Discussione politica

SENZA SCAMPO

Di Antonietta M. Gatti
 
Se, da una parte, la trasmissione di RAI3 “Chetempochefa” ci delizia con una visione non conformista degli eventi che ci circondano da parte della bravissima Luciana Litizzetto, dall’altra ci propina una versione della realtà ad uso e consumo di pochi affaristi. L’intervista con il professor Veronesi che negava ex cathedra l’influenza dell’inquinamento ambientale come causa di patologie cancerose è, almeno per ora, la manifestazione più eclatante. Ma il professor Veronesi si è mai preso la briga di vedere se dentro ai tessuti cancerosi c’è la polvere dell’inquinamento ambientale? Ovviamente no. Dopotutto, non ne avrebbe nemmeno i mezzi. Allora viene legittimo il sospetto che le sue affermazioni non c’entrino per nulla con i fatti e siano dettate da qualche interesse.
Non c’è ombra di dubbio, e l’Organizzazione Mondiale della Sanità lo conferma, che se, per ipotesi, l’inquinamento diminuisse, diminuirebbero patologie come il cancro, e, allora, inevitabilmente diminuirebbe l’uso di farmaci chemioterapici e di conseguenza il business farmaceutico, e diminuirebbero le sovvenzioni da parte di queste multinazionali al centro che lui dirige. E diminuirebbero i ricoveri nelle strutture pubbliche e, ciò che a qualcuno interessa, private, e il viavai dei pazienti negli ambulatori. Si chiama matematica sottrattiva. La gente, invece, percepisce chiaramente che l’inquinamento ambientale determina una diminuzione della propria salute e una sottrazione di denaro dalle proprie tasche, denaro speso per cure.
Un altro esempio molto illuminante l’abbiamo avuto nella stessa trasmissione di domenica 3 febbraio, quando è stato intervistato il commissario straordinario per i rifiuti in Campania, Gianni De Gennaro,.
Ora l’intervistato, senza sottilizzare troppo un poliziotto sicuramente molto capace, ha affermato che non ci sono pericoli attorno alle discariche che sta riaprendo, e che l’informazione gli è stata passata da persone del Ministero della Salute. Io voglio credere che De Gennaro sia in buona fede perché essenzialmente sono buonista, ma forse il commissario non si è chiesto perché, nel tempo, le stesse discariche erano state chiuse. Non era forse perché attorno a queste la gente si ammala con più frequenza? O forse perché ha visto nascere bambini malformati? Non si è almeno chiesto, il commissario, perché la gente si oppone e fa addirittura barricate per impedire che i rifiuti vengono stoccati sotto casa? Capricci? Sindrome nimby?
Se si deve credere all’Organizzazione Mondiale della Sanità (http://www.euro.who.int/healthimpact/MainActs/20050207_1) che ha “investigato sull’impatto del trattamento dei rifiuti nella Regione Campania”, ci sono “significativi eccessi di cancro dello stomaco, reni, fegato e polmone e malformazioni congenite urogenitali e cardiovascolari”.
Comunque sia, siamo davanti alle “110 giornate di Napoli”: una vera rivoluzione.
Questi “rivoluzionari” non sono persone ricche, si tratta in genere di povera gente che parla anche un italiano traballante, ma che avverte con chiarezza che c’è qualcosa che non torna. Questa gente, con la sola esperienza di vita vissuta attorno a quelle discariche, con il solo, dimenticato, svilito buon senso, capisce che quell’aria che si respira fa ammalare. Concetto, questo, molto semplice che, tuttavia, persone laureate come il professor Veronesi e il dottor De Gennaro non arrivano a capire. O, ben più probabilmente, che non vogliono vedere.
Loro, tutto sommato, mica vivono lì, e dunque…
L’ormai annosa gestione demenziale dei rifiuti campani ci ha messo di fronte ad un fatto d’inaudita gravità: lo stato toglie ai suoi cittadini anche l’aria necessaria per vivere. Ma non doveva essere lui, lo stato, il tutore della salute pubblica con quel curioso articolo 32 della Costituzione? Attraverso un tutore della legge, un poliziotto, lo stato ci toglie, invece, anche l’aria da respirare o, meglio, ci costringe a  respirare un’aria che, già a priori, si sa che non può che ledere la nostra salute. E il futuro sarà di gran lunga peggiore, visto che alle discariche seguiranno i micidiali inceneritori, cui non basta cambiar nome per attutirne la pericolosità.
Il nostro corpo è una macchina che, per funzionare, ha bisogno di ossigeno, non di ossidi di carbonio, non di diossine, non di polveri o di altri veleni. Allora? Ci mandano a morire per ragioni di stato? O per l’interesse di chi?
Io posso capire che chi fa il poliziotto non abbia una cultura medica e, per questo, non sappia e non immagini neppure gli effetti di un’aria piena di polveri e gas (ben diversi dall’ossigeno) sull’organismo umano, ma i medici lo sanno. Il Ministero della Sanità non può non saperlo.
Qualche anno fa fu messo in pista uno studio finanziato dalla Comunità Europea chiamato “Eurocat” sulle malformazioni fetali. Bene, questo ha dimostrato che attorno alle discariche nascono più bimbi malformati.
Il dato era già conosciuto negli Anni Sessanta. E la documentazione relativa ai veleni degli inceneritori è ormai soverchiante. Qualcuno, per esempio il professor Veronesi, può andarsi a leggere quelle pagine?
La situazione in Campania è devastante. Da una parte abbiamo i roghi dei rifiuti per le strade che producono esalazioni venefiche, (qualche medico può, per cortesia, allestire una sorveglianza medica nelle zone attorno ai roghi? Lì si potrebbero avere patologie assortite, anche di natura neurologica); dall’altra parte abbiamo persone che ricominciano a  respirare aria contaminata e che, magari non domani e non dopodomani, ma in un futuro prossimo, cominceranno a stare malino, poi male, poi avranno diagnosi di tumori in qualche distretto del corpo. O soffriranno di patologie cardiovascolari, che, tra le patologie da polveri, sono conseguenze più comuni del cancro.
La probabilità che queste persone si ammalino sta sicuramente diventando ben più alta di quella di persone che vivono in zone senza contaminazioni di sorta. Ed è, ancora una volta, matematica. Qualche epidemiologo può già fin da ora fare sorveglianza, solo per dimostrare, numeri non manipolati alla mano, che ciò che dico, senza virtù profetiche ma solo in base all’ovvietà della scienza, risulterà vero.
Quando questo accadrà, si dovrà fare i conti con qualcosa d’inaudito: con un poliziotto che sarà  il responsabile di queste patologie. E sarà possibile anche dimostrarlo con chiarezza: infatti l’inquinamento ambientale, qualcosa che si può misurare già fin da ora, lo si ritroverà dentro ai tessuti malati di queste persone. E i bambini malformati che nasceranno lì attorno sapranno che proprio un poliziotto è autore responsabile dello scempio.
Si parla poi sempre di prevenzione, ma quando si entra in un ginepraio d’interessi personali o di cosca, questa prevenzione è per forza di cose negata.
Credo, infine, che la nostra televisione, ed includo anche RAI3, stia facendo un brutto servizio alla comunità, prestandosi a farci credere che non ci sia pericolo là dove invece il pericolo esiste eccome. Potrà la TV dare pari opportunità anche a chi non è d’accordo? O continuerà con questa poco nobile televendita?
Gli scienziati veri, quelli che non hanno interessi da difendere al di fuori di quelli della salute e della scienza stessa, non sono dei fastidiosi grilli parlanti: è solo sulla base dei dati scientifici che prevedono ciò che sarà. E questo indipendentemente da tutto.
Qualcuno che conta può ascoltarli?
In questa situazione, però, in questo mondo di sordi, di ciechi e di muti o, peggio, di strombazzatori di falsità, credo però che l’unica via d’uscita, se si vuole sopravvivere, sia impadronirsi della cultura o scappare in massa da quelle zone inquinate.


Un piccolo lascito di Galapagos, sul Manifesto

Il fisco anche in gennaio ha fatto il pieno: le entrate tributarie sono aumentate del 7,4%, un tasso di crescita superiore a quello del Pil nominale. Sembra che gli italiani da un po' di tempo paghino più tasse. O meglio, che a pagarle siano quelli che in precedenza l'hanno pagate con abbondante «autosconto», approfittando poi dei ripetuti condoni di Tremonti per metterci una pietra sopra. L'aumento della pressione fiscale si spiega solo con la «tigna» di Visco, ovvero con una lotta all'evasione. Ma ora è il momento di farla scendere questa pressione fiscale. Ovviamente partendo da chi le tasse le ha sempre pagate: i lavoratori dipendenti ai quali sfuggire al fisco è sempre stato praticamente impossibile.
La legge finanziaria per il 2008 prevede che tutto l'extragettito derivante dalla lotta all'evasione fiscale sia destinato al sostegno del lavoro dipendente e delle famiglie più indigenti. Proiettando i dati di gennaio si può stimare, anche in presenza di un rallentamento dell'economia, che il tesoretto disponibile si aggira sugli 8-10 miliardi di euro. Una manna per chi da anni sta perdendo potere d'acquisto: a loro debbono essere destinate tutte le risorse disponibili.
Anche le categorie che in questi anni - secondo Bankitalia - hanno fatto il pieno (come commercianti e artigiani) sembrano favorevoli a una redistribuzione del reddito a favore dei lavoratori dipendenti. Non c'è da meravigliarsi: la domanda sta scendendo e i consumi rischiano di scendere ancora di più con il rallentamento del ciclo economico e una spinta all'economia può arrivare proprio dai consumi di chi da anni stringe la cinghia. Ma non c'è il problema del governo? Assolutamente no: la diminuzione della pressione fiscale è già legge dello stato e anche un governo provvisorio può e deve agire per applicarla. Se serve anche con un decreto legge: un piccolo lascito a futura memoria. E chi si oppone rischia di perdere le elezioni.


