchi, le raccomandazioni e le tangenti erano la legge e MAI che la magistratura indagasse.
Abbiamo resistito a 50 anni democristiani, potremo sopravvivere ad altri 5 di Berlusconi.
E, comunque, secondo me anche se vince non e’ detto che duri cosi’ tanto.
L’Italia sta cambiando. Pare che ormai il 50% dei nostri connazionali sia collegato a Internet.
Spero che tutti questi scandali, che nessuno puo’ piu’ coprire, stiano creando un effetto valanga nelle coscienze.
L’altro giorno Beppe Grillo passava di fronte al Senato con alcuni amici. Un soldato di guardia, di quelli sull’attenti che non possono muoversi pena la fucilazione ha abbandonato la garitta e gli e’ corso dietro. Lo ha raggiunto e gli ha detto: “Grillo faccia qualche cosa lei! Non se ne puo’ piu’!”
Sono solo piccoli segnali e ancora all’orizzonte non si vede come tutta questa voglia di cambiare possa trovare uno sbocco costruttivo.
Ma vuoi che alla fine non ci riusciamo?
Sono decenni che rompiamo i coglioni. E’ divertente, si conosce gente fantastica e si fa molto sesso.
Non smetteremo certo di farlo solo perche’ un signore fanatico del lifting puo’ dettare leggi che lo assolvono da tutte le sue colpe.


Fo e Rame volata per Pancho Della Monica: indecisi, ascoltate

La Repubblica,  SABATO, 12 APRILE 2008
Fo e Rame volata per Pancho Della Monica: indecisi, ascoltate
 Franca Rame e Dario Fo sostengono Pancho Pardi, capolista al Senato in Toscana per Italia dei Valori. L´ex senatrice, che ha in comune con Pardi un passato nei movimenti e poi il passaggio al partito di Di Pietro, ha incontrato gli elettori giovedì sera al cinema Colonna insieme al marito e a Paolo Flores D´Arcais, invitando gli indecisi e gli scontenti a votare comunque, «per non ritrovarci Berlusconi altri 12 anni, 5 da capo del Governo e 7 da presidente della Repubblica». «Questa legge elettorale ha creato un clima orribile - ha proseguito Fo - ma abbiamo una sola carta da giocare e va giocata bene, anche se con malinconia», ha detto. E al Teatro del Sale ieri il magistrato Silvia Della Monica, candidata al Senato per il Pd, che aveva invitato gli elettori indecisi, ha incontrato circa quaranta persone di tutte le età, tra i 25 e i 60 anni, che le hanno rivolto domande e chiesto spiegazioni sui temi legati alla giustizia e alla situazione politica. Tante anche le telefonate arrivate al Teatro di cittadini che volevano parlare con la candidata.
 


Due persone serie di Marco Travaglio – da voglioscendere.ilcannochiale.it

Se l’Italia fosse un paese serio, sia il centrodestra sia il centrosinistra si impegnerebbero prima delle elezioni, in caso di vittoria, a confermare come ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa. Cioè l’unico ministro dell’Economia, dopo Ciampi, che nei vertici internazionali non viene preso a pesci in faccia, ma anzi viene rispettato e ascoltato.

Questo signore d’altri tempi, questo economista colto e spiritoso, discreto e competente, ha rimesso in sesto in un anno e mezzo i disastrati conti dello Stato sfasciati dai suoi predecessori (vedi l'illuminante documento che allego qui, preparato da un gruppo di studenti di Economia che hanno a cuore i fatti e i dati concreti, non le balle elettorali); ha fatto levare all’Italia la procedura d’infrazione aperta dall’Europa ai tempi del miracolo berlusconiano; ha recuperato insieme al suo vice Vincenzo Visco una ventina di miliardi di euro di evasione fiscale. Insomma, ha riempito la botte che ora Berlusconi e i suoi boys torneranno a prosciugare. Perché naturalmente Padoa Schioppa è visto come il fumo negli occhi dal centrodestra delle spese folli, ma anche dal Pd alla Veltroni, tutto paillettes e cotillons, dunque allergico alle persone serie.

Nel caravanserraglio di nani e ballerine, a metà strada fra “Uomini e donne” e una sfilata di moda, messo insieme da Uòlter, una persona seria come Padoa stonerebbe. Infatti l’hanno rimosso come un ferrovecchio ingombrante, fanno finta di non conoscerlo, sottosotto gli rimproverano la lotta all’evasione fiascale (far pagare le tasse agli evasori è un peccato mortale e “fa perdere voti”). Anziché elogiare e rivendicare i suoi successi, c’è pure qualche somaro che gli rinfaccia la crescita zero dell’economia, come se fossimo in Unione Sovietica dove l’industria era di Stato e di partito, come se le performance deprimenti delle nostre imprese private fossero colpa del governo.

Rimozione forzata per Padoa Schioppa, ma anche per Romano Prodi, altro politico troppo serio e competente per piacere ai berlusconiani “de sinistra” del nuovo Pd. Non è telegenico nemmeno lui. Non parla di sogni, non dice “I care” e nemmeno “We can”. Ma sgobba e sa far di conto. L’altro giorno, con un comunicato di tre righe, ha annunciato l’addio alla politica nel silenzio generale. Nel ’96 ha battuto Berlusconi e nel ’98 ha portato l’Italia in Europa; tre mesi dopo, per ringraziarlo, quei gran geni di D’Alema e Bertinotti l’han rovesciato, riconsegnando l’Italia a Berlusconi. Lui intanto è andato a presiedere la Commissione europea. Nel 2006 l’han richiamato per sconfiggere Berlusconi, cosa che lui puntualmente ha fatto per la seconda volta. Dopo un anno e mezzo l’han rispedito a casa senza nemmeno un grazie.

Lui se n’è tornato a Bologna, da dove era venuto, senza una parola polemica, mentre l’ultima ballerina di Uòlter, l’impresario-falco Massimo Calearo, andava in tv a ringraziare “San Clemente” Mastella per “averci liberato da Prodi”. Vedremo che cosa saran capaci di fare questi giganti del pensiero che reggono il Pd e il Pdl, a parte candidare mogli, figlie, portaborse, pregiudicati e qualche camicia nera, e chiacchierare per ore senza dire nulla. Personalmente già rimpiango Prodi e Padoa Schioppa. Due signori che han saputo uscire di scena con dignità ed eleganza. Due signori che, quando non avevano niente da dire, non parlavano. Due signori.
 


Le Ragioni di Flores D'Arcais e quelle di Bertinotti.

 
 
A meno di una settimana dalle elezioni, rese così anomale da una legge elettorale indegna, due opinioni a confronto:
"Salvare l'anima o salvare la pelle da 12 anni di Berlusconi?" è la domanda che pone il direttore di Micromega Paolo Flores D'Arcais.
"La Sinistra L'Arcobaleno non è un espediente ma l'investimento per il futuro" è quello che sostiene Fausto Bertinotti.
 
 
 
Al voto, al voto! Istruzioni per l’uso
di Paolo Flores d'Arcais
L’unica cosa certa con l’attuale sistema elettorale è che ogni voto in meno a Veltroni-Di Pietro-Bonino fa vincere Berlusconi-Fini-Bossi-Ciarrapico. Questa circostanza matematica ci manda in bestia, moralmente non vogliamo subirla, ma le cose stanno proprio così. L’alternativa è secca: salvarsi l’anima (con Bertinotti) o salvarsi da dodici anni di Berlusconi-Putin (con Veltroni-Di Pietro-Bonino). ‘Io, da buon materialista ed ateo, trascurerò l’anima’
Il 13 e 14 aprile non andremo a votare. Andremo a votare con questo sistema elettorale, che fa schifo, non a caso è stato definito «porcata» dai suoi ideatori, ma che deciderà – esso solo – la transustanziazione dei voti in seggi. Sarà bene rendersene conto, perché la tendenza spontanea in ciascuno di noi è di illudersi che il voto reale corrisponda al voto emotivo, morale, o comunque lo vogliamo chiamare.
Per capirsi. Tu voti per la lista Xz, perché la senti più vicina, o la meno lontana, o la più efficace nell’opporsi a ciò che più detesti. Nella croce che metti sul suo simbolo riassumi queste tue emozioni, e una volontà di lotta o di riduzione del danno. Ma il risultato matematico di quel tuo voto, l’unico che poi conti, potrebbe addirittura rovesciare il senso che al tuo voto hai inteso dare.
Il sistema elettorale «porcata» stabilisce infatti che alla Camera dei deputati una cospicua maggioranza assoluta vada alla coalizione che prende il maggior numero dei voti, quale che sia la percentuale ottenuta, magari anche molto inferiore al 50 per cento (più coalizioni e liste sono in concorrenza e più bassa può essere la soglia).
Nell’attuale situazione ciò significa che la coalizione Berlusconi-Fini-Bossi-Ciarrapico (ironicamente etichettata «Il popolo delle libertà») otterrà alla Camera la fiducia per un suo governo, con largo margine, se la coalizione Partito democratico-Italia dei valori (che per comodità chiameremo Veltroni-Di Pietro-Bonino, visto che nel Pd si presentano anche i radicali) otterrà anche un solo voto di meno.
Questa la realtà. Il resto è sogno, immaginazione, fantasia. E legittima, legittimissima rabbia, naturalmente. Perché questo sistema, da «porcata» qual è, porcate produce. Ma noi daremo senso concreto al nostro voto con questo sistema elettorale, non con le intenzioni che preferiremmo lo determinasse.
Perciò, quali che siano i nostri sentimenti, se contribuiamo a far avere alla coalizione Veltroni-Di Pietro-Bonino un solo voto in meno rispetto alla coalizione Berlusconi-Fini-Bossi-Ciarrapico, avremo cooperato concretamente e irreversibilmente a cinque anni di governo Berlusconi seguiti da sette anni di Berlusconi al Quirinale. Abbiamo tutto il diritto di concludere che questa prospettiva non ci spaventa, che preferiamo dare un voto «emotivo» anche se questa ne sarà la conseguenza, non possiamo invece far finta di non sapere. Sarebbe disonesto, sarebbe immorale.
Al Senato le cose stanno in modo un poco diverso, ma assai meno di quanto non si speri. I premi di maggioranza scattano su scala regionale anziché nazionale, ma scattano comunque, in compenso le liste «minori» devono raggiungere un quorum quasi improbo, l’8 per cento, al di sotto del quale tutti i loro voti valgono zero.
Torniamo all’essenziale, perciò: un solo voto di meno di Veltroni (e alleati) rispetto al Cavaliere (e sguatteri, Ciarrapico docet), e avremo mandato al potere Berlusconi per almeno dodici anni. Questa circostanza matematica (l’unica che conti per attribuire i seggi) ci manda in bestia, moralmente non vogliamo subirla, ma in realtà le cose stanno proprio così.
Sappiamo tutti che in larghi strati di cittadini democratici, e dunque antiberlusconiani, circolano due tentazioni. Annullare il voto (o non andare proprio), votare la lista arcobaleno di Bertinotti. Tentazioni comprensibili, che hanno dalla loro moltissimi argomenti.
Io stesso sul numero di settembre 2006 di MicroMega, dopo averli certosinamente elencati, concludevo: «Dobbiamo essere conseguenti: rifiutare come ormai indecente ogni ricatto del tipo "finirete per far vincere Berlusconi" e rispedirlo con disprezzo al mittente. Dichiarare anzi esplicitamente, solennemente, collettivamente, che se i partiti di centro-sinistra, attraverso l’azione quotidiana di governo e l’approvazione urgente delle leggi necessarie, non daranno soddisfazione a quel "cahier de doléance" minimalista che sono le richieste stranote in fatto di conflitto d’interessi, giustizia, pluralismo televisivo eccetera, non li voteremo più`. Anche a rischio che in questo modo vinca per una terza volta Berlusconi».
Ho cambiato idea. La nuova coalizione berlusconiana realizza infatti ormai, senza le sbavature e le crepe democristiane di Casini, un disegno populista eversivo di cristallina evidenza. Il fondamento antifascista della nostra Costituzione verrà spazzato via e irriso come un «cane morto», la morsa clericale e oscurantista su corpi, esistenze private e cultura celebrerà fasti medioevali, la libertà sarà intesa solo nel senso di un’inarginabile arroganza del privilegio, la tolleranza zero verso emarginati e senza santi in paradiso si accompagnerà alla impunità totale e opulenta per amici del governo e altri establishment, il controllo totale del sistema televisivo farà concorrenza alle più nere fantasie di Orwell.
Dopo dodici anni (almeno) di Berlusconi al potere, la democrazia italiana sembrerà gemella di quella russa di Putin. Del resto, non è Putin il leader politico con cui Berlusconi vanta la più intima amicizia e di cui canta i più ditirambici elogi? Putin è il suo modello, o forse Berlusconi pensa che sia Putin ad aver realizzato in Russia una «democrazia» sul modello di Berlusconi. Cambiando l’ordine dei fattori, il prodotto non cambia.
Immaginiamo, come possibile, che alla vigilia del voto lo scarto fra i due schieramenti sia minimo: 100 a Berlusconi-Fini-Bossi-Ciarrapico, 99 a Veltroni-Di Pietro-Bonino, cifre inferiori a tutti gli altri. Restano da conteggiare due voti, amico lettore: il tuo e il mio. Tu mi riassumi l’elenco di tutte le magagne (per atti ed omissioni) compiute dal centro-sinistra, e mi chiedi di votare perciò Arcobaleno. Se mi convinci, il risultato sarà dodici anni (almeno) di potere di Berlusconi, ma una decina (forse) di deputati in più per Bertinotti e Pecoraro Scanio. Sei sicuro di volere questo? Se sei sicuro, non c’è da discutere, è una posizione legittima e un voto con essa coerente.
Io penso invece che per le lotte che comunque dovremo fare (governo Berlusconi o governo Veltroni), su diritti civili ed eguaglianza sociale, informazione libera e pluralista e giustizia eguale per tutti, e via compitando il rosario ben noto, non è indifferente quale sarà il governo. Con dodici anni di potere berlusconiano rischiamo che per lottare democraticamente diventi necessario essere un poco eroi. E ti risparmierò la citazione di Brecht che conosci come me e come me condividi.
Oltretutto, per le lotte che ci stanno a cuore, nello schieramento di Veltroni troveremo degli alleati. Lungi da me fare il peana sul «modo nuovo di fare le liste». In questo stesso numero una donna siciliana, entrata nel Partito democratico con le famose primarie, racconta oltre ogni ragionevole dubbio come il motto del Gattopardo spadroneggi anche nel Pd di Veltroni. Ma alcune novità ci sono, nasconderle sarebbe disonestà e cecità.
L’accordo con Di Pietro, intanto, che entrerà nel Pd (e in parlamento) portando l’istanza della legalità. L’accordo con i radicali, senza pagare il dazio-Pannella, con tutto ciò che di laicità i radicali significano (doppio merito per Goffredo Bettini, dunque). Umberto Veronesi capolista a Milano, uno scienziato al servizio della vita e della libertà delle donne, e della libertà laica tout court (ha difeso, come dovrebbe essere ovvio, il diritto di ciascuno sulla propria vita, la propria sofferenza, la propria morte: il diritto civile all’eutanasia, insomma). La conferma di Ignazio Marino e della sua legge contro l’accanimento terapeutico, bloccata fin qui dall’accanimento teo-dem. Il ripensamento su Giuseppe Lumia, la cui lotta anti-mafia torna capolista in Sicilia (grazie anche a Ignazio Marino). E infine, last but not least, Pancho Pardi capolista al Senato in Toscana per l’Italia dei Valori. Il compagno che a piazza Navona Nanni Moretti indicò come il futuro leader della sinistra e che con Nanni continua a significare, per il milione e passa di cittadini di piazza san Giovanni, 14 settembre 2002, i girotondi, la loro festa di protesta, il loro ossimoro di moderazione intransigente per la libertà e la giustizia.
Il 13 e il 14 aprile non andremo a votare. Andremo a votare con questa legge elettorale. Non saremo liberi di esprimere intenzioni ed emozioni attraverso il segno sulla scheda. Il meccanismo della «porcata» deciderà il significato concreto, cioè vero, del nostro voto. Lo abbiamo discusso a sufficienza. Ciascuno dovrà ora decidere, senza fingere di non sapere.
Potremo salvarci l’anima, o salvarci da dodici anni di potere di Berlusconi-Putin. Io, da buon materialista e ateo, trascurerò l’anima.
(Da MicroMega n°2/2008, in edicola dal 25 marzo 2008).
 
 
 
 
 
 
Appello autocritico: Fausto Bertinotti
Il Manifesto, 6 aprile
 
La campagna elettorale si è ormai consumata. In essa si sono sovrapposti due piani.
Il balletto insopportabile della politica separata, ridotta al confronto tra due soli contendenti che si assomigliano nel linguaggio e nelle proposte.
E' la pulsione neocentrista come esito della transizione irrisolta della crisi sociale, economica e politica.
E' l'esito su cui esplicitamente puntano i centri di comando dell'economia, della finanza, dell'informazione e dei poteri forti. Una camicia di forza sull'intero sistema politico per rendere le istituzioni impermeabili alle istanze sociali e al conflitto democratico.
Realizzare questo esito comporta l'eliminazione definitiva di quella che è stata chiamata l'anomalia italiana, ovvero la presenza di una sinistra politica, sociale, del mondo del lavoro, radicata nella società, rappresentata nelle istituzioni, influente nelle assemblee elettive.
Solo così si può comprendere l'apparente paradosso di una crisi, esplosa nel ventre molle del centro moderato e pagata, invece, con una rottura con la sinistra.
Si vuole arrivare allo splash down: la cancellazione della sinistra come strumento per la normalizzazione del caso italiano. Un obiettivo di fase che sta dentro un processo di americanizzazione di più lunga lena di cui va colta l'ispirazione di fondo: il conflitto di classe è ineliminabile ma da esso può essere cancellata la rappresentanza politica e negata la politicità. Esso può esprimersi anche in forme radicali e diffuse ma senza che possa avere la capacità di scalare il livello della proposta generale di cambiamento. Esso va, quindi, sterilizzato dal punto di vista della possibilità di incisione nelle scelte di società.
C'è stata un'altra campagna elettorale, quella che abbiamo vissuto come Sinistra L'Arcobaleno, fatta di mille incontri, dibattiti, comizi. La campagna elettorale vissuta come l'aggiornamento dell'inchiesta sullo stato del paese reale.
Questa ci restituisce l'immagine di un paese sospeso tra ansia di cambiamento e sfiducia. Due facce anche qui che si sovrappongono. Nulla è semplice o può essere semplificato: questa rappresentazione doppia è dentro il corpo vivo e ferito del popolo della sinistra.
Non possiamo rivolgerci a questo popolo senza una autocritica sul tempo breve della crisi e sul processo di lungo respiro della ricostruzione della sinistra.
Non possiamo rivolgerci ad esso senza un bilancio di verità sui due anni di governo in cui la sinistra ha assunto ruoli importanti di responsabilità di governo e istituzionale.
Nei fatti, è stata smentita l'idea della permeabilità di quel governo da parte dei movimenti. Esso è stato assai più permeabile ai poteri forti che ne hanno condizionato le scelte attraverso la penetrazione dentro le principali forze che lo sostenevano: sulla redistribuzione del reddito, sulla lotta alla precarietà, sull'estensione dei diritti civili e così via. Così è ripiombato nella logica dei due tempi.
Abbiamo colto il senso di quell'esito.
La Sinistra si presenta autonomamente alle elezioni. Non è una condizione a tempo. Sarà autonoma ugualmente dopo il voto.
Al popolo di sinistra, ci rivolgiamo con l'avvio di un nuovo processo di aggregazione.
Il progetto che la sinistra italiana presenta alla prova elettorale, ovvero la Sinistra L'Arcobaleno, è quello necessario. Ma non è ancora sufficiente.
La questione decisiva si ripropone e chiama in causa la capacità di tutti e di ognuno, a partire dai gruppi dirigenti degli attuali partiti, di mettersi in discussione dentro un processo partecipativo. Il vero punto di applicazione del processo unitario è, quindi, quello di aprirsi alla partecipazione, di cessare di essere vissuto come elemento proprietario dei partiti che chiamano associazioni e singoli ma non li rendono protagonisti a pari titolo.
Concludo con due argomenti che sono anche l'assunzione di una responsabilità solenne.
La sinistra italiana ha una grande tradizione: dalla storia del Partito Comunista, alle esperienze socialiste e alle altre forze della sinistra politica che hanno fatto la storia e costruito la democrazia di questo paese, alle organizzazioni del lavoro e del conflitto di classe, a quella sinistra sociale e dei movimenti che ha innervato il tessuto partecipativo più attivo, a quelle culture politiche di trasformazione, dal femminismo all'ambientalismo critico, al pacifismo che sono fondative della nuova sinistra. Il movimento altermondialista, la sua domanda di un altro mondo possibile, ne hanno riaperto la strada per il futuro. Ci vuole il nostro, il vostro concorso perché si concretizzi, perché si riprenda il cammino. Ci vogliono sentimenti caldi, passione, emozione. Dobbiamo metterli in opera.
Non si illudano: l'anomalia del caso italiano non sarà cancellata. Questo è il voto utile che chiediamo a tutte le donne e gli uomini di sinistra.
Qualsiasi esito del voto, non metterà in discussione il processo unitario in atto.
Abbiamo la forza di innovarci e cambiare per reggere la sfida di oggi, invertendo il processo di divisione e frantumazione. La Sinistra L'Arcobaleno è questo progetto, non è l'espediente per l'oggi ma l'investimento per il futuro.
Il 15 aprile parte il processo costituente della nuova sinistra. Fausto Bertinotti
 