C'era una volta un re, seduto sul sofà, che chiese alla sua serva raccontami una storia....

la storia incominciò: c'era una volta un re...
Ipotesi uno
2000: la sinistra cambia la legge elettorale per garantire la governabilità.
2001: Berlusconi vince le elezioni, governa uno schifo, capisce che perderà le elezioni successive e cambia la legge elettorale per non permettere alla sinistra di governare.
2006: la sinistra vince le elezioni e poi non riesce a governare perché Berlusconi ha fatto una legge di merda.
2008: Si va elezioni anticipate. Prima delle elezioni la sinistra cambia la legge elettorale per garantire la governabilità. Berlusconi vince le elezioni e governa uno schifo.
2013: Berlusconi capisce che perderà le elezioni successive e cambia la legge elettorale per non permettere alla sinistra di governare.
2015: la sinistra vince le elezioni, non riesce a governare perché Berlusconi ha fatto una legge di merda.
2017: Si va elezioni anticipate. Prima delle elezioni la sinistra cambia la legge elettorale per garantire la governabilità. Berlusconi vince le elezioni e governa uno schifo.
E via così.


scusate il ritardo, ma non ho avuto un attimo di tempo! franca

Roma 24 gennaio 2008
guarda qui la manchette in uscita su Repubblica
E se domani tornasse Berlusconi? (La Stampa)
Governo: si, non è andato tutto come si voleva, ma se tornasse Berlusconi (Liberazione)
Ieri sera, dopo la giornata trascorsa alla Camera, sono rientrata a casa senza alcuna voglia di parlare, e tanto meno di discutere. Manco ho cercato di reagire. Mi sono sdraiata sul letto a riflettere. Pensare e ripensare a quanto visto e udito in quella lunghissima giornata. Avevo addosso un grande sconforto.
Che non se ne andrà di certo in qualche ora.
Né in qualche giorno.
Sono entrata a Montecitorio alle 15.30. Il governo era presente al completo, Prodi con tutti i suoi ministri, meno l’ineffabile Mastella.
Ho ascoltato le dichiarazioni di voto dell’opposizione e di qualche rappresentante della sinistra cosiddetta estrema. Erano entrambi violente e insultanti. Parola d’ordine: “Vattene Prodi”.
Non mi giudicate “facile al patetico”, non lo sono. Piuttosto mi sono messa nei panni di Prodi e ho vissuto il suo stato d’animo. Stavo male per lui. Me ne sono uscita interamente svuotata.

Già la mattina era cominciata male. Una normale e amichevole conversazione con un compagno che stimo è degenerata in un attimo, partendo dal voto alla fiducia a Prodi.

La coerenza è stata una costante assoluta della nostra vita (mia e di Dario), coerenza che abbiamo anche pagato caramente. Coerenza “sì”, espressa sempre ad ogni costo. E le rarissime volte che abbiamo mediato è stato solo perché non eravamo gli unici esseri viventi del pianeta con problemi “solo nostri”, ma c’erano altre persone coinvolte. Eravamo quindi costretti a riflettere su “causa ed effetto” nella totalità delle situazioni.
In questi 19 mesi, come ho spesso ripetuto, m’è capitato più di una volta di dover votare contro coscienza. Perché? Proprio per rispettare la “causa e l’effetto”. Il leit motiv delle mie riflessioni girava sempre su una costante domanda: dove porterà il governo del quale faccio parte il mio voto “contro” da anima bella?
Sono salita su questa strana nave che a momenti mi ricorda quella dei folli, pensando di poter fare qualcosa di utile. Non è successo. Non mi è stato possibile. Non ce l’ho fatta.
Essere coerenti con le proprie scelte ideologiche è onesto, giusto, indispensabile… ma se non te lo puoi permettere? Non ti resta che rassegnare le dimissioni. Cosa che ho fatto.
Senza presunzione dico che non so se il governo avrebbe retto senza i miei “Sì” con i piedi saldi a terra, dettati dal senso di responsabilità.
Se qualcuno di quelli che mi hanno votata pensa che io abbia tradito i miei elettori e me stessa, io rispondo che l’esame di coscienza me lo sono imposto ogni giorno. Adesso tocca a loro, mettendosi anche nei miei panni fino in fondo.
Ribadisco che personalmente ho solo mantenuto l’impegno che ho preso accettando questa assai pesante carica: fedeltà al governo. Mai avrei potuto far qualcosa che lo mettesse a rischio.
Punti di vista.
E’ bello, esaltante, far l’eroe sul cavallo bianco con il vento che ti gonfia il mantello… soprattutto quando c’è qualcuno che ti permette di montare in groppa e galoppare glorioso. 
La coerenza va ragionata, come ho già detto, e non perseguita a piedi giunti ad oltranza, muovendosi esclusivamente lungo le proprie convinzioni.
Causa ed effetto.
Oggi (salvo miracolo) il governo cadrà. I responsabili di ‘sto sfacelo dovranno render conto del loro operato a “molti” italiani.

Sì, non tutto è andato come si voleva. Sì, la gente sta male… Sì, ci siamo trovati in mezzo a guerre, così dette “missioni di pace”, sì i precari, sì gli operai che si alzano alle 5 e vedono crescere i figli quando li vanno a guardare mentre dormono, solo la sera al rientro… Sì, le pensioni fanno schifo… beh, non tutte : un importante politico intasca circa 500 mila euro l’anno… sì, non s’è mosso un dito per il conflitto d’interessi e la cancellazione delle leggi ad personam… Ma in quanti “mangioni” si saranno dati da fare perché a Prodi non si permettesse di affrontare l’argomento? Sì, sì, sì… tutto giusto. Ma che Prodi, in quel suo governo, di fatto, si trovasse come un condannato agli arresti domiciliari con manco un cane che gli portasse le arance… non l’avete mai considerato? Andavano da lui solo a imporgli, a chiedere e a ricattare.
Bella gente!
Che Berlusconi ci ha lasciati con le pezze al sedere nessuno se ne ricorda? E che i soliti furbacchioni hanno collezionato cariche e privilegi in quantità?
Non ha fatto proprio niente Prodi? In un editoriale di qualche giorno fa Scalfari faceva un elenco che dimostrava proprio il contrario. Sono poi passati solo 19 mesi. Bastavano per rimettere in piedi un Paese completamente allo sfacelo?

Cosa pensano i responsabili della caduta di Prodi, che tornando Berlusconi a Palazzo Chigi la classe operaia andrà in fabbrica con la Ferrari, i pensionati sverneranno a Sanremo e i precari avranno contratti d’oro che erediteranno i loro figli e i figli dei loro figli?
E se non andasse così?
E se si peggiorasse come è più che probabile?

No, l’estremismo non mi è mai piaciuto.  
Penso a un tale, di cui ci si ricorda sempre meno, che sentenziava: “Attenti. L’estremismo è la malattia infantile del comunismo.”
Ha sbagliato: non è una malattia infantile, ma senile! Ed è una malattia all’ultimo stadio.
franca rame

NB. GIU’ LE MANI DALLA 194!


LA MIA LETTERA DI DIMISSIONI

guarda qui la pagina in uscita su Repubblica!! 

 

 

In verità basterebbero poche parole, prendendole a prestito da Leonardo Sciascia: «Non ho, lo riconosco, il dono dell’opportunità e della prudenza, ma si è come si è».
Il grande scrittore siciliano è, in effetti, persona che sento molto vicina, (eravamo cari amici) sia per il suo impegno culturale e sociale di tutta la vita, sia perché a sua volta, nel 1983, a fine legislatura decise di lasciare la Camera dei Deputati per tornare al suo lavoro di scrittore.
 
                 Le mie motivazioni, forse, non sono dissimili dalle sue. Del resto, io mi sono sentita “prestata” temporaneamente alla politica istituzionale, mentre l’intera mia vita ho inteso spenderla nella battaglia culturale e in quella sociale, nella politica fatta dai movimenti, da cittadina e da donna impegnata. E questo era ed è il mandato di cui mi sono sentita investita dagli elettori: portare un contributo, una voce, un’esperienza, che provenendo dalla società venisse ascoltata e magari a tratti recepita dalle istituzioni parlamentari.
Dopo 19 mesi debbo constatare, con rispetto, ma anche con qualche amarezza, che quelle istituzioni mi sono sembrate impermeabili e refrattarie a ogni sguardo, proposta e sollecitazione esterna, cioè non proveniente da chi è espressione organica di un partito o di un gruppo di interesse organizzato.
 
                 Nel marzo del 2006, l’Italia dei Valori mi propose di candidarmi come senatrice alle elezioni. Ho riflettuto per un mese prima di sciogliere la mia riserva, mossa da opposti sentimenti, ma alla fine ho maturato la convinzione che per contribuire a ridurre i danni prodotti al Paese dal governo retto da Silvio Berlusconi e dall’accentramento di poteri da lui rappresentato, ogni democratico dovesse impegnarsi in prima persona nell’attività politica.
Ho infine accettato, ringraziando l’On. Di Pietro per l’opportunità che mi aveva offerto, pensando, senza presunzione, che forse avrei potuto ricondurre alle urne, qualcuna o qualcuno dei molti sfiduciati dalla politica.
Ecco così che il 12 aprile 2006 mi sono ritrovata a far parte, alla mia giovane età (!!), del Senato della Repubblica carica d’entusiasmo, decisa a impegnarmi in un programma di rinnovamento e progresso civile, seguendo le proposte portate avanti durante la campagna elettorale dell’Unione, soprattutto quella di riuscire a porre fine all'enorme e assurdo spreco di denaro pubblico.
Ho così impegnato la mia indennità parlamentare per lavorare in questa direzione, anche organizzando (giugno 2006) un convegno con un gruppo di professionisti tra i più valenti, al fine di tracciare le linee di un progetto in grado di tagliare miliardi di euro di spese dello Stato nel settore dei consumi energetici, delle disfunzioni della macchina giudiziaria e dell'organizzazione dei servizi.
A questo convegno ho invitato Senatori della commissione ambiente e altri che ritenevo sensibili ai temi in discussione.
Non ne è venuto uno.
Ho inoltre presentato un disegno di legge (4 luglio 2006) con cui chiedevo che i funzionari pubblici, condannati penalmente, venissero immediatamente licenziati, trovando su questo terreno l’adesione di parlamentari impegnati nella stessa direzione, quali i Senatori Formisano, Giambrone, Caforio, D’Ambrosio, Casson, Bulgarelli, Villecco Calipari, Russo Spena e molti altri, compresi numerosi deputati.
E' nato così il progetto delle “10 leggi per cambiare l'Italia”.
Ho anche acquistato spazi su alcuni quotidiani e sul web, per comunicare i punti essenziali di questo progetto. Ma anche questa iniziativa non ha suscitato interesse nei dirigenti dei partiti del centro sinistra.
Nei quasi due anni trascorsi in Senato, ho presentato diverse interrogazioni.
Tutte rimaste senza risposta.
Ho presentato numerosi emendamenti, ma non sono stati quasi mai accolti.
Questa, per la verità, è la sorte che capita a quasi tutti i Senatori.
In seguito a una inchiesta da me condotta sul precariato in Parlamento, sei mesi fa mi sono impegnata nella stesura di un disegno di legge (presentato 18 luglio) in difesa dei diritti dei collaboratori dei parlamentari: illegalità, evasione contributiva e sfruttamento proprio all’interno della istituzione parlamentare!
Mi sono contemporaneamente impegnata su questioni drammatiche e impellenti, quali la necessità che il ministero della Difesa riconoscesse lo status di “vittime di guerra” ai reduci dei conflitti nei Balcani, Iraq e Afghanistan, avvelenati dai residui dell'esplosione dei proiettili all’uranio impoverito.
Quanti sono i militari deceduti? Mistero.
Quanti gli ammalati ignorati senza assistenza medica né sostegno economico? Mistero. Le cifre che si conoscono sono molto contraddittorie .
Quello che si sa con certezza è che ci sono famiglie che per curare il figlio si sono dissanguate e alla morte del congiunto non avevano nemmeno i mezzi per pagare la tomba. 
 
Anche per questa tragica campagna d’informazione ho acquistato spazi su quotidiani e web. Grazie ad alcuni media e a “Striscia la notizia” di Antonio Ricci, il problema è stato portato per quattro volte al grande pubblico: giovani reduci dei Balcani gravemente colpiti, raccontavano la tragedia che stavano vivendo. Dopo tanto insistere, finalmente il Ministro Parisi, se ne sta occupando: speriamo con qualche risultato concreto.
 
                 Posso dire serenamente di essermi, dall’inizio del mio mandato ad oggi, impegnata con serietà e certamente senza risparmiarmi.
Ma non posso fare a meno di dichiarare che questi 19 mesi passati in Senato sono stati i più duri e faticosi della mia vita.
 
                 A volte mi capita di pensare che una vena di follia serpeggi in quest’ambiente ovattato e impregnato di potere, di scontri e trame di dominio.
L'agenda dei leader politici è dettata dalla sete spasmodica di visibilità, conquistata gareggiando in polemiche esasperate e strumentali, risse furibonde, sia in Parlamento che in televisione e su i media. E spesso lo spettacolo a cui si assiste non “onora” gli “Onorevoli”.
In Senato, che ho soprannominato “il frigorifero dei sentimenti” non ho trovato senso d’amicizia. Si parla... sì, è vero... ma in superficie. Se non sei all’interno di un partito è assai difficile guadagnarsi la “confidenza”. A volte ho la sensazione che nessuno sappia niente di nessuno... O meglio, diciamo che io so pochissimo di tutti.
In Aula, quotidianamente, in entrambi gli schieramenti (meno a sinistra per via dei numeri risicati), vedi seggi vuoti con il duplicato della tessera da Senatore inserita nell’apposita fessura, con l’intestatario non presente: così risulti sul posto, anche se non voti e non ti vengono trattenuti 258 euro e 35 centesimi per la tua assenza, dando inoltre la possibilità ai “pianisti” di votare anche per te, falsando i risultati.
Questo comportamento in un Paese civile, dove le leggi vengono applicate e rispettate, si chiama “truffa”.
La vita del Senatore non è per niente comoda e facile per chi voglia partecipare seriamente ed attivamente ai lavori d’Aula.
Oltre l’Aula ci sono le commissioni. Ne ho seguite quattro: Infanzia, Uranio impoverito, Lavori pubblici e comunicazione, Vigilanza Rai.
A volte te ne capitano tre contemporaneamente e devi essere presente ad ognuna o perché è necessario il numero legale o perché si deve votare.
E’ la pazzia organizzata!
Se queste riunioni si facessero via web si ridurrebbero i tempi e si potrebbe arrivare velocemente alle conclusioni, ma l'era del computer non ha ancora toccato i vertici dello Stato!
E tutto questo attivismo produce un effetto paradossale: la lentezza.
Si va lenti… “lenti” in tutti i sensi.
Nel nostro Parlamento l'idea del tempo è quella che probabilmente hanno gli immortali: si ragiona in termini di ere geologiche, non certo sulla base della durata della vita umana e degli impellenti bisogni della gente.
 
                 Oltretutto mi sento complice di una indegnità democratica. Stiamo aspettando da 19 mesi, che vengano mantenute le promesse fatte in campagna elettorale. Non è stata ancora varata, ad esempio, la legge sul conflitto d'interessi, e ritengo questo ritardo gravissimo. Non è stata liberata la Rai dai partiti, non è stato fissato un antitrust sulle televisioni, mentre in compenso tutte le leggi del governo Berlusconi, assai criticate anche all’estero, sono in vigore, il falso in bilancio continua a essere depenalizzato, la ex Cirielli continua a falcidiare migliaia di processi. Contemporaneamente il governo ha bloccato il processo sul sequestro di Abu Omar sollevando due conflitti d’attribuzione davanti alla Corte costituzionale. E ha creato i presupposti perché al Pubblico Ministero Luigi De Magistris vengano tolte le indagini su politici di destra e di sinistra e il Giudice Clementina Forleo venga fatta passare per esaltata e bizzarra.
Nonostante gli impegni programmatici sulla legge Bossi-Fini e sui Centri di permanenza temporanea, che sarebbe più appropriato definire centri di detenzione, dove sono negati i diritti più elementari, non ci sono novità.
Ora stiamo aspettando anche in Senato il disegno di legge che vieta ai giornali di pubblicare le intercettazioni e gli atti d‘indagini giudiziarie, già votato alla Camera da 447 deputati, con soli 7 astenuti e nessun contrario.
Come andrà in Senato?
In tante occasioni ho fatto prevalere, sui miei orientamenti personali la lealtà al governo e allo schieramento in cui sono stata eletta, ma questa volta non potrei che votare contro.
 
                 Il Paese si trova in gran difficoltà economica: disoccupazione, precarietà, caro vita, caro affitti, caro tutto... pane compreso.
Che diredella lontananza sconvolgente che c’è tra il governo e i reali problemi della popolazione?
E che dire dei 1030 morti sul lavoro nel solo 2007 (cifra peraltro destinata a crescere con la stabilizzazione dei dati Inail) Ben venga il disegno di legge del ministro Damiano e il nuovo Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro.
Non è mai troppo tardi.
Solo un po’...
Che dire dell’indulto di “tre anni” approvato con una maggioranza di 2/3 del Senato, con l’appoggio di UDC, Forza Italia e AN?
Era certamente indispensabile alleggerire il disumano e incivile affollamento delle carceri, ma con un criterio che rispondesse davvero al problema nella sua essenza, con un progetto di riforma strutturale del sistema penitenziario, con il coinvolgimento delle innumerevoli associazioni del volontariato privato-sociale, che storicamente operano sul territorio nazionale e locale.
A migliaia si sono trovati per strada e molti senza un soldo né una casa, né tanto meno un lavoro. Dodici donne italiane e straniere furono dimesse dal carcere di Vigevano a notte fonda in piena e desolata campagna! 
La notte stessa e nei mesi a seguire, circa il 20% degli scarcerati è ritornata in cella. Sono anni che le carceri scoppiano... nessuno ha mai mosso un dito. Di colpo arriva l’indulto!
E’ difficile non sospettare che il vero obiettivo di questa legge proposta dal governo, fosse soprattutto quello di salvare, in fretta e furia, dalla galera importanti e noti personaggi incriminati, industriali e grandi finanzieri, e soprattutto politici di destra e qualcuno anche di sinistra...
Che dire dei deputati e senatori condannati e inquisiti che ogni giorno legiferano e votano come niente fosse? 
Che dire di una finanziaria insoddisfacente alla quale siamo stati obbligati a dare la fiducia, altrimenti non avrebbe avuto i voti per passare?
Che diredel consenso dato dal governo Prodi nel 2006 e riconfermato, “di persona” dal Presidente Napolitano a Bush nel 2007, per la costruzione della più grande base americana d’Europa a Vicenza?
Gli impegni presi da Berlusconi sono stati mantenuti.
I vicentini hanno diritto di manifestare in centinaia di migliaia, con la solidarietà di molti italiani, ma non di ottenere attenzione e rispetto delle proprie ragioni.
Che dire del costante ricatto, realizzato da questo o quel onorevole, di far cadere il governo per cercare di ottenere privilegi o cariche?
Quante volte, per non farlo cadere, ‘sto benedetto governo, ho dovuto subire il ricatto e votare contro la mia coscienza?
Troppe. Tanto da chiedermi spesso: “Cosa sono diventata? La vota rosso-vota verde?”
 