Perche' Berlusconi può perdere al Senato pur prendendo più voti se la Sinistra Arcobaleno supera l’8% nelle regioni rosse

I sondaggi di venerdi' scorso di Prediction People (la legge vieta di fornire dati di sondaggi subito prima delle elezioni) ci dicono che Berlusconi e' in vantaggio del 3,5% dei voti. I sondaggi ufficiali davano il distacco a 6 punti e più. Il sondaggio che cito io e' quello ottenuto tramite le scommesse gratuite sul sito Prevision People (http://www.predictionpeople.com/) e ho gia' spiegato (http://www.jacopofo.com/node/4293) perche' mi fido più di questo nuovo sistema di sondaggio che non a caso abbiamo sostenuto con una campagna pubblicitaria intensa.
Possiamo quindi realisticamente affermare (salvo rivolgimenti improvvisi) che si ripetera' una situazione simile a quella delle ultime elezioni con Berlusconi nelle condizioni in cui era Prodi, con una maggioranza minima.
Ma ora il quadro politico e' cambiato e se Casini riesce a superare l’8% in Sicilia e eleggere qualche senatore e se altrettanto riesce a concludere la Sinistra Arcobaleno in Toscana, Emilia o Umbria, otterremo che, pur essendo il primo partito, il PdL potrebbe non avere la maggioranza dei senatori.
E attenzione, se nelle regioni rosse Veltroni stravince in realta' e' un problema perche' il partito più votato ha il premio di maggioranza regionale ma se prende molti voti più del necessario questi voti hanno un peso inferiore in termini di senatori eletti perche' ormai e' scattato il premio di maggioranza. I voti della Camera vengono messi tutti insieme a livello nazionale, ogni tot voti c’e' un eletto, e chi ha più voti prende il premio di maggioranza. Al Senato invece (demenziale!) ogni votazione regionale va a se' e non si recuperano i voti in più nella singola regione se non in minima parte. Per questo nelle regioni rosse ha senso votare per la Sinistra Arcobaleno per ottenere il massimo effetto contro Berlusconi.
Capisco che questi discorsi contorti facciano girare le scatole a molti.
Tant’e', questa e' la situazione.
Si potra' dire che se Berlusconi non avra' la maggioranza in Senato arriverebbe comunque a un governo con Casini ma potrebbe anche essere contrastato in qualche modo, visto che la maggioranza dei senatori potrebbe costantemente metterlo in minoranza.
Insomma, nella migliore delle ipotesi siamo nella merda.
E allora, cosa parlo a fare?
Parlo perche' credo che la battaglia elettorale sia oggi importante anche se non essenziale.
L’essenziale e' che continua ad avanzare la cultura della pace, del rispetto per gli esseri umani e l’ambiente, della cooperazione.
E questo progresso non lo decide il Parlamento, andra' avanti comunque. Ma in questo momento vale proprio la pena di investire un po’ della nostra energia per tentare di limitare i danni in una situazione di crisi. Il paese e' sull’orlo del collasso e il crollo non possiamo permettercelo. Soprattutto gli strati più deboli della popolazione pagherebbero un conto esistenziale gravissimo.
In una situazione come questa anche quel briciolo di scarto tra destra e sinistra fa la differenza.
Berlusconi ci riporta nella guerra in Iraq, Veltroni no. Berlusconi fa impazzare la spesa pubblica e depenalizza i brogli economici, Veltroni cerchera', pigramente, di risanare il bilancio.
Berlusconi finanziera' centrali nucleari, ponti sugli stretti, trafori e se qualcuno si oppone mandera' la polizia come a Genova, con Veltroni c’e' qualche spazio di trattativa e scene alla Bolzaneto sono meno probabili.
Fa la differenza come fa la differenza Bush rispetto a Clinton. Guerra totale o non guerra totale.
E vorrei aggiungere che se andiamo a votare questo non toglie forza alla protesta del V-Day.
Ma se non votiamo, se annulliamo la scheda, se votiamo scheda bianca, il nostro voto non varra' un fico secco, sara' solo un dato statistico di cui i politici se ne fottono. Anche se 10 milioni di italiani non votassero verrebbe eletto lo stesso numero di parlamentari, non uno di meno.
Io credo che se verra' eletto Berlusconi anche chi non ha votato si sentira' un po’ deluso.
Allora perche' non votare?
Se non voti lasci che siano gli altri a decidere.
Punto e chiuso.
Quanto detto spiega anche perche' sui nostri siti e newsletter in questo momento trovate la pubblicita' elettorale della Sinistra Arcobaleno. Non abbiamo fatto una scelta di campo ma non abbiamo motivi per rifiutare la pubblicita' di chi sta concorrendo contro Berlusconi.
La nostra posizione e' vota chi ti pare ma vota contro Berlusconi.
E questo discorso spiega anche perche' sarò a Firenze contro il nucleare a una manifestazione dei Verdi toscani. E perche' sostengo la candidatura di Fabio Roggiolani anche se si presenta alla Camera, in Toscana. E’ una persona onesta, ci siamo incatenati insieme di fronte all’Enel di Firenze, e' uno che si da' veramente da fare per sviluppare le ecotecnologie e ha contribuito a realizzare tutte le nuove leggi sul solare, l’eolico e le biomasse. E’ al quinto posto della lista, una posizione molto scomoda, ma se ci sara' un successo della Sinistra Arcobaleno in Toscana ce la può fare. Avere una persona come lui al Parlamento sarebbe un voto utile.
Allego una lettera dell’avvocato Antonio Rotelli che mi e' stata inviata da Lorenzo Carmassi, del comitato per le Class Action, che spiega perche' le lettere che girano in rete, che sostengono che non votare abbia qualche effetto, sono menzognere.
Viene fatta girare in rete un’informazione sul funzionamento della legge elettorale che vorrei smentire.
Si invitano i cittadini elettori a non votare scheda bianca o nulla in quanto queste sarebbero attribuite come voti validi, automaticamente, alla lista che ha prende il maggior numero di voti, andando a determinare il premio di maggioranza. Non e' vero.
Le schede bianche o nulle non vengono attribuite a nessuna lista o coalizione di liste, ma sono voti che vanno dispersi. A maggior ragione non entrano nel calcolo di alcun premio di maggioranza.
Una scheda bianca o una scheda nulla non rappresentano voti validamente espressi e non vengono assegnati a nessuna lista o coalizione di liste.
La legge, come da ultimo riformata nel 2005, afferma espressamente che il quoziente elettorale, che determina l’assegnazione dei seggi alle coalizioni e alle liste, e' dato dalla somma dei soli voti validamente espressi a ciascuna lista.
Il premio di maggioranza viene assegnato alla lista o alla coalizione di liste che riesce a prendere un voto in più di tutte le altre, indipendentemente dal fatto che abbia ottenuto solo il 10%, il 30% o il 51% delle preferenze degli elettori. e' sufficiente che prenda un voto in più di tutte le altre liste o coalizioni di liste.
Poiche' esistono soglie di sbarramento sia alla Camera, 4% su base nazionale, che al Senato, 8% su base regionale, i voti validamente espressi per liste o coalizioni di liste che non raggiungono rispettivamente il 4 o l’8 %, sono anch’essi voti che non si conteggiano e non concorrono a formare il quoziente elettorale nazionale o regionale. Cosi' come accade per le schede nulle o bianche, sono voti che vanno dispersi e, quindi, che non incidono per nulla sull’elezione dei deputati e dei senatori.
Peraltro il risultato delle elezioni e' valido quale che sia il numero dei cittadini che partecipa al voto, anche se molto basso, e quale che sia il numero dei voti validamente espressi, anche se molto basso. Se partecipasse al voto solo il 70% dei cittadini e di questi il 50% votasse scheda bianca o nulla, mentre solo il 20% esprimesse validamente un voto, quel 20% di voti eleggerebbe il Parlamento e ne stabilirebbe la composizione.
Se inoltre accadesse che quel 20% di voti validamente espressi, facendo l’esempio per la Camera dei Deputati dove il quorum di sbarramento e' del 4%, fossero stati dati: il 6% alla lista A, il 5% alla lista B, il restante 9% a più coalizioni o liste nessuna delle quali raggiunga la soglia di sbarramento del 4%, la cifra elettorale nazionale scenderebbe ulteriormente e sarebbe dell’11% (somma dei soli voti presi dalle liste A e B) mentre il restante 9% dei voti si perderebbero.
In questo caso al partito A verrebbero attribuiti il 55% dei seggi, in quanto avendo preso almeno un voto in più di tutte le altre liste gli viene assegnato anche il premio di maggioranza, che gli spetta indipendentemente dalla soglia di voti/preferenze che ha ottenuto.
L’esempio che ho fatto e' abbastanza irrealistico che si verifichi, ma spiega chiaramente il meccanismo di funzionamento della legge elettorale, quale risulta dalla riforma Berlusconi della legge elettorale, legge 270 del 2005, c.d. Porcellum. Lo stesso esempio e' valido anche per il Senato della Repubblica dove però voti, quorum e cifre elettorali si contano regione per regione.
Per chi fosse interessato a verificare gli estremi legislativi di quanto ho spiegato, sono i seguenti:
Testo unico delle leggi elettorali, Norme per l'elezione della Camera dei deputati, D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 e successive modifiche (ultime modifiche introdotte dalla Legge 21 dicembre 2005, n. 270) art. 83;
Testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione del Senato della Repubblica, D.LGS. 20 dicembre 1993, n. 533, artt. 16 e 17.
Infine, non esiste alcuna disposizione regolamentare per il calcolo del premio di maggioranza, ma e' la stessa legge, negli articoli che ho appena citato che stabilisce come e quando si assegna il premio di maggioranza.
Chi scrive il contrario diffonde, consapevolmente o meno, informazioni non corrispondenti al vero.
Avv. Antonio Rotelli


Franca Rame, intervistata per un giornale tedesco, parla di elezioni.





 
TAZ: Signora Rame, lei due anni fa ha affrontato la campagna elettorale come candidata?