La prima volta che ho sentito forte la necessità di allontanarmi da questa politica svuotata di socialità, è stato proprio con il rifinanziamento delle missioni italiane “di pace” all’estero. Ero decisa a votare contro, ma per senso di responsabilità, e non mi è stato facile, mi sono dovuta ancora una volta piegare.
E non mi è piaciuto proprio. Credo che il mio malessere verso queste scelte sia ampiamente condiviso dai molti cittadini che hanno voluto questo governo, e giorno dopo giorno hanno sentito la delusione crescere, a seguito di decisioni sempre più distanti da loro, decisioniche li hanno alla fine, allontanati dalla politica.
 
                 In queste condizioni non mi sento di continuare a restare in Senato dando, con la mia presenza un sostegno a un governo che non ha soddisfatto le speranze mie e soprattutto quelle di tutti coloro che mi hanno voluta in Parlamento e votata.
La prego quindi signor Presidente di mettere all’ordine del giorno dell’Assemblea le mie irrevocabili dimissioni.
 
                 Non intendo abbandonare la politica, voglio tornare a farla per dire ciò che penso, senza ingessature e vincoli, senza dovermi preoccupare di maggioranze, governo e alchimie di potere in cui non mi riconosco.                               
Non ho mai pensato al mio contributo come fondamentale, pure ritengo che stare in Parlamento debba corrispondere non solo a un onore e a un privilegio ma soprattutto a un dovere di servizio, in base al quale ha senso esserci, se si contribuisce davvero a legiferare, a incidere e trasformare in meglio la realtà. Ciò, nel mio caso, non è successo, e non per mia volontà, né credo per mia insufficienza.
 
                 E’ stato un grande onore, per il rispetto che porto alle Istituzioni fondanti della nostra Repubblica, l’elezione a Senatrice, fatto per il quale ringrazio prima di tutto le donne e gli uomini che mi hanno votata, ma, proprio per non deludere le loro aspettative e tradire il mandato ricevuto, vorrei tornare a dire ciò che penso, essere irriverente col potere come lo sono sempre stata, senza dovermi mordere in continuazione la lingua, come mi è capitato troppo spesso in Senato.
 
                 Mi scuso per la lunga lettera, signor Presidente, ma sono stata “in silenzio” per ben 19 mesi! Roba da ammalarmi!
 
                 Prima di accomiatarmi non posso non ricordare quelle colleghe e colleghi di gran valore intellettuale e politico che ho avuto l’onore di conoscere. Tra questi una particolare gratitudine va ad Antonio Boccia, che fin dall’inizio mi ha tenuta sotto la sua ala protettrice con amichevole affetto, consigliandomi e rincuorandomi nei momenti difficili.
Un pensiero particolare al Ministro Di Pietro e i Senatori di Italia dei Valori e a chi ha dimostrato simpatia nei miei riguardi.
Rimane il rammarico di non aver potuto frequentare, se non rarissime volte, i colleghi oltre le mura del Senato. 
 
                 Infine un ringraziamento sentito alla Senatrice Binetti e al Senatore Tomassini che con grande umanità hanno superato le ideologie che ci dividono, per soccorrere uniti, un bimbo di 6 anni in grande difficoltà.
Augurandomi che Lei possa comprendere le mie motivazioni, desidero ringraziarLa per la gentilezza e disponibile accoglienza che mi ha accordato.
 
                 La saluto con stima sincera
  
                                                                                                                         Franca Rame
 

Gentile Presidente Marini,

con questa lettera Le presento le mie dimissioni irrevocabili dal Senato della Repubblica, che Lei autorevolmente rappresenta e presiede.

Una scelta sofferta, ma convinta, che mi ha provocato molta ansia e anche malessere fisico, rispetto la quale mi pare doveroso da parte mia riepilogare qui le ragioni.


IL BUON SENSO DEGLI ABITANTI DI PIANURA, di Dott.ssa Antonietta M. Gatti

E’ stato uno spettacolo non esaltante, direi vergognoso, vedere forze dell’ordine che caricano gli abitanti di Pianura per farli distogliere dal loro obiettivo.
Ma che cosa vogliono queste persone? Come per tante altre manifestazioni cui siamo abituati dagli anni Settanta, si stanno forse battendo per un ideale?
No, nessun ideale particolare, se per ideale s’intende qualcosa di romantico. Vogliono solo un’aria pulita da respirare, vogliono solo essere sicuri che il loro destino non sia già stato scritto ora,  che la loro morte per cancro non sia già stata programmata in qualche ufficio di qualche burocrate che, però, non ha la spazzatura davanti a casa. 
Si stanno battendo per un futuro non di malattia dei loro figli, per il diritto a procreare, se saranno ancora abili, non figli malformati.
Si stanno battendo per la loro salute. Non doveva essere un diritto garantito dalla Costituzione? Salvaguardarla non doveva essere un obbligo del primo cittadino di ogni comune? Invece sembra che siano proprio i primi cittadini ad averli condannati a un triste futuro.
Ci sono autorevoli studi che riportano le incidenze di patologie tumorali, di malformazioni fetali, e di alte incidenze abortive fra gli abitanti di zone limitrofe a discariche a cielo aperto. Si sa.
Ed è infatti su questa conoscenza che si decise di chiudere la discarica di Pianura. Ora la si vuole riaprire, ma solo per un tempo limitato. Ma che cosa significa tempo limitato ?
Chi glielo dice alle cellule dei nostri polmoni o ai nostri spermatozoi di essere pazienti, di tapparsi il naso, di non respirare l’aria mefitica con cui dovranno convivere, ma per “un tempo limitato”.
Le nostre cellule funzionano a ossigeno, e non ci sarà nessun prefetto, sindaco, presidente o capo dello stato in grado di imporre loro di cambiare fisiologia. Loro non sono “comprabili”. Loro non si fanno intimidire o imbavagliare. Loro non sono “influenzabili” in alcun modo.
Quando vapori e polveri raggiungono le parti interne del nostro corpo, lo “inquinano” giorno per giorno, fino al punto che le nostre cellule si ammalano, innescando reazioni che portano ad uno stato patologico e alla morte.
Anche i nostri spermatozoi, se non muoiono “asfissiati” nei testicoli, andranno a contaminare un utero e una vagina che non rimarranno indenni.
Il sangue della futura madre poi, anch’esso contaminato dall’aria che ogni giorno si respira, farà il resto su un povero embrione inconsapevole. Altro che pillola del giorno dopo!
A che punto è arrivata la nostra società italiana? Prima si combatteva per delle idee. Queste sono state imbavagliate o bendate o addormentate. Se non vediamo i problemi, non abbiamo l’esigenza di avere idee. Semplice.
E allora, qual è la soluzione per la Campania ricoperta di rifiuti? Bruciarli. Bruciarli ignorando la scienza più elementare che c’insegna che, se quei rifiuti li bruciamo, non distruggeremo un bel nulla ma li conserveremo, invisibili sì agli occhi, ma visibilissimo ai nostri organismi che se ne ammaleranno. Anzi, a peggiorare le cose ci sta il fatto che, bruciandoli, i rifiuti diventano incomparabilmente più tossici di quanto non fossero nella loro pur maleodorante origine.
I giornalisti stranieri, che però non sono bendati, vedono l’Italia per quello che è e non li si può far tacere. Lo so, questo dispiace al nostro Presidente che contrappone alle loro critiche la creatività italiana. Ma io non riesco a vedere creatività nel portare come garanzia in banca delle montagne di rifiuti, nel non provvedere in tempo alle esigenze della popolazione, nel farli morire di rifiuti. Ci stiamo rendendo conto che chiudiamo scuole perché sono un tutt’uno coi rifiuti? Anche noi, respirando i fumi tossici che provengono dai rifiuti incendiati,  ammalandoci, verremo trasformati in cadaveri, in fondo in rifiuti.
Perché siamo arrivati a questo punto? Privilegiando il profitto di alcuni, di pochi, ne stiamo ammazzando tanti. Stiamo assistendo ad una strage degli innocenti e la cosa buffa, ma il trovarla buffa dipende dal proprio senso dell’umorismo, è che molti di questi innocenti sono stati ammaestrati ad essere consenzienti.
Cara Italia, non ci lasci più neanche l’aria da respirare! E allora ha ragione il Times: siamo un popolo in declino, anche psicologico, anche fisico. Io, che abito nella Pianura Padana, so già, perché me lo ha detto l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che morirò 3 anni prima di un mio collega spagnolo o austriaco. Le polveri che produciamo bruciando ogni anno sempre di più, si accumulano perché sono eterne e, pianino pianino, mi stanno scavando la fossa.
Lo so che “polvere siamo e polvere ritorneremo” ma mi secca  farlo in anticipo e solo per riempire il portafoglio di qualche furbetto.
Ho trovato scandaloso l’appello dei politici di Napoli “al buon senso dei cittadini di Pianura”. Che cosa significa? Morite in silenzio, senza rompere le scatole?
Lancio un appello ai politici e ai burocrati di tutta l’Italia: per favore, legiferate in modo da liberare  l’aria da polveri e vapori tossici. Aria più o meno mefitica c’è in tutte le città dove “si brucia”, ma c’è un limite che il nostro corpo come quello degli animali può tollerare e uscirne, se non indenne, almeno in condizioni decenti. Oltre questo limite c’è la malattia.
Ma ricordate sempre, cari politici e cari burocrati, che anche voi e i vostri figli, in fin dei conti, respirate l’ aria inquinata che respiro io: quella che voi avete in tutta legalità generato.