FRANCA RAME: La devo correggere. Non feci campagna elettorale. Fui pregata da Antonio Di Pietro (il baluardo dell'anti corruzione ndr) di presentarmi col suo partito, l'Italia dei valori, appartenente all'Unione di Romano Prodi. Gli dissi che il mio lavoro non mi avrebbe permesso di impegnarmi in una campagna elettorale. Nonostante questo ottenni 500.000 voti. Fu un risultato incredibile.

TAZ: Come affronta l'attuale campagna elettorale?

FRANCA RAME: Non vi sono direttamente coinvolta. Ho presentato le mie dimissioni da senatrice 14 giorni prima che cadesse il governo Prodi.

TAZ: Qual'è la sua impressione - come cittadina Franca Rame - della campagna elettorale?

FRANCA RAME: Sono molto preoccupata. Sia che mi trovi con le persone del mio ambiente , o che parli con un tassista, con un vicino di casa o con un ammiratore che mi chiede un autografo, alla domanda dò sempre la stessa risposta"Non ho scelto". Temo che l'esito sia un disastro per la sinistra.

TAZ: In Italia il movimento anti-Berlusconi non sembra più essere presente. Perché la rabbia che avevate una volta si è trasformata in rassegnazione?

FRANCA RAME: Sfortunatamente Romano Prodi - che personalmente stimo come persona capace e rispettabile - riguardo al governo non ha potuto fare niente, perché questo era formato da una coalizione di 15 partiti messi insieme, dei quali una buona parte orientata su posizioni conservatrici. Posizioni dalle quali mi sono trovata distante fin dal 2006, come per l'indulto per le pene detentive fino a tre anni (quasi la totalità), provvedimento contro il quale votai. Ma improvvisamente mi trovai allineata, con quel voto, con la destra estrema. Ci furono soltanto 56 voti contro e 5 astensioni. Questo provvedimento era gradito a Berlusconi ma era rivolto, non secondariamente, a salvare tutti gli amministratori implicati in reati di corruzione.

TAZ: Il disappunto dell'elettorato di centro-sinistra è evidente. Ma perché ora affidare a Walter Veltroni la candidatura di leader della sinistra moderata, con posizioni così accomodanti verso Berlusconi?

FRANCA RAME: E' chiaro. Egli spera che alla fine, invece che una disfatta della sinistra, venga fuori una situazione di stallo, per cui un compromesso con Berlusconi sarebbe necessario. Tuttavia l'annullamento dell'antiberlusconismo rimane bizzarro. Altrettanto bizzarro è che tanta gente, ancora oggi, conservi fiducia in Berlusconi. Perché? Perché la gente vede che in due anni di governo di centro-sinistra non è stato fatto nulla per loro. Gli elettori sono disgustati e disillusi.

TAZ: Si sente dire, in questa campagna elettorale, che un Berlusconi vittorioso sarebbe differente questa volta; toni più sfumati, diplomatico, aperto al dialogo. Le sembra credibile?

FRANCA RAME: Sì, perché quello che voleva ottenere l'ha già ottenuto nei cinque anni dal 2001 al 2006, durante i quali ha governato. Ci sono tutta una serie di leggi che ha fatto adattate alle sue esigenze personali, leggi sui media, sulla giustizia, sul conflitto di interessi. Le lascerà in regalo alla posterità; e probabilmente gli piacerebbe anche la gratificazione della presidenza della Repubblica. La sinistra non è riuscita, negli ultimi due anni di governo, neanche a varare una legge sul conflitto di interessi. Quando Berlusconi tornerà al potere troverà tutte le leggi che aveva varato a proprio favore intatte. Noi possiamo soltanto sperare che oggi sia un po' cambiato.

TAZ: Ma a cosa è dovuto il fascino immutato di Berlusconi?

FRANCA RAME: Noi sappiamo molto bene che ha cominciato da giovane la sua attività di uomo d'affari, poi, a un certo punto, improvvisamente, si è trovato a disporre di una enorme quantità di soldi, sulla cui origine nessuno sa esattamente, si sa che provenivano dalla Svizzera......

TAZ: Ma il suo elettorato non se lo chiede mai.

FRANCA RAME: Questo è l'ordine del giorno. Lo trovano semplicemente simpatico, e a loro piace che si autoincensi, che rida sempre, che si vanti di essersi fatto da solo; rappresenta semplicemente il sogno di una parte degli italiani.

TAZ: Il comico Beppe Grillo invita al boicottaggio delle elezioni. Lei è d'accordo?

FRANCA RAME: No, Non posso capire Grillo, anche se condivido una gran parte delle sue critiche alla classe politica. Stare a casa non è una soluzione. Tutti i cittadini dovrebbero partecipare alle elezioni - anche fosse per votare scheda bianca. Io certamente farò la mia scelta.

 

INTERVIEW: MICHAEL BRAUN


 


 

 


Onorevoli in carriera – L’Espresso

di Gianni Del Vecchio
e Stefano Pitrelli

 
  
C'è il giornalaio di Genova che ti ha venduto il quotidiano e il tassista che ti ha accompagnato alla stazione. C'è il comico milanese che hai visto in tv o il legale sardo che ti ha aiutato ad annullare il matrimonio. E c'è anche il disoccupato che stava in fila dietro di te all'ufficio di collocamento di Venezia. Poi te li ritrovi in politica, come tanti altri cittadini dai mestieri più disparati. Ma che lavoro fa il politico italiano? "L'espresso" ne ha scattato un'istantanea, censendo le professioni di circa 3 mila eletti: i parlamentari uscenti di Camera e Senato, i consiglieri delle venti regioni italiane, e quelli delle province e dei comuni più popolosi. Un campione rappresentativo che permette, dati alla mano, di sfatare qualche mito e di confermarne altri.

Impiegati da record
L'ossatura della classe politica italiana è formata dagli impiegati, cui spetta il primo posto in assoluto con un 18 per cento, più del doppio degli imprenditori: una costante per i nostri partiti, visto che nelle ultime due legislature in Parlamento sono rimasti pressoché invariati. Staccano persino avvocati, notai e commercialisti (tutti insieme al 12,7), e cioè quelli che nell'immaginario comune più facilmente rivestono i panni del politico. Il bronzo spetta ai docenti, universitari e non, che sorprendono con un 11,2 per cento. Sul podio però le cose cambiano se si prendono i liberi professionisti nel loro insieme, inclusi medici, farmacisti, ingegneri e architetti: la percentuale decolla al 22,4 per cento. Il che vuol dire che quasi un politico italiano su quattro ha un Ordine a cui votarsi. Altri, invece, di santi ne hanno ben pochi. Sono 19 in tutto gli operai - fra consiglieri, deputati e senatori - che rappresentano quei sette milioni al lavoro nelle fabbriche e nelle imprese italiane. «La classe operaia non è andata in paradiso, ma è finita nel dimenticatoio», nota Carlo Carboni, autore di "La Società Cinica - Le classi dirigenti nell'epoca dell'antipolitica". Così è, tranne per qualche sporadica presenza nel Pd (lo 0,7 per cento) e in quella Sinistra Arcobaleno che proprio della difesa dell'operaiato fa la sua bandiera (appena il 2,8).

Colpisce anche lo zero assoluto fra le fila della stessa Forza Italia che il voto degli operai l'ha strappato alla sinistra. E la situazione nel futuro Parlamento non cambierà: solo i due ex ThyssenKrupp (Antonio Boccuzzi per il Pd e Ciro Argentino per la Sa) si possono dire certi del proprio seggio. Mito da sfatare, invece, è quello del magistrato che fa politica. Alla visibilità di personaggi come Antonio Di Pietro, Gerardo D'Ambrosio e Felice Casson, infatti, non corrisponde una tendenza nazionale. Sono addirittura meno rappresentati degli operai: 14 in tutto, la maggior parte dei quali siede in Parlamento. Altro gruppo dimenticato, infine, è quello degli ingegneri (meno del 2 per cento). Lo denuncia Carboni: «È un segno della poca modernità del nostro ceto politico. Nel mondo economico sono onnivori, rubano il posto anche gli economisti nel ruolo di manager, ma in politica praticamente non ci sono». Il leghista Roberto Castelli e l'ex ministro delle infrastrutture Pietro Lunardi sono a tutti gli effetti delle mosche bianche. Sulla base di questi dati si può forse affermare cha la società italiana si riflette nella sua classe politica? Secondo Carboni la politica italiana è, sì, lo specchio dei suoi rappresentati, «ma solo dal ceto medio in su».

Camice e doppiopetto
Scendendo sul territorio, i dati ci dicono qualcosa in più sull'egemonia impiegatizia nella nostra politica. La contrapposizione fra impiegati e imprenditori negli enti locali diventa lampante. I politici-impiegati la fanno da padrone soprattutto al Sud, dove raggiungono il 26,4 per cento, ovvero dieci punti in più rispetto al Nord (16,4). In maniera speculare i politiciimprenditori fioccano nella parte settentrionale del Paese (10,1) rispetto a un più contenuto 7 per cento nel Mezzogiorno. È un cliché, ma i dati lo confermano: a Nord gli industriali pesano di più, mentre a Sud è la pubblica amministrazione che fa sentire la propria voce. Sanità in primis: stupisce l'abbondanza di medici, che qui superano l'11 per cento, cioè quasi il doppio del dato nazionale (fermo al 6,2). Emblematico il caso siciliano, dove a palazzo dei Normanni su 90 seggi di medici ne siedono ben 14. La loro presenza nelle assemblee regionali si spiega facilmente: la sanità è ormai questione di competenza regionale, ed è ai singoli consigli che spettano le nomine dei dirigenti delle Asl, i quali a loro volta nominano i primari ospedalieri. Spicca infine, nelle regioni del Centro, il dato sui funzionari di partito. Qui i politici di professione si attestano sul 15,5 per cento, cifra che dà parecchia pista sia al Nord (10,4) che al Sud (6,3). Fatto che si può spiegare, come osserva Carboni, con la tradizionale egemonia del vecchio Pci nelle regioni rosse (Toscana, Emilia e Umbria). Nonché con la presenza dei palazzi della politica nel Lazio.

Le toghe del Cavaliere
Queste differenze in realtà vanno inquadrate in un'ottica più ampia, e cioè quella della complementarietà delle principali famiglie politiche italiane. In altri termini, Pd, Pdl, Sa e Udc posseggono un corpo dirigente dalle caratteristiche ben precise. Per Sinistra Arcobaleno e Partito democratico lo zoccolo duro è composto da funzionari di partito, impiegati, pensionati, docenti universitari e insegnanti: tutti insieme rappresentano il 60,1 per cento della coalizione di Fausto Bertinotti e il 55,3 del partito di Walter Veltroni. Entrambi i partiti mostrano infatti i tratti somatici dei loro genitori della prima Repubblica, Pci e Dc. Lo stesso avviene per l'Udc, che con il suo 23,6 per cento di dipendenti prestati alla politica si conferma, democristianamente, partito impiegatizio per eccellenza. Opposta la situazione per il Pdl: liberi professionisti, imprenditori e manager costituiscono il 57,7 per cento degli esponenti di centrodestra. «Nonostante tutti i discorsi sulla scomparsa di destra e sinistra», chiosa Gianfranco Pasquino, professore di Scienza politica a Bologna, «è evidente che le differenze restano». Il ceto politico del Pdl, dunque, affonda le sue radici altrove: fra quelle professioni liberali che della destra italiana, come sottolinea il docente, hanno sempre formato e continuano oggi a formare lo zoccolo duro. A partire da medici, il 5,96 per cento, commercialisti, 4 per cento, e soprattutto avvocati, il 15,73. I numeri parlano chiaro: di avvocati il Pdl da solo ne ha più del doppio del Pd, e più del triplo della Sinistra Arcobaleno. La culla, insomma, di quell'antipolitica che di Silvio Berlusconi è stata un cavallo di battaglia. È pur vero che la nuova formazione ha già iniziato ad assumere le cattive abitudini della vecchia partitocrazia: pullulano i riconfermati, che costituiscono ben l'80 per cento delle liste presentate in vista di aprile. Nel complesso professionisti e imprenditori rappresentano i principali punti di contatto tra Forza Italia e Alleanza nazionale. I promessi sposi mostrano di fatto una certa "affinità elettiva" che trascende l'operazione politica del Pdl. Il matrimonio sarà pure di convenienza, ma la loro fusione non è tanto "a freddo" quanto si sarebbe potuto pensare. Lo conferma Carboni: «I due partiti si completano l'un l'altro, formando un blocco comune di imprenditori e professionisti. Sono assolutamente identici, ed è un segno che la scelta di Forza Italia e di An è stata determinata da una somiglianza non solo della rappresentanza, ma della base elettorale». In dettaglio, entrambe le metà del cielo del Pdl sono composte esattamente per il 15 per cento da imprenditori. Ma fra i due i valori sono simili anche per il resto di quella che gli inglesi chiamerebbero la loro "constituency", il loro elettorato: i commercialisti (4,5 e 3,6 per cento, rispettivamente), i dirigenti e gli onnipresenti impiegati. L'Italia dei Valori è l'outsider che rompe questo schema. A conti fatti l'Idv è il partito di centrosinistra che più somiglia a uno di destra. E questo non solo perché sventola la bandiera dell'antipolitica, ma anche per la sua nutrita pattuglia di liberi professionisti: da soli medici e avvocati ne costituiscono il 32,2 per cento, ossia quasi uno su tre.

Figli della Casta
Ma qual è il vero peso della casta in Italia? O meglio, qual è l'incidenza dei politici di carriera sul popolo degli eletti? Ebbene il "tasso di casta" supera il 20 per cento, staccando di due punti l'altro lavoro "preferito" dai politici, cioè quello impiegatizio. Insomma: un politico su cinque in Italia vive di politica. A questo numero si arriva sommando la percentuale nazionale dei funzionari politici e degli ex sindacalisti tout court (10,8 per cento) a quella dei politici che si dicono giornalisti (5,2) e ai pensionati (4,2). L'accostamento si spiega col fatto che per i politici di solito quello del giornalista è un titolo conquistato con la militanza. Basti pensare al fatto che i vari D'Alema, Fini, Veltroni, Follini, Mastella, Rotondi o Storace il tesserino ce l'hanno grazie al praticantato svolto nei giornali di partito. Per non parlare della carica dei portavoce, che anche a queste elezioni hanno fatto man bassa di posti blindati nelle liste. Qui gli esempi si sprecano: Paolo Bonaiuti per Berlusconi, Roberto Rao per Casini, Piero Martino per Franceschini, Walter Verini per Veltroni e Sandra Zampa e Silvio Sircana per Prodi. Quanto ai pensionati, invece, la loro inclusione nei politici di professione dipende da un altro dato di fatto: sono persone che adesso hanno il tempo per fare politica. Il tasso di casta ovviamente non è omogeneo, e varia da partito a partito. Ma prevale a sinistra. In testa c'è la Sinistra Arcobaleno, col suo 31,4 per cento, seguita dal Pd col 26,3. Molto distanti Idv (15,2), Lega (13,2) Pdl (12,5) e Udc (11,5). Confrontando i nostri dati con quelli Eurispes 2001 vediamo che negli ultimi anni i professionisti della politica, invece di tornare a livelli "fisiologici" (ossia quelli che Pasquino definisce essenziali a un corretto funzionamento della democrazia) sono andati regolarmente aumentando, e questo grazie all'effetto perverso del "Porcellum", la legge elettorale delle liste bloccate. E così, conclude, «in assenza di un sistema uninominale e a differenza degli inglesi o dei francesi, oggi gli italiani non bocciano né promuovono i propri rappresentanti, ma si limitano a ratificare le scelte delle segreterie di partito».
(04 aprile 2008)
 