L’ITALIA A CAPORETTO di Antonietta M. Gatti

Il New York Times ed il Times hanno sentito il bisogno di fare il punto della situazione su che cosa è l’Italia e dove sta andando, perché i segnali e le notizie che arrivano da casa nostra sono sempre più contrastanti, preoccupanti e, dal punto di vista giornalistico, sempre più difficili da comprendere. Come si può spiegare che in un paese moderno il cambio d’indirizzo politico possa dipendere dal fatto che una signorina abbia o non abia un ruolo in una fiction? Attenti, non stiamo dicendo che l’andamento di un paese sia influenzato da una donna (nel passato, da Elena di Troia in poi, alcune donne hanno avuto un ruolo determinante nella storia) ma che il governo con una maggioranza inconsistente possa cadere per il fatto che un senatore non sia stato accontentato nelle sue giuste brame private.
Gli Americani, che pure di scandali se ne intendono, certe sottigliezze levantine non le capiscono e fustigano il nostro paese come superficiale, ma lo etichettano anche come paese di serie C, e così pure gli Inglesi. Siamo in un declino spaventoso, i nostri capi non se ne rendono conto e tentano così di replicare sulla stampa italiana (non su quelle internazionale) piagnucolando che la visione degli americani è errata. I casi sono due: o sono talmente miopi che manco si rendono conto di aver bisogno di occhiali o sono ormai così abituati a questo “andazzo” da crederlo ineccepibile.
Siamo  arrivati al punto che la corruzione e il fare il proprio “particulare” è del tutto normale. Gli scandali legati a questa attività non si contano più e chi li denuncia, chi osa alzare la testa, viene punito.
Persone comuni di buon senso, ma anche magistrati, vengono emarginati facendoli passare per visionari, per bugiardi. I nostri “capitani” stanno dirigendo la nostra nave verso un abisso e non vogliono interferenze. Non si accorgono che nell’abisso ci andranno anche loro e i loro figli (eppure sono tutti, in genere, molto paterni). Ma un conto è andarci come noi poveri mortali con la pancia vuota, un conto è andarci ben pasciuti e con una poltrona attaccata al deretano.
Questa loro miopia, questa loro indiferenza verso la “res pubblica”, ci stanno impoverendo. “L’intellighenzia” se ne è già andata, ma c’è un costante flusso delle nuove generazioni verso paesi più democratici dove il lavoro di ognuno viene compreso, incentivato, lodato quando è il caso.
Da noi siamo arrivati ad un punto in cui l’intelletto che è rimasto viene sfruttato e lo è da un governo che si proclama di sinistra: una volta era il partito dei lavoratori; ora cosa è rimasto?: una “cosa” che non ha neanche un nome. Miopi e di poca cultura, si sono lasciati sfuggire tutta la linfa nuova.
Ma dove sono i fustigatori dei nostri costumi, i novelli Catone?  Sono pochi, tutti gli altri sono asserviti ad una logica di potere che è quella che dà il pane quotidiano. Anche solo briciole, a volte. Possiamo solo contare su qualche comico (ad esempio Beppe Grillo) e qualche giornalista (ad esempio Travaglio) che sferzano il sistema, il quale, però, erige il suo antico muro di gomma e se ne frega.
Ma stiamo assistendo ad una nuova svolta del potere il quale, se preso in castagna, si difende contrattaccando. Vedi l’esempio di magistrati che per avere solo intrapreso delle indagini che toccano il Palazzo vengono a loro volta inquisiti e condannati preventivamente. Perché?: perché non hanno presentato il Modello X in tempo o perché non hanno messo la firma nel Modulo Y nel giusto angolino di destra. Così, li si fa passare, loro, per delinquenti, per magistrati in odore di non buona condotta sul lavoro. Come fisico, ricordo che 30 anni fa si fece una cosa simile con il prof. Clementel, (presidente del CNEN). Dato che le sue idee non piacevano, il Palazzo verificò che la sua firma su registri di esame era stata apposta in una data in cui lo stesso era in missione. Un errore, una svista che è costato il carcere  e poi la carriera.
Scendendo a livelli più bassi, andando a sbirciare nel microcosmo delle politiche locali, ci si accorge che le cose vanno nello stesso modo. I potentati della zona, per piccoli che siano, hanno capito bene la lezione dei grandi e li emulano in tutto e per tutto pur di continuare a mantenere i loro privilegi ed i loro interessi. Se questi vanno a danno di qualcuno o anche di un’intera popolazione loro non se ne curano, purché questo non venga detto. Il crimine ha bisogno di silenzio, non di clamore. Si possono citare alcuni casi come quello di un paese vicino a Udine dove c’è una fonderia che avvelena l’aria e gli abitanti. Questi, allora, si fanno fare le analisi in proprio non fidandosi dei dati ufficiali d’inquinamento e scoprono che quelli che sentivano i loro polmoni lo rilevano anche gli strumenti. Allora il padrone dello stabilimento li cita per danni. Hanno creato allarme. La stessa cosa sta capitando con i portuali di Venezia. Gli addetti ai servizi di trasporto pattume, riuniti in un sindacato chiamato Fiadel,  si sono lamentati delle condizioni insalubri in cui sono costretti a lavorare e, dopo vari tentativi per farsi ascoltare, hanno deciso di tassarsi per far eseguire delle analisi indipendenti. Il risultato, un risultato che va d’accordo con le loro patologie, non è piaciuto all’Azienda che ha citato il capo del Sindacato e gli chiede di risarcirli con 800.000 Euro per procurato allarme. Spiegazione: le tue condizioni di lavoro le valuta il capo della tua organizzazione e lui decide se esistono le condizioni di sicurezza o meno. E’ ovvio che se capita ciò che è successo alla Thyssen-Krupp, se capita che ci sono i morti, solo allora si constata che le condizioni effettivamente non erano quelle ideali. Però loro non lo sapevano. E finisce sempre tutto a tarallucci e vino oltre, ma la cosa è accessoria, a qualche bara.
C’è però un comma nella legge 626 che dice che ognuno è responsabile della propria sicurezza; quindi è diritto di ognuno di verificare se le condizioni di lavoro comportano un rischio anche non manifesto. Anni fa la Signora Milly Moratti mi confidò che, a suo avviso, l’aria di Milano stava diventando ogni giorno di più irrespirabile, ma che le centraline dell’aria non segnalavano incrementi d’inquinanti. Una stazione di rilievo che lei stessa coprò, tuttavia,  gli aumenti li segnalava. Dopo scambi di opinione più o meno accesi con il Direttore dell’Arpa, si verificò che gli strumenti  di regime non erano certificati e calibrati in modo corretto e che, essendo vecchi, non vedevano parte dell’inquinamento. C’è un altro esempio eccellente che si può citare. Alcuni mesi fa, appena fuori Treviso, è bruciata la ditta De Longhi. Il rogo ha interessato una parte dove erano stoccati imballaggi, la maggior parte dei quali di plastica. Dal punto di vista teorico, una certa quantità di diossina (un composto quanto mai tossico per la salute umana  e animale alivello di miliardesimi di milligrammo) doveva per forza liberarsi, ma l’ARPA, già poche ore dopo il rogo, “tranquillizzò” tutti proclamando che non c’era alcun rischio. Non è dato sapere come abbiano potuto dire una cosa del genere, viste che questo tipo di analisi necessita di alcuni giorni..
Poco dopo, i Carabinieri dissero che sì, diossina ce ne doveva essere, ma il comandante è stato  immediatamente bacchettato e costretto ad una goffa e imbarazzata retromarcia.
A distanza di qualche mese, la signora Benetton, che ha casa da quelle parti e forse il fumo nero ed acre se l’è anche respirato, ha fatto fare in proprio le analisi ed  è risultato che la diossina c’era.  L’erba, cibo degli animali, e le verdure cibo degli uomini sono state inquinate, ma tutti, comprese le donne incinte e i bambini quella roba de la sono respirata e, peggio, mangiata. Ma, naturalmente, da quel falò non è spuntata solo diossina, eppure, è bastato seppellire tutto nel dimenticatoio per ripulire magicamente il territorio. Nessuno dei responsabili pagherà. Si pretende, invece, che paghi chi queste porcherie le denuncia.
I nostri politici bagnano di lacrime di stato le bare dei lavoratori morti sul posto di lavoro, parlano a pappagallo di prevenzione, di norme, strepitano e tuonano, ma chi cerca di segnalare situazioni di potenziale rischio viene di fatto emarginato, fatto passare per uno squilibrato e, come se non bastasse, citato in giudizio per “procurato allarme”. Ma, allora, diteci: come si fa la sicurezza sul lavoro?
Dire la verità in questo paese, dove la parola democrazia perde ogni giorno di più il suo significato, non si può più.
Ma ricordatevi, voi che avete l’occhio puntato solo sul portafoglio (vostro), che le vostre scelte politiche, miopi e sconsiderate come sono, stanno avvelenando tutto, fino all’aria e quell’aria la respirate anche e la respirano i vostri figli. Al contrario di voi, l’inquinamento è molto democratico e va imparzialmente anche dove sono i ricchi, i potenti, le persone importanti e le ammazza né più né meno come ammazza chiunque altro. Una livella, per dirla con Totò.
Ricrdate il film di Fellini in cui un’orchestra e un direttore non si capiscono e da questa non esce alcun suono armonico, comprensibile? Nessuno serve a nessuno. L’immagine finale è quella di un fuggi-fuggi generale quando un gran batacchio attaccato ad una gru si abbatte sui locali in muratura dove risiede l’orchestra distruggendo ogni cosa. E’ un’immagine che mi sovviene spesso, perché in questo clima da basso impero, ritengo che solo una grande paura possa far rinsavire le menti dei nostri governanti e riportare il paese ad una corretta conduzione.