''Mandiamo più rompic... possibile in Parlamento'' - da www.articolo21.info

di Stefano Corradino

Due scenari possibili. Vince Berlusconi. E’ un replay della sua ultima legislatura? Altro scenario: vince Veltroni. Cosa cambia? Nella giustizia, nell’informazione. Sul conflitto di interessi, sulle leggi ad personam... Nulla di fatto come in passato? E un po’ di fantapolitica. Si propone il nome di Marco Travaglio a ministro della Giustizia: cosa faresti nei tuoi primi 100 giorni? “Premesso che non lo farebbero e io non lo accetterei mai… Comunque, stando al gioco… la prima cosa da fare è un testo unico di due righe che dica: con decorrenza da oggi sono abrogate: la Legge sul falso in bilancio, la Legge Mastella sull’ordinamento giudiziario, la Cirami, la Gasparri, la Legge Frattini sul conflitto di interessi…” In una lunga intervista Travaglio ci introduce al suo ultimo libro, scritto con Peter Gomez. Un godibile un vademecum per le imminenti elezioni.
“Se li conosci li eviti”. Nuovo libro (ediz. Chiarelettere) e nuovo tema. Alla vigilia delle elezioni chiami in causa i parlamentari (non tutti ricandidati) che si sono distinti nel bene e nel male per la loro attività legislativa e il loro curriculum penale. Più che un libro è un vademecum per gli elettori?
Per gli elettori, se lo leggono prima, per la prossima legislatura se lo leggono dopo. Perché con questa legge porcata, con cui andiamo a votare, abbiamo “la fortuna” di conoscere in anticipo i parlamentari che verranno eletti. Che bella sferzata di entusiasmo nel recarsi alle urne...! Ti fa sentire molto utile…
Quindi suggerisci di leggerlo prima del voto per meglio orientarsi…
Se uno gli dà un’occhiata prima e confronta le liste con certi nomi che abbiamo messo nel libro magari potrà scappare da certe liste. Se uno non vuole votare a scatola chiusa…  Visto che non possiamo punire alcuni personaggi che sono stati messi in lista almeno puniamo le liste…
Cosa distingue “Buoni” e “Cattivi” al di là delle vicende giudiziarie?
In realtà abbiamo cercato di essere molto buoni e di trovare venti parlamentari che avessero ben meritato. Abbiamo fatto più fatica a trovarne di buoni nel centro destra ma qualcuno c’è. Li abbiamo indicati (ovviamente tra i nostri “buoni” non ci sono i pregiudicati e nemmeno gli imputati). Abbiamo cercato di vedere chi si era battuto per alcuni temi che per noi sono particolarmente cari. Gente giovane e pulita come Giorgia Meloni di Alleanza Nazionale, gente meno giovane ma che ha fatto le battaglie sulla libertà di informazione come Giuseppe Giulietti e Tana e Zulueta, sulla legalità come Nando Dalla Chiesa, come Orazio Licandro, Elias Vacca, o Antonio Palomba, gente che si è battuta contro il privilegio dei parlamentari come Silvana Mura, gente che si è battuta contro i condannati a Parlamento; lo stesso Carlo Vizzini di Forza Italia ha fatto un battaglia contro la mafia e gli va riconosciuto.
E poi avete studiato alcune leggi che secondo voi sono state degli snodi fondamentali della legislatura.
E qui abbiamo analizzato i comportamenti dei deputati. Chi ha votato e come. Ad esempio sulla legge Mastella contro la stampa che pubblica gli atti giudiziari, e abbiamo indicato i famosi nove che non l’hanno votata; o sull’indulto… E poi siamo andati a fare le schede dei candidati. Data e luogo di nascita, titolo di studio, professione, segni particolari, soprannome. E poi la fedina penale e le assenze in Parlamento. Ed alcune frasi davvero memorabili…
Il sottotitolo del libro è “Raccomandati, riciclati, condannati, imputati, voltagabbana, fannulloni… nel nuovo Parlamento”. Sembrano i protagonisti di moderni gironi danteschi. Quali tra questi “titoli di merito” è più disdicevole, più umiliante per il nostro Paese?
Forse quella più umiliante è la categoria dei somari! Noi abbiamo mandato in Parlamento decine di persone che, letteralmente, non sanno quando è stata scoperta l’America, quando è stata unificata l’Italia. Che non sanno cos’è la Consob o chi è Nelson Mandela. Sono quelli che erano stati beccati da “le Iene”. E quindi grati a Sabrina Nobile  per aver fatto quel lavoro abbiamo voluto pubblicare le risposte di quegli sciagurati. Se ci affidiamo a gente che non sa nemmeno le nozioni basilari della cultura generale poi non ci dobbiamo meravigliare di nulla…
Il rapporto tra giustizia e politica. E’ il sistema giudiziario a non funzionare correttamente o il problema è politico nel non applicare le sentenze? Pensiamo alla vicenda di  Europa7…
La giustizia fa il suo corso, ma poi ci vorrebbe qualcuno che prende atto delle sentenze e dà loro esecuzione… Questo è il parlamento che per un anno e mezzo ha latitato prima di prendere atto che Previti non poteva più fare il senatore. E intanto per un anno e mezzo gli hanno dato lo stipendio.
Adesso abbiamo la sentenza di Europa7. Questa sentenza dice che dobbiamo dare le frequenze e i risarcimenti a Francesco Di Stefano ma intanto si continua a menare in can per l’aia. Si risponde vedremo… Aspettiamo il Consiglio di Stato, assegniamo di nuovo le frequenze, aspettiamo il digitale terrestre… Mentre la Corte di Giustizia europea ha detto che è proprio il concetto stesso di “fase transitoria” ad essere illegale e illegittima. Anche in questo caso chi ha fatto le battaglie pro legalità anche dal punto di vista delle frequenze televisive lo abbiamo voluto mettere in rilievo. E questo è l’unico antidoto al qualunquismo.
Due scenari a confronto. Il primo: cosa succede nei rapporti tra politica e giustizia, politica e informazione se vince il governo Berlusconi…
Se vince lui lo sappiamo già, perché lo abbiamo visto all’opera due volte. Per due volte ha occupato la Rai, e per due volte ha favorito Mediaset riempiendo la Rai di dirigenti, per giunta incapaci (ma molto servili)… Per due volte si è accanito contro chiunque osasse criticarlo (come se la libertà l’avessimo conquistata per applaudire e non per criticare…). Per due volte ha cercato di mandare via chi gli dava fastidio. La prima volta non c’è riuscito perché è durato sette mesi. La seconda sì perché è durato cinque anni. Penso quindi che quello berlusconiano, se vince, sarà un “quinquennio replay” rispetto al 2001-2006, ma un po’ “incattivito”. Forse non avrà, almeno al Senato, una maggioranza tale da renderlo sicuro. E quindi sarà molto più nervoso, molto più anziano e quindi darà vita ad un regime molto più incarognito di quello dell’altra volta.
Anche nei confronti delle trasmissioni televisive più “scomode”…
Certamente, sebbene ora i programmi da chiudere sono rimasti ben pochi. Mentre prima aveva un gran lavoro da fare adesso c’è veramente poco da censurare… Una volta che hai chiuso Anno Zero, la Gabanelli e Chi l’ha Visto credo che di danni non li potrebbe più ricevere da nessuna parte…
Scenario alternativo. Vince Veltroni. Stessa domanda. Cosa succede?
Se vince Veltroni lo scenario è più complicato, perché bisogna capire cosa sceglie l’uomo del “questo ma quello”. Quando lo vedremo all’opera riusciremo a capire se è un finto buono o se è un finto inciucista. Oppure se è un vero buono o un vero inciucista. C’è bisogno di molta determinazione per “deberlusconizzare” l’Italia.
La risoluzione del conflitto di interessi era uno dei cavalli di battaglia della precedente campagna elettorale. Tanto rumore per nulla…
Dicevano “faremo questo e quello” e poi su questo tema non hanno fatto effettivamente niente. Veltroni, che queste cose non le ha dette, mi auguro che una volta al governo le faccia. Visto che la precedente campagna elettorale era stata improntata alla promessa della risoluzione del conflitto di interessi e all’abolizione delle leggi vergogna (e poi non hanno abolito un bel niente) può anche darsi che una campagna elettorale senza alcun accenno al conflitto di interessi preluda ad un governo che, appena insediato, lo risolve subito. Questo nella migliore delle ipotesi.
Nella peggiore?
La peggiore è che si dia seguito a queste “menate” della fase costituente, dei tavoli per riscrivere le regole insieme, cioè per riportare Berlusconi nelle stanze del potere anche nel caso venga sconfitto alle urne. Abbiamo già dato… Abbiamo già visto le Bicamerale… Se lo facesse non sarebbe soltanto delinquenziale, sarebbe profondamente stupido.
Ecco perché  io mi auguro che intorno a lui ci siano delle “sentinelle”, una bella pattuglia di rompicoglioni in Parlamento che si battono proprio sui temi della legalità. Gente alla Giulietti, alla Pancho Pardi, alla Zaccaria, gente che morde sui temi importanti. Perché senza quelli lì il cosiddetto riformismo verrebbe lasciato solo: nel caso in cui vinca Veltroni a fare politiche filoberlusconiane: e nel caso in cui vinca Berlusconi a non fare un’opposizione antiberlusconiana. In entrambi i casi è meglio mandare in Parlamento più rompiballe possibili…
Agganciamoci al secondo scenario (vittoria di Veltroni) e facciamo un po’ di “fantapolitica”. Vince il centro sinistra e propone il nome di Marco Travaglio al Ministero alla Giustizia. Tu accetti. Cosa fai nei tuoi primi cento giorni.
Mi raccomando… Facciamo finta... Primo perché non me lo proporrebbero e poi perché io non accetterei mai. Comunque, stando al gioco… la prima cosa da fare è un testo unico di due righe che dica: con decorrenza da oggi sono abrogate: la Legge sul falso in bilancio, la ex Cirielli, la Legge Mastella sull’ordinamento giudiziario, la Legge Cirami sullo spostamento dei processi, la Legge sulle rogatorie, la Legge Gasparri sulle televisioni, la Legge Frattini sul conflitto di interessi. Secondo punto: la legge del 1957 sui concessionari pubblici è più che mai in vigore   
e si applica al titolare delle imprese e non all’amministratore. Cioè è ineleggibile Berlusconi e non Confalonieri. Terzo: abrogazione della prescrizione dei reati penali dopo il rinvio a giudizio.
I processi in Italia hanno dei tempi biblici. Travaglio ministro come la risolverebbe?
Abolirei un grado di appello, per cui si fa un grado di giudizio sul merito delle questioni e poi uno di legittimità, esattamente come negli altri Paesi. Se uno ricorre in Cassazione e il suo ricorso è infondato multa salatissima per scoraggiare chi vuole far perdere tempo e soldi alla giustizia e alla collettività. Altra cosa: piano Marshall finanziario per riempire i buchi negli organici dei tribunali e delle procure civili e penali; e poi naturalmente i corollari: bisogna riscrivere il codice di procedura per cancellare tutta una serie di cavilli che consentono agli imputati colpevoli di “allungare il brodo” mentre vengono paralizzati gli innocenti presi per sbaglio, sotto il giogo della giustizia. Personalmente abrogherei anche la quota laica del Csm: è un organo di autogoverno e quindi deve essere formato interamente da magistrati e non da rappresentanti del Parlamento.
Probabilmente prima che tu faccia tutte queste cose ti avrebbero assassinato…
Molto probabilmente! E quindi è evidente che stiamo scherzando perchè con queste riforme la giustizia comincerebbe a funzionare e le sentenze ad arrivare in tempo. Il Parlamento si spopolerebbe e così i consigli di amministrazione dei tre quarti delle banche e delle imprese private e pubbliche italiane. Quindi è evidente che una riforma che faccia funzionare la giustizia, almeno tutta insieme, non ce la possiamo permettere…
Dismettiamo i panni da “ministro” e torniamo a quelli di Travaglio giornalista visto da sinistra a destra come un componente della categoria insolito (ma forse  l’aggettivo più ricorrente è “rompic…”) che fa troppe domande, che c’ha l’archivio…
Mi meraviglio tutte le volte che lo sento dire. Come se fosse strano fare le domande, avere l’archivio e dire le cose come stanno…  Io per fortuna vengo spesso interpellato da colleghi stranieri, costernati per quello che succede in Italia e mi rendo contro che loro intendono il giornalismo come lo intendo io, come lo intendete voi di Articolo21, come lo intende Peter Gomez, Barbacetto, Gian Antonio Stella, Lirio Abbate… Ce ne sono tanti. Siamo considerati dei “fuori norma” mentre all’estero, la norma, è quella!
Chiudiamo con la stretta attualità. Polemica sul confronto in tv tra i due principali contendenti. Veltroni lo persegue, Berlusconi non lo vuole.
Il faccia a faccia non è un diritto di veltroni: è un diritto degli elettori. Che un sedicente "grande comunicatore", convinto di "stracciare qualunque avversario", continui a scappare di fronte al suo avversario, la dice lunga sulla fragilità delle sue eventuali ragioni.
Mettiamo il caso che chiedessero a te di arbitrare il duello. La prima domanda che faresti ad entrambi, tanto per rompere il ghiaccio?  
La paura di confrontarsi con le domande non è solo di Berlusconi. A Veltroni, se moderassi il confronto, infatti chiederei: perchè non sei mai voluto venire ad Annozero, preferendo il comodo salotto precotto di Vespa? Che cos'ha da nascondere? Ci sono domande a cui non vuole o non sa rispondere? A Berlusconi, negli anni, ho accumulato un centinaio di domande. La prima che mi viene in mente è questa: visto che, come ha detto l'altro giorno, lui è "l'editore più liberale della storia della carta stampata", da Gutenberg in poi, che ne direbbe di restituire la Mondadori, visto che una sentenza definitiva della Cassazione ha stabilito che lui la possiede grazie a una sentenza comprata dal suo avvocato Cesare Previti pagando 400 milioni di lire di provenienza Fininvest al giudice Vittorio metta, poi assunto come avvocato nello studio Previti? Questo domanderei a Berlusconi per prima cosa. Così, tanto per rompere il ghiaccio...
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Un capitolo del libro "Se li conosci li eviti” di Peter Gomez e Marco Travaglio (ed Chiarelettere, 14,60 euro) gentilmente concesso dagli autori per i lettori di Articolo21

I buoni I-  Magnifici Venti della XV legislatura
 
Bindi Rosy (Pd). Ha sfidato Veltroni alle primarie, riportando un’ottima seconda piazza, ma soprattutto s’è opposta a tutti gli inciuci con Berlusconi, ha sostenuto il governo contro i tanti nemici (anche nell’Unione) di Prodi, ma soprattutto ha scritto insieme alla collega Pollastrini la legge sui Dico (sui diritti alle coppie conviventi, anche omosessuali) sfidando i fulmini del centrodestra e gli anatemi vaticani. Dimostrando che si può essere, coerentemente e contemporaneamente, laici e cattolici.
Colombo Furio (Pd). Ha difeso l’onore del Senato, vilipeso dai continui insulti scagliati dalla destra più becera contro i senatori a vita. Ha difeso il diritto a esistere, da troppi ancora messo in discussione. S’è opposto all’indulto e alla legge-bavaglio di Mastella sulle intercettazioni e il diritto di cronaca. Ha presentato un rigoroso disegno di legge sul conflitto d’interessi e sul sistema televisivo veramente liberale, in alternativa a quello inciucista del duo Franceschini- Violante.
Dalla Chiesa Nando (Pd). Come sottosegretario all’Università e alla Ricerca, ha svolto un lavoro oscuro ma meritorio sull’edilizia residenziale per gli studenti (18mila posti letto in più per i fuori sede), sulle accademie e i conservatori, e soprattutto ha inaugurato un progetto denominato «Ethicamente» per insegnare negli atenei l’etica pubblica e professionale. Intanto ha proseguito le sue battaglie per la legalità, contro mafie e corruzioni. Ciononostante, o forse proprio per questo, il Pd non l’ha ricandidato. Vergognosamente. M2_01_Se li conosci 12-03-2008 12:30 Pagina 21
De Zulueta Tana (Verdi). Promotrice, insieme ad artisti, giornalisti e intellettuali (Sabina Guzzanti in primis) della proposta di legge «Perunaltra tv», con lo scopo di liberare la Rai dal controllo dei partiti, s’è battuta con competenza ed eleganza tutte britanniche per la libertà d’informazione e contro il conflitto d’interessi, inascoltata anche nella sua coalizione. Ciononostante, o forse proprio per questo, l’Arcobaleno non l’ha ricandidata. Vergognosamente.
Giulietti Giuseppe (ex Ds, ora Idv). Ex segretario dell’Usigrai, veterano della Vigilanza Rai (che ha chiesto di abrogare), non ha mai smesso di difendere giornalisti, artisti e intellettuali minacciati di censura, di qualunque orientamento fossero e da qualunque parte provenissero le minacce. Animatore del sito Articolo21 insieme al presidente Federico Orlando, è un punto di riferimento per chiunque voglia liberare l’informazione dalle troppe mani sporche e lunghe che la controllano. S’è battuto, fra i pochissimi, per una legge sul conflitto d’interessi che prevedesse la ineleggibilità dei titolari di concessioni televisive. Il Pd, comprensibilmente, dopo aver nominato Marco Follini responsabile informazione, l’ha silurato. Per fortuna, Di Pietro gli ha messo a disposizione le sue liste per proseguire la battaglia nella prossima legislatura. Lui ha aperto la campagna elettorale con una visita a Europa7, l’emittente di Francesco Di Stefano che non può trasmettere perché derubata delle frequenze dal 1999: «Tutti vanno a rassicurare Mediaset – ha detto provocatoriamente –, io vado a rassicurare Europa7».
Guadagno Vladimir «Luxuria» (Prc). Entrata in Parlamento con la fama di drag queen e dunque trattata come un fenomeno da baraccone nel Paese più ipocrita del mondo, ha saputo farsi valere, evitando di fossilizzarsi sulla materia della diversità, ma combattendo, in Parlamento e in televisione, per i diritti di tutti, con una competenza che chi vive di pregiudizi non avrebbe mai sospettato, ma che molti hanno dovuto riconoscerle, tardivamente, anche negli ambienti più lontani da lei.
Licandro Orazio (Pdci). Autore, come vedremo più avanti, dell’emendamento alla legge istitutiva della commissione Antimafia per escluderne almeno i parlamentari condannati (ovviamente bocciato dalla Camera), si è battuto in commissione Affari costituzionali per inserire nella legge sul conflitto d’interessi il concetto di ineleggibilità per i titolari di concessioni tv (proposta ovviamente respinta non solo dalla Cdl, ma anche dal resto dell’Unione).
Meloni Giorgia (An). Leader di Azione Giovani, vicepresidente della Camera a ventinove anni, non ha scontato nemmeno per un giorno il prezzo della prevedibile inesperienza, presiedendo con fierezza e autorevolezza l’aula di Montecitorio. Non usa l’auto blu da ben prima che si cominciasse a parlare di «casta». Ha aperto le feste dei giovani di An anche a personaggi lontanissimi da loro. Ha presentato proposte di legge per i giovani e per incentivare la natalità. Si è battuta per l’autodeterminazione del Sahara occidentale. Ha saputo dire parecchi no ai vertici del suo partito. Ha dichiarato di aver iniziato a fare politica a quindici anni grazie a Mani Pulite e alla lezione di Paolo Borsellino: non accade di frequente, a quell’età e in quel partito. Una delle poche donne che esisterebbero in politica anche senza quote rosa.
Mura Silvana (Idv). Tesoriera dell’Italia dei valori, si è opposta praticamente da sola (insieme al radicale Fabrizio Turco) al tentativo dei segretari amministrativi di tutti gli altri partiti di ripristinare il finanziamento pubblico dei partiti, dichiarato o mascherato dietro fantomatiche «fondazioni», e alla fine li ha costretti a ritirare una legge già bell’e fatta, con l’accordo bipartisan di destra e sinistra, facendo infuriare il cassiere Ds Ugo Sposetti. Nemica di sperperi, aumenti di stipendio, arrotondamenti di indennità, privilegi assortiti, ha firmato insieme agli onorevoli Buonfiglio e Alemanno di An una proposta decisamente alternativa, per tagliare i parlamentari, i ministri e i relativi emolumenti.
Napoli Angela (An). È l’altra mosca bianca di An: piemontese ma residente ed eletta in Calabria, è sempre stata in prima fila nella lotta alla ’ndrangheta e al malcostume nella regione. Ha difeso il pm di Catanzaro Luigi De Magistris dagli attacchi sferratigli da destra e sinistra (anche da An), pur se De Magistris l’aveva inquisita (e poi fatta archiviare) in un’inchiesta di qualche anno fa. Ha chiesto per prima le dimissioni di Totò Cuffaro, quando fu rinviato a giudizio e quando molti, anche a sinistra, facevano finta di nulla. Ha aderito alla proposta del Centro Lazzati di Lamezia Terme, animato dal giudice di Cassazione Romano De Grazia, che punta a togliere la possibilità di fare campagna elettorale ai presunti mafiosi sottoposti a misure di prevenzione.
Palomba Antonio (Idv). Magistrato in aspettativa, è uno dei pochi ex giudici che non hanno perso il senso dell’orientamento una volta entrati in Parlamento. Nella giunta per le elezioni della Camera, ha tenuto dritta la barra della legalità contro i continui assalti dei colleghi di destra e di sinistra per assicurare l’impunità ai membri della casta toccati da procedimenti giudiziari. E quasi sempre ha votato a favore dell’autorizzazione all’arresto e all’uso delle intercettazioni a carico di parlamentari. Particolarmente preziosa la sua opera in occasione del dibattito sulle telefonate inoltrate dal gip Clementina Forleo sulle scalate bancarie del 2005.
Prodi Romano (Pd). Ha sbagliato molto, a partire da quando non capitalizzò i 4 milioni e mezzo di voti delle primarie del 2005 facendo una sua lista e rinunciò a coprirsi le spalle dagli agguati dei presunti «alleati». Per proseguire con la scelta sciagurata di nominare Mastella ministro della Giustizia e di cedere alle pressioni dei partiti che gli imposero un governo di 102 fra ministri, vice-ministri e sottosegretari. Ma, grazie anche a Padoa Schioppa e Visco, ha avviato una seria lotta all’evasione fiscale e ha rimesso in ordine i conti dello Stato facendo revocare la procedura d’infrazione europea aperta contro l’Italia grazie allo sfascio berlusconiano. Poi, battuto in Parlamento, ha evitato compromessi al ribasso ed è uscito elegantemente di scena. Finora è l’unico leader del centrosinistra ad aver sconfitto (due volte su due) Berlusconi. Ci mancherà.
Rame Franca (ex Idv, poi Gruppo misto). Ha vissuto la sua esperienza in Senato come una missione, lottando come una leonessa per i princìpi in cui crede. S’è opposta all’indulto extra-large, ha avviato una campagna contro i privilegi della casta e gli sperperi della spesa pubblica. Ha partecipato alle manifestazioni contro la base Usa di Vicenza, contro il Tav in Valsusa e in difesa della libertà d’informazione. Ha preso a cuore – fra i pochissimi – il dramma dei soldati colpiti da tumore per l’uranio impoverito nelle missioni di guerra. Di Pietro l’avrebbe rivoluta in lista, ma lei, stanca e delusa, ha declinato. Peccato. Le dobbiamo tutti un grazie.
Salvi Cesare (ex Ds, ora Sinistra arcobaleno). È riuscito a far dimenticare il suo passato dalemiano e bicamerale con una campagna contro gli sprechi della casta (denunciati per primo nel libro I costi della democrazia, scritto a quattro mani con Villone, vedi sotto). Ha difeso i magistrati attaccati anche dai compagni, come De Magistris e la Forleo. Ha chiesto, insieme a Fabio Mussi, lo scioglimento delle giunte screditate e inquisite della Calabria, della Campania e della Sicilia. È stato fra i primi a scoprire gli effetti devastanti del famigerato «comma Fuda», che di fatto assicurava la prescrizione a tutti i reati contabili dinanzi alla Corte dei conti, poi cancellato in tutta fretta dal governo.
Sodano Tommaso (Prc). In controtendenza con il suo partito, Rifondazione comunista, troppo portato alle battaglie parolaie e inconcludenti, ha presieduto con competenza e rigore la commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti in Campania, che già nella scorsa legislatura portò alla luce il ruolo ambiguo dell’Impregilo e del commissariato straordinario, presieduto anche da Antonio Bassolino, segnalando alla Procura di Napoli i reati per i quali, di recente, si è giunti a una trentina di rinvii a giudizio. Averne, di comunisti così preparati e rigorosi.
Tabacci Bruno (Rosa bianca). Nel 2005 è stato fra i pochi (anzi fra gli unici, nel centrodestra) a opporsi alle manovre del governatore di Bankitalia Antonio Fazio e ai tanti sponsor dei furbetti del quartierino, respingendo ogni tentativo di avvicinamento per ammorbidire la sua posizione sulla legge sul risparmio e sul mandato a termine del governatore. Critico da sempre sul conflitto d’interessi di Berlusconi, ne ha contestato la leadership, fino al punto di abbandonare l’Udc, mesi prima che Casini e il suo partito rompessero con la dittatura berlusconiana.
Vacca Elias (Pdci). Insieme al suo corregionale Palomba (sardo come lui), questo giovane avvocato alla prima esperienza parlamentare è stato un punto di riferimento nella giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera, opponendosi a tutti i tentativi di impunità della casta. A volte votava a favore delle autorizzazioni, a volte contro, ma senza mai guardare in faccia «amici» e «nemici»: sempre secondo la legge e la coscienza. È stato relatore della pratica D’Alema a proposito della richiesta del gip Forleo sulle intercettazioni Unipol e, contro ogni pressione diessina, ha messo nero su bianco che il vicepremier non godeva di alcuna particolare immunità europea. Dunque i giudici di Milano potevano procedere senza chiedere alcun permesso a Strasburgo.
Villone Massimo (ex Ds, ora Sinistra arcobaleno). In tandem con Cesare Salvi, ha anticipato le denunce contro i privilegi e gli sprechi della casta politica, calcolando, nel libro scritto a quattro mani con il suo collega, che ormai, in Italia, vivono di politica 400mila persone, che costano alla collettività circa 4 miliardi all’anno. Anche lui ha chiesto le dimissioni dei governatori inquisiti del Sud, cioè Cuffaro, Bassolino e Loiero, e lo scioglimento delle rispettive giunte regionali.
Vizzini Carlo (FI). I lettori troveranno il suo nome anche nella lista degli impresentabili, a causa di una vecchia prescrizione per un pezzo della maxitangente Enimont. Ma, dopo quel brutto episodio di 18 anni fa, Vizzini s’è un po’ riscattato: da anni propone, unico in Forza Italia, la cacciata dal partito di tutti i personaggi collusi o chiacchierati. Sua la proposta, poi fatta propria dalla commissione Antimafia (di cui fa parte), di un codice di autoregolamentazione dei partiti per escludere dalle liste i condannati almeno nelle elezioni amministrative. Non è moltissimo, ma in Forza Italia Vizzini è un mezzo rivoluzionario.
Zaccaria Roberto (Pd). Già presidente della migliore Rai degli ultimi vent’anni, è stato uno dei più fieri avversari della controriforma costituzionale della Cdl, poi bocciata nel referendum del 2006, ma verso la quale molti anche nel centrosinistra manifestavano più di un’indulgenza. E, dichiarando in aula il proprio dissenso di costituzionalista, è stato uno dei pochissimi deputati ad astenersi, sulla legge Mastella che mirava a imbavagliare i giornalisti, impedendo loro di raccontare intercettazioni e atti di indagine. Approvata da una vastissima maggioranza bipartisan, si è poi fortunatamente arenata in Senato. 