Carceri fuori norma, addio effetto indulto - Corriere della Sera

Capienza già superata. In regola solo 4.763 celle su 28.828
A settembre del 2000 il governo di centrosinistra varò il nuovo regolamento di esecuzione dell'ordinamento penitenziario che prevedeva la ristrutturazione di buona parte dei 214 istituti di pena, con un occhio di riguardo agli standard igienico- sanitari e ai diritti dei detenuti: acqua calda nelle celle, toilette separate, celle per non fumatori, parlatori senza vetri divisori, cucine per un massimo di 200 coperti, etc. Tempi previsti per la realizzazione delle opere: 5 anni, come stabilito dalla norma transitoria. Investimento stimato dal Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria): 400 milioni di euro. Sette anni dopo la pubblicazione di quello che fu definito «un libro dei sogni», basta scorrere i dati del monitoraggio sollecitato al Dap dal sottosegretario Luigi Manconi (Giustizia) per capire cosa non è cambiato nelle carceri italiane. Nonostante l'indulto, si parte già da una situazione di sofferenza: oltre 49.442 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 43.213 posti. In questo quadro, solo il 16% delle celle sono a norma: 4.763 su 28.828, mentre circa 1.750 sono in via di ristrutturazione. Ma le medie nazionali non rappresentano i casi limite: se, infatti, a San Vittore (Milano) 242 celle su 590 hanno disponibilità di servizi igienici, a Secondigliano (Napoli) nessuna delle 802 celle ha l'acqua calda e solo 11 hanno la doccia.
I detenuti che non tollerano le sigarette, poi, devono soccombere in Campania (zero celle per non fumatori su 2.820) e Lazio (zero su 3.297). I tassi di crescita C'è da aggiungere che la ristrutturazione mancata — anche nei 5 anni in cui ha governato la Cdl è stato fatto molto poco per mancanza di fondi — ha, per così dire, perso il treno straordinario dell'indulto varato nel-l'estate del 2006 con il voto di due terzi del Parlamento. Al 31 luglio del 2006, con 60.710 detenuti presenti (quasi 18 mila in più rispetto alla capienza regolamentare) sarebbe stato impensabile avviare grandi lavori di ristrutturazione. Ma già il 31 agosto dello stesso anno, quando le presenze erano scese drasticamente a 38.847 unità, avrebbe avuto un senso avviare la manutenzione straordinaria. Da quel momento in poi le carceri italiane hanno iniziato a riempirsi nuovamente. Dal mese di ottobre 2007, i tassi di crescita della popolazione carceraria (emergenza romeni, decreto sicurezza, etc) hanno sfondato quota mille al mese per raggiungere la ragguardevole cifra di 1.308 detenuti in più registrati tra 5 novembre e il 3 dicembre. E questo vuol dire che alla fine della prossima primavera si tornerebbe a superare il tetto dei 60 mila in carcere raggiunto nella fase pre-indulto. Fine del «libro dei sogni» voluto dall'allora Guardasigilli Oliviero Diliberto? Il ministro Clemente Mastella, quando è stato tirato in ballo per gli istituti di pena non utilizzati e quelli mai costruiti, ha accusato il collega Antonio Di Pietro: «I fondi sono del ministro delle Infrastrutture, io posso indicare la collocazione dei nuovi istituti. Ma i fondi li deve destinare Di Pietro». E lo stesso Mastella ha illustrato quali e quante siano le difficoltà dell'edilizia carceraria quando, lo scorso 26 novembre, ha inaugurato l'istituto di Gela (48 celle, tutte con bagno): il carcere progettato nel '59, finanziato nel '78 con cantiere aperto nell'82, ultimato mezzo secolo dopo grazie all'impegno dei sindaci Franco Gallo e Rosario Crocetta. «Sono dieci le nuove carceri in costruzione e 28 quelle in cui ci sono lavori di ristrutturazione», riferisce il sottosegretario Luigi Manconi che cita le Finanziarie del 2001, del 2002 e del 2007 «con evidente buco nei 5 anni di governo del centrodestra». Il Dap — guidato dal direttore Ettore Ferrara e dal vicedirettore «interno» Emilio Di Somma, con la direzione detenuti affidata ancora per qualche mese a Sebastiano Ardita (magistrato) — ha fornito tempestivamente i dati sull'attuazione del nuovo regolamento del 2000 e questo, in via Arenula, viene letto come l'indice di una vera e propria rivoluzione culturale. Spiega, dunque, Manconi: «Per la prima volta il Dap fa un'autoanalisi e questo consente di immaginare una riforma dopo l'indulto perché, oggi, senza l'indulto noi saremmo a una cifra stimabile di circa 80 mila detenuti. Ovvero uno stato di totale illegalità, una situazione invivibile per quanti lavorano dentro le carceri, un inferno per i detenuti e, quindi, una situazione ad alto rischio, al limite di un possibile collasso o esplosione».
Il punto di vista del governo non collima con quello del maggiore sindacato degli agenti penitenziari (Sappe) che pure riconosce a Mastella un impegno straordinario per affidare al Corpo la creazione dei nuclei di verifica esecuzione penale esterna: ovvero le pattuglie (5-6 mila agenti in tutta Italia) che a regime controlleranno i detenuti che usufruiscono delle misure alternative. Tuttavia sul lavoro fin qui svolto nelle carceri, il segretario del Sappe Donato Capece è assai critico con il governo: «Quella dell'indulto è un'occasione perduta perché il governo si era impegnato a cambiare la faccia organizzativa del carcere. Ma qui non c'è un soldo neanche per imbiancare le celle o per pagare i "Mof" (i detenuti che attuano la manutenzione ordinaria fabbricati, ndr)». E ancora, per rimodernare gli alloggi e le mense degli agenti di Bollate (Milano), il provveditore per le carceri della Lombardia, Luigi Pagano, ha stipulato una convenzione con l'Alitalia per fare issare sul tetto del-l'istituto un grande cartellone pubblicitario visibile dalla Milano-Laghi. Ma tutto questo non basta. I diritti negati In questa situazione di precarietà, denuncia l'ong Antigone, non diminuiscono gli eventi critici. Nei primi 11 mesi del 2007 ci sono stati 52 suicidi tra i detenuti (43 quelli comunicati dagli istituti penitenziari al Dap) contro i 50 del 2006 e l'altro giorno si è suicidato nei pressi della stazione di Bologna il capo degli agenti del carcere di Modena. Nelle celle i tentativi di suicidio sono stati 116 e gli atti di autolesionismo 3.413. Se il Dap di Ferrara ha posto particolare attenzione ai «nuovi giunti» (la circolare sul trattamento dei nuovi ingressi è della scorsa estate), un carcere in cui il detenuto rimane mediamente pochi giorni ha bisogno di figure terze di controllo. Per Patrizio Gonnella («Antigone ») il Parlamento ora deve fare un altro sforzo per approvare due ddl: quello che istituisce il reato di tortura (testo già passato alla Camera e modificato in commissione al Senato) e quello del garante nazionale dei detenuti (approvato a Montecitorio).
Dino Martirano
18 dicembre 2007


Jacopo Fo si lega a cancelli dell'Enel di Perugia

PERUGIA (Reuters) - Jacopo Fo, figlio del premio Nobel Dario Fo, si è incatenato stamani davanti ai cancelli della sede centrale dell'Enel di Perugia insieme a una rappresentanza dei Verdi, per protestare contro i ritardi della società nell'allacciare alla rete di distribuzione chi ha installato impianti fotovoltaici.
"In Italia esiste una legge molto buona che permette alle famiglie e alle piccole imprese di installare impianti a pannelli solari con un finanziamento del 100%", ha spiegato Jacopo Fo -- figlio del Nobel Fo e della senatrice Franca Rame -- in compagnia di Oliviero Dottorini, consigliere regionale umbro dei Verdi e altri appartenenti partito.
Come viene spiegato sul sito Internet di Enel, "la parte di energia prodotta dall'impianto fotovoltaico che non viene consumata dalle utenze viene ceduta alla rete elettrica di distribuzione". Se però l'allacciamento ritarda -- denuncia Fo -- l'energia non consumata dalle utenze rimane inutilizzata.
"L'Enel ha tempi biblici per predisporre l'allaccio alla rete di distribuzione", spiega Fo. "In un momento di crisi energetica, io e centinaia di piccole imprese e famiglie stiamo sprecando energia che invece potrebbe essere messa a disposizione di tutti", ha detto, aggiungendo che questa è solo la prima tappa di un'iniziativa di protesta a carattere nazionale.
Secca la replica della società: "L'Enel non ha nessun interesse ad ostacolare il fotovoltaico e a collegarlo alla rete di distribuzione", ha spiegato il responsabile del dipartimento territoriale Toscana-Umbria Antonio Giacomarco.
"Nel 2007 soltanto in Umbria ne abbiamo predisposti circa 100 e anche nei tempi previsti. Non credo ci siano elementi di criticità".


Dario Fo per Daniele Luttazzi

In questi giorni nei vari articoli apparsi sui quotidiani a commentare la censura di cui è stato vittima Daniele Luttazzi, si sono susseguiti a iosa termini come “buongusto”, “stile”, “opportunità”, “decenza”, “trivialità”, ecc..
All’istante, di contrappunto mi sono venute in mente caterve di espressioni e situazioni scurrili a dir poco feroci, impiegate da maestri storici della satira, a cominciare da Mattazzone da Calignano, grande giullare lombardo del XIII secolo, che, in un suo fabulazzo sulla lamentazione dell’uomo per la pena che Dio ha imposto a lui e alla sua femmina, elenca le fatiche e le mortificazioni nonché i continui flagelli e morbi a cui le creature umane sono sottoposte fin dalla creazione. Il Padreterno si lascia convincere dalle invocazioni dell’uomo e, ipso facto, decide di creare a suo vantaggio il villano, che lo servirà “in ogni bisogna” al par d’uno schiavo. In quell’istante passa di lì un asino e il creatore con un gesto della sua mano santa lo ingravida. Al nono mese, preannunciato da “un trempestar tremmendo de fulmini e saiette, de la panza de l’anemal, traverso el so’ cul de lü, sbotta de fora ol vilan spussento, tüto empastao de merda sgarosa e: stralak! Sto cul sforna criante ol servante creat da Deo. Una piova sbatente se spraca contra el corpazon del vilan scagazzao spussente, perché se faga cosiensa de la vita de merda che ve se presenta. ‘Da po’ che l’è nato egnudo’ ordena el Segnor ‘deghe un para de brache de canovasso crudo, brache spacà in del messo e dislassà, che no’ debbia pert tropp tempo in del pissà!’.”
Subito appresso mi appare Bescapè, un contemporaneo di Mattazzone da Calignano, che ci accompagna, mezzo secolo prima di Dante, nell’Inferno, dove personaggi ben noti della società del tempo vengono immersi a testa in giù nello sterco fumante, costretti a compiere gargarismi, trillando in gola secchiate di escrementi prodotti da animali fra i più fetenti.
E poi ancora vedo scorrere i milanesi longobardi sconfitti da Carlo Magno, che un anonimo fabulatore descrive costretti dall’Imperatore a “nettar co’ la lengua l’arco treonfal, costruit da lori mismi a onor da lu venzedor franzoso. Sü l’arcon tüti i soldat de Carlo gh’hann pissat sovra per una jornada entera e anco smerdao con cüra. Das po’ a ognün de’ Longobar fue ordenat de catar rospi, ratti e pantegan de fogna, e cusinarseli per far gran banchetto. I poverazz, boni cosiner con erbe parfumate, hann insaporit i boccon del pasto, engorgià tuto con gran fatiga e despo’ all’entrassat, tuto ch’avien magnat, gh’hann vomegado fora. L’emperador, desgostà, l’ha criat: ‘Ma cos’è ‘sta porcaria? No’ voi védar per le mee terre ‘sto vomegame! Lecadevelo subetamente e che tuto sia ben polido!’. Oh ch’el regal potestà!”.
Di certo si tratta di brani poco noti, che però Dante Alighieri ben conosceva per averli addirittura raccolti nel suo De Vulgari Eloquentia. Attraverso queste testimonianze, è risaputo, il sommo poeta, insieme ad altri autori che l’hanno preceduto, costruì il nuovo linguaggio, o Dolce Stil Novo, che ognuno di noi impara a considerare la base assoluta della nostra cultura.
Lo stesso Dante usa immagini similari per colorare di veemente indignazione la presenza di certi notissimi personaggi in cui incappa nell’infernale viaggio osceno. “A chi servirà quel buco vomitante fuoco?” chiede il tosco poeta a Virgilio. E quegli risponde: “Là dentro verrà fra poco infilato testa in giù, un Pontefice che ben merita di starsene a cottura lenta e le natiche al vento a sbattacchiar gambe al par d’un forsennato!”. Quel Pontefice è nientemeno che Bonifacio VIII, quello che incarcerò, costringendolo a vivere incatenato tra le proprie feci, Jacopone da Todi che si era permesso di insultare il Santo Padre in questione urlandogli: “Ahi! Bonefax! Hai iogato ben lo munno! Ahi! Bonefax! Che come putta hai traito la Ecclesia!” cioè, come una puttana hai ridotto la Chiesa!
Oggi, si sa, nessun cardinale si permetterebbe di porre mano pesante su questi scritti... è questione di opportunità e stile... oggi!
Ma di certo vi farà sussultare di stupore scoprire che anche il santo giullare Francesco di Assisi spesso si lasciasse andare a espressioni di un linguaggio azzardato, per non dire sconveniente. Infatti in una delle storie testimoniate da suoi seguaci, si racconta che un giovane discepolo un giorno si recò da lui disperato, sconvolto, giacché continuava ad apparirgli un orrendo demonio che lo tormentava con lusinghe e minacce, perché si lasciasse indurre nel peccato. Francesco, dopo averlo ascoltato, da autentico giullare quale era, disse al suo tormentato fratello: “Sai che debbi fare? Quando verrà l’enfame demonio, tu digli spietato: ‘Veneme appresso che eo te abbranco per l’orecchi, ti vo’ a spalancà la bocca e in quella ci caco dentro tutto lo smerdazzo che me riesce d’emprignatte!’. Così il giovine seguace repetette a lu demonio quella menaccia che Francesco li avea soggerita: ‘Te vo’ cacando in la bocca finché t’annego de merdazzo!’ Quello diavolo, preso de lo terrore, fuggì, annanno a sbatte contro rupi de le montagne che se sgretolaveno, come sotto tremmamoto, e tutto lo covertirno, seppellennolo per l’intero.”.
È inutile sottolineare che di questa leggenda non si trova traccia nella versione ufficiale della vita di Francesco, quella riscritta quarant’anni dopo da fra Bonaventura da Bagnoreggio, eletto a generale dell’ordine dalla Chiesa di Roma, che censurò l’originale, anzi lo distrusse addirittura mandandolo alle fiamme.
Ma quello di mascherare le notizie e le testimonianze che danno impaccio alle elegie è cosa di tutti i giorni da sempre. Al contrario spesso si scelgono bell’apposta, come nel caso di Luttazzi, le espressioni e i lazzi satirici palesemente scurrili e si mettono in bella mostra allo scopo di abbassare il livello di dignità dell’autore.
Conosciamo bene questa pratica davvero ipocrita e furbesca: ti si accusa di usare forme oscene di linguaggio per censurarti o addirittura eliminarti dalla scena.
A me e a Franca è accaduto con Canzonissima quando ci permettemmo di parlare di morti bianche sul lavoro e della mafia criminale. Nessuno, fino ad allora, sto parlando di quarant’anni fa, aveva mai trattato l’argomento. Anche in quell’occasione, fra le tante accuse, quali quella di buttarla in politica, ci si scaraventò addosso anche l’accusa di scurrilità e di non rispettare il comune sentire degli spettatori.
Luttazzi non a caso stava preparando una puntata sull’enciclica del Pontefice.
Come eliminarlo senza mettere in primo piano l’autentico soggetto?
Si fa la carambola: si spara su un bersaglio laterale per poterti di rimando colpire in piena fronte o, se volete, in piene chiappe.
A parte che un bersaglio come Ferrara, è così generoso, da non potersi sbagliare!
Esulta, mio caro Daniele! Così ti hanno eletto a classico della satira, e anche della letteratura! Complimenti!
 
Dario Fo


Kosovo: le questioni irrisolte

Aria di guerra in Kosovo? Ma non era finita? In questi giorni si aprono squarci nella mente per recuperare ricordi assopiti: ritornano vividi il rosso delle bandiere dei guerriglieri UCK, il tricolore nazionalista serbo, e poi i must televisivi: fucili, sangue, madri piangenti, lunghe colonne di profughi.
Improvvisamente la parola Kosovo ritorna sui tg: che succede stavolta? Il Sottosegretario alla Difesa Forcieri ha comunicato che 900 alpini sono pronti ad intervenire in caso di necessità, con brevissimo preavviso.
Succede che nonostante la pubblica opinione masticasse altre guerre catodiche, altre tragedie sapientemente somministrate, dall’altra parte dell’Adriatico non avevano cambiato canale, erano ancora sintonizzati sulla loro guerra.
 
L’Unione Europea, con grande dispiegamento di fondi, forze e cervelli, ha partecipato alla ricostruzione civile ed economica della regione, le Nazioni Unite hanno offerto assistenza sul fronte civile ed umanitario, centinaia di ONG hanno provveduto al conforto per i più deboli. Il caso Kosovo è paradigmatico: al termine del conflitto armato le forze di pace hanno lavorato alla riconciliazione, cercando di trapiantare un sistema civile ed economico armonizzato a quello comunitario. Ma è evidente che qualche inghippo c’è stato, la costruzione non è solida come ci si attendeva. Ci sono una serie di evidenti miglioramenti, tuttavia il Kosovo rimane un buco nero nella mappa europea, incapace di rinascere dalle sue ceneri, ed imbelle verso il transito di oppio, armi, traffico di organi e corruzione.
 
Questo clima di incertezza non ha favorito il dialogo tra albanesi e serbi: i primi storicamente oppressi dai secondi, alla morte dei leader storico pacifista Ibrahim Rugova, hanno trovato rifugio in istanza oltranziste, accanendosi contro i persecutori. Le enclavi serbe non hanno mai smesso di essere presidiate dal contingente internazionale, ed il patrimonio culturale ed artistico serbo-ortodosso è stato barbaramente distrutto, in nome del dio di tutti gli estremismi.
 
In prossimità della scadenza della mediazione, arrivano notizie preoccupanti: autoproclamazione di indipendenza da parte dei kosovari da una parte, rivendicazione di sovranità sulla regione alla corte internazionale di giustizia dall’altra. Su questo scenario, vigilano i loro interessi USA e Russia. Gli USA spingono per l’indipendenza della regione per ragioni economiche e strategiche, la Russia frena, temendo che quella kosovara sia la prima di una lunga serie di guerre secessioniste: Ossezia, Abkhazia, Bosnia-Erzegovina ecc. La questione non è di lana caprina: la civile Unione Europea non può più stare a guardare cosa accade fuori dalla sua finestra, è chiamata ad intervenire, tanto più a seguito dell’offerta di annessione all’Unione Europea.
 
C’è poi un’ ulteriore elemento di destabilizzazione: la Serbia non ha ancora consegnato i due principali criminali di guerra Ratko Mladic e Radovan Karadžic ancora piede libero, a fomentare l’odio nazionalista.
 
Nel 1996 Mladić, insieme ad altri leader serbo-bosniaci, fu accusato di crimini di guerra e genocidio dal Tribunale Penale internazionale per i crimini commessi nella ex-Jugoslavia, in connessione con l’assedio di Sarajevo in cui morirono 10.000 persone e con il massacro di 8.100 musulmani bosniaci, a Srebrenica, la peggiore atrocità mai commessa in Europa dopo la seconda guerra mondiale. C'è un mandato d'arresto pendente su Mladić a seguito della risoluzione 61 del Tribunale Internazionale, il quale ha concluso che ci sono ragionevoli sospetti per credere che Mladić ha effettivamente commesso i crimini in questione, compreso il genocidio. Il governo statunitense ha anche offerto una taglia di 5 milioni di dollari per la cattura di Mladić e Karadzic , un politico, un poeta e uno psichiatra serbo-bosniaco, ora incriminato anch’egli per crimini di guerra e genocidio; anche a  suo carico è stato emesso un mandato di cattura internazionale eccezionale.
Carla Del Ponte, procuratore capo oggi dimissionaria del Tribunale Penale Internazionale ha chiesto fortemente che fosse posta come condizione per l’annessione al blocco europeo la consegna dei due criminali, che lei ha individuato, ma ad oggi nonostante le dichiarazioni ufficiali di intenti, nulla si è mosso.
 
Gli ingredienti per l’esplosione ci sono tutti: diritti umani violati, conflitti irrisolti, nazionalismi crescenti, corruzione della classe dirigente, povertà diffusa. Si cercano dunque responsabili artificieri in grado di disinnescare l’ordigno.
 
 


INTERVENTO DI FRANCA RAME IN AULA SULLE COMUNICAZIONI DEL MINISTRO DAMIANO - MORTI BIANCHE

Nel 1962, Dario ed io eravamo i conduttori di “Canzonissima”su Rai Uno.
Nell’ottava puntata avevamo pronto un brano sulle cosiddette “morti bianche”, problema già grave in quegli anni.
I responsabili RAI hanno censurato il pezzo. Così abbiamo scoperto che in Italia la gente non deve sapere che si muore sul lavoro.
Ci siamo rifiutati di accettare il veto e abbiamo abbandonato la trasmissione, affrontando processi uno dietro l’altro.
E per ben sedici anni siamo stati letteralmente cancellati da tutti i palinsesti televisivi.
Oggi, dopo 45 anni, i media informano sulle quasi quotidiane vittime del lavoro:dal 2001 al 2007 si denuciano 8.376 morti… senza contare le innumerevoli malattie professionali, che hanno colpito lavoratori, donne e uomini, la cui sopravvivenza è inesorabilmente segnata.
 
Il nostro Presidente del Consiglio, ha commentato tempo fa: “Quei morti sono martiri del lavoro”. No Presidente, quei morti, non sono martiri del lavoro, ma vittime uccise da atti criminali: lavoro nero, e risparmio sulle impalcature di protezione.
Che vale la vita di un immigrato clandestino? Che vale la vita di un lavoratore bianco in regola? NULLA!
Anche lui può finire carbonizzato.
Quello che vale è solo il profitto sulla pelle di chi è costretto a rischiare la vita ogni giorno per poter campare.
Nel nostro Paese, milioni di persone tutte le mattine vanno al lavoro con il rischio di non tornare… Come si recassero in un campo di battaglia .
Nella guerra nel Golfo hanno perso la vita 3520 militari i morti sul lavoro in Italia dal 2003 all'ottobre 2006 sono ben 5252, (rapporto Eurispes).
Gli infortuni sul lavoro costano alla comunità circa 50 miliardi di euro l'anno: se questa enorme somma di denaro fosse destinata alla sicurezza del lavoratore, non saremmo qui ancora oggi a fare i notai di questa triste conta dei caduti.
Occorre urgentemente una struttura di controllo rapida e incorruttibile che applichi una legge che colpisca severamente gli imprenditori disonesti, anche con carcerazione oltre a pesanti multe.

Certi italiani, si mettono in riga, solo se li tocchi sui soldi. Rispetto del loro prossimo e onestà sono temi che non li riguardano. Il loro cuore batte solo nel portafoglio. VERGOGNA!


LE BARRIERE INVISIBILI – di Mimmo Grasso

Nel luglio di quest’anno ho assistito a uno spettacolo sul lago di Monteverde, in Alta Irpinia, la cui protagonista era Simona Atzori. Stavo seduto in alto ed ero giunto ovviamente in ritardo. Una ragazza eseguiva sul palco (sistemato sull’acqua)  passi di danza particolarmente complicati, inseriti in un contesto scenografico suggestivo. A fine spettacolo con alcuni amici mi recai verso i camerini per fare i complimenti alla ballerina e chiederle alcune delucidazioni sulla scenografia che lei stessa aveva elaborato. Nel presentarmi porsi la mano che, però, mi rimase a mezz’aria perché Simona  non si decideva a stringerla. Ho pensato che fosse una presuntuosa e già stavo per incazzarmi  producendo un lacumoto. Avvertii un deciso dolore al braccio destro. Qualcuno mi stava pizzicando come per dirmi qualcosa o farmi notare una gaffe. Fu allora che, voltando la testa al pizzicottatore e continuando a guardare Simona, mi accorsi che lei  non aveva le braccia. Come mai non me ne ero accorto durante la sua esibizione? Simona, comunque,  mi sembrò allora ancora più dotata di arti, cioè artista. Ma, si sa, sono casi eccezionali dovuti a personalità eccezionali. E gli altri, i “disabili normali” (ma guarda che contraddizione in termini), quelli che non ce la fanno, che non hanno vocazioni o sostegni particolari e che devono comunque tirare a campare nella società dei normaloidi? Come fanno quelli che non ce la fanno? Ieri ho letto un comunicato della Presidenza della Repubblica sulla giornata del disabile e in particolare su come la nostra società può e deve offrire pari opportunità di lavoro ai propri cittadini. Nell’elenco dei presenti e invitati non c’era il nome che più di tutti mi sarei aspettato di leggere, vale a dire quello di Franca Rame. Ovviamente mi sono chiesto perché e altrettanto ovviamente non so darmi una risposta. C’erano un po’ tutti, di destra e sinistra,  anche il ministro Turco che, con Napolitano, firmò  la Turco-Napolitano (l’espressione non  riguarda l’omonimo film di Totò ma una legge utile per le questioni degli immigrati). A tale proposito, quando si parla di immigrati da mandare via perché bla-bla, a nessuno viene in mente che gli americani della Nato e delle basi militari sono pur sempre, in senso stretto,  immigrati. A Napoli, ad esempio, vengono per numero di presenze subito dopo gli ucraini, che sono i più numerosi. Mah. E “mah” anche alla domanda “perché non hanno invitato Franca Rame?”. Ma perché, poi,  avrebbero dovuto farlo?. Beh, diciamo che è presente sulla questione da quando è nata (e quindi ha sviluppato una competenza specifica), che è una senatrice (e dunque può dare un contributo operativo ai dispositivi di legge, proprio per la sua esperienza sul campo). Non è sufficiente? E allora aggiungiamo che ha adottato, erogando un solido contributo coi suoi soldi, venticinque disabili gravi in varie parti della penisola. Neanche è sufficiente? Ma insomma quali titoli servono perché  il curricolo non venga cestinato? Ah, dimenticavo: ha dato vita a una fondazione per i disabili acquistando pullmini, attrezzature, promuovendo attività di sensibilizzazione ecc. Da dove ha preso i soldi? Erano  della sua famiglia, quelli del Nobel dato al marito Dario, mica bruscolini. Neanche basta? Ha chiesto ai suoi lettori di darle indicazioni su come impiegare in attività di solidarietà 100.000 euro (la sua paga di senatore). Neanche basta? Volete i miracoli? Possiamo provarci, tanto basta osservare i politici attuali per capire come si fa a camminare sull’acqua. Franca ha fatto tutto questo  in epoche non sospette; attualmente  abbondano le velinette o le attrici fuori moda che, per tornare sotto i riflettori, non esitano a farsi fotografare con il “sì-buana” , il disabile, il paria, il fellah, il napolegno, il lazzariota, il zanni. Sciò,sciò. E’ gente che utilizza la povertà e il dolore degli altri per fare spettacolo. Cosa c’è di più scandaloso (Chi scandalizza…sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino…, Matteo, 18,2)? Ma il fatto misterioso è che gli ascoltatori e spettatori provano un oscuro piacere in queste esibizioni buoniste