No al bavaglio Mastella
 
 
Il 17 aprile 2007, la Camera dei deputati vota sulla legge Mastella, sostenuta da tutti i gruppi parlamentari, nessuno escluso, per proibire ai giornalisti di pubblicare o anche soltanto raccontare per «riassunto» e nel «contenuto» intercettazioni e atti d’indagine (non quelli top secret, già proibiti, ma quelli non più coperti da segreto investigativo perché depositati alle parti) fino al termine dell’udienza preliminare, o – per il fascicolo del pm – addirittura fino alla sentenza di appello. I Sì sono 447, i No nessuno, gli astenuti e i non partecipanti al voto per espresso dissenso con la legge o con le sue parti più liberticide sono 9: Giuseppe Caldarola, Giuseppe Giulietti, Franco Grillini, Marisa Nicchi (Ds) Salvatore Cannavò (Prc) Enzo Carra, Roberto Zaccaria (Margherita) Tana de Zulueta, Roberto Poletti (Verdi). 

Lista Libera Stampa
 
 
Ferdinando Adornato (FI): «Montanelli? È moderato immaginario pluridecorato al valor giornalistico con licenza di straparlare» («il Giornale», 29 marzo 2001).
Massimo Baldini (FI): «Il Fatto di Enzo Biagi si può eliminare: non serve a niente» (Ansa, 3 ottobre 2001 ).
Silvio Berlusconi (FI): «Il mio genio imprenditoriale l’ho utilizzato spendendo un mucchio di miliardi perché lui [Montanelli, nda] potesse scrivere sul “Giornale” quel che voleva. Ora lui spenda per me il suo genio polemico, scrivendo contro Scalfari e altri quel che può essere utile anche a me» (In una telefonata con Federico Orlando del 1993, riportata in Il sabato andavamo ad Arcore). «Quella di Biagi, Santoro e della Rai di Zaccaria è stato un attentato alla democrazia: mi hanno fatto perdere 17 punti in campagna elettorale» (Vertice internazionale di Caceres, Spagna, Ansa, 9 febbraio 2002). «In questi giorni la Rai ha cambiato i responsabili dei tg e delle reti. Tornerà finalmente a essere una tv pubblica, cioè di tutti, cioè oggettiva, cioè non partitica, cioè non faziosa come è stata con l’occupazione manu militari da parte della sinistra. L’uso che i Biagi, i Santoro e i... come si chiama quello là... ah sì, Luttazzi, hanno fatto della televisione pubblica, pagata con i soldi di tutti, è stato criminoso. Preciso dovere della nuova dirigenza Rai è di non permettere più che questo avvenga» (conferenza stampa a Sofia, 18 aprile 2002). «Sulle intercettazioni telefoniche introdurremo pene severe: cinque anni per chi le diffonde, e due milioni di euro di multa per gli editori che le pubblicheranno» (Ansa, 17 gennaio 2008). «Mi sono battuto perché Biagi non lasciasse la televisione, ma alla fine prevalse in Biagi il desiderio di poter essere liquidato con un compenso molto elevato» (Ansa, 18 febbraio 2008).
Michele Bonatesta (An): «Come volevasi dimostrare, nessuno ha fatto il favore alla sinistra di far fuori Enzo Biagi dalla Rai. Presentandosi come martire della libertà e del pluralismo dell’informazione nell’era del tiranno Berlusconi, egli si è assicurato l’intangibilità nei secoli dei secoli. Anche se gli italiani avrebbero dormito pure se Biagi non avesse più lavorato in Rai. E ora che Biagi non è stato epurato e che la tv pubblica non ha obbedito ai “diktat bulgari” di Berlusconi, come direbbero Giulietti o Falomi, di cosa parlerà l’opposizione? Come farà a liberare il cavallo di viale Mazzini? Vediamo una paurosa penuria di argomenti non propagandistici» (Ansa, 30 ottobre 2002).
Roberto Calderoli (Lega Nord): «Biagi e Santoro fanno le verginelle candide e rispondono a Berlusconi parlando di intimidazione del potere. Ma i veri potenti sono stati proprio loro per anni, dando vita a trasmissioni faziose, schierate dalla parte della sinistra contro la Lega e il Polo, senza dare diritto di replica e addirittura preparando trappoloni incresciosi, come avvenne nella puntata dedicata a Marcello Dell’Utri. Biagi sottolinea che dovrà essere il Cda a licenziarlo e non il premier. Per fortuna il contratto di Biagi è in scadenza e sarà sufficiente ai vertici Rai non rinnovarglielo» (Ansa, 19 aprile 2002).
Roberto Castelli (Lega Nord): «Qui ormai siamo alla commedia. Mi spiace che persone come Biagi abbiano venduto se stesse a una parte politica» (Ansa, 27 marzo 2001).
Massimo D’Alema (Ds): «Voi parlate di tremila euro, di cinquemila euro: ma li dobbiamo chiudere, quei giornali (che pubblicano atti di indagine, nda)... Ci sono stati episodi scandalosi in cui materiale senza nessuna attinenza con l’inchiesta è andato a finire sui giornali. E anch’io ne sono stato vittima » («la Repubblica», 29 luglio 2007).
Carlo Giovanardi (Udc): «Enzo Biagi ha 84 anni, leggo che il sindaco di Bologna gli ha offerto un incarico. Credo sia benestante, non mi sembra che sia discriminato. Francamente mi preoccuperei di più di quei tanti giornalisti di 20-30 anni che trovano le porte delle redazioni chiuse o non riescono a lavorare. Io credo che ci sia bisogno di professionalità nuove e non mi sembra straordinario che a quell’età siano state interrotte delle forme di collaborazione per far posto a professionalità più giovani» (Ansa, 18 agosto 2004).
Giorgio Lainati (FI): «Le parole di Biagi sono frutto di una incredibile carica di odio e livore personale che porta quello che è stato un autorevole e prestigioso giornalista italiano a manifestare un assoluto e irreversibile disprezzo per il capo del governo del proprio Paese» (Ansa, 5 giugno 2005).
Giuliano Ferrara: «Caro Biagi, non faccia il martire, ci risparmi la solita sceneggiata (...). Lei ha fatto campagna elettorale con i quattrini di tutti, anche degli elettori del centrodestra (...). Quando si sparge l’incenso conformista lei è sempre il primo. Spostare Il Fatto in un altro orario non sarà come violare una vergine o sgozzare un agnello sull’altare dell’informazione» (Giuliano Ferrara, lettera aperta a Enzo Biagi su «Panorama», 1° febbraio 2002). «Biagi è un mostro sacro degli affari suoi e un ipocrita» («Il Foglio », 23 maggio 2002).
Maurizio Gasparri (An): «Montanelli è stato un uomo sempre dalla parte di chi comandava: fascista durante il fascismo, antifasci- sta appena in tempo quando il regime stava cadendo, mantenuto da Berlusconi, adesso sta con la sinistra» (Ansa, 25 marzo 2001). Gasparri inserisce poi Enzo Biagi in una lista di personaggi «faziosi » dettata da lui e da altri esponenti del Polo al giornalista Daniele Vimercati nel programma Iceberg, su Telelombardia, il 26 marzo 2001. La lista di proscrizione comprende anche Santoro, Luttazzi e il Tg3 in blocco.
Giancarlo Gentilini (Lega Nord): «Gli alberi quando invecchiano si seccano e perdono il colore, vivacchiano. Montanelli è uno così. Il 13 maggio mi auguro di mandarli tutti in esilio, quelli del centrosinistra. Conquisteremo Roma per la seconda volta. Sarà una marcia su Roma» (31 marzo 2001).
Paolo Guzzanti (FI): «È così imbarazzante quest’odio personale di quest’uomo dalla penna facile e dalla vita lunga [Montanelli, nda] che si comporta come quei giovanotti della Belle époque che, avendo dissipato il patrimonio al casinò, dedicavano poi la loro vita a distruggere o deridere quella di chi li aveva sostenuti. E non parliamo di patrimoni di denaro, ma morali» («il Giornale», 16 febbraio 2001).
Agostino Saccà (FI): «La Rai depreca il fatto che un collaboratore autorevole dell’azienda come Enzo Biagi usi espressioni e toni offensivi nei confronti di un giornalista, quale Fabrizio Del Noce, stimato da sempre per la sua indiscussa attività professionale e che ora è stato chiamato dal consiglio di amministrazione, su proposta del direttore generale, a dirigere una delle più importanti strutture editoriali dell’azienda stessa. Il presidente e il direttore generale esprimono solidarietà al direttore di Rai1 Fabrizio Del Noce, confermandogli la stima e la fiducia da sempre riposta in lui» (24 maggio 2002).
Claudio Scajola (FI): «Montanelli fa il critico di Berlusconi per motivi di senilità» (Ansa, 22 aprile 2001).
Walter Veltroni (Pd): «Il divieto assoluto di pubblicare tutta la documentazione relativa alle intercettazioni e delle richieste e delle ordinanze emesse in materia di misura cautelare fino al termine dell’udienza preliminare e delle indagine serve a tutelare i diritti fondamentali del cittadino e le stesse indagini» (Ansa, 16 febbraio 2008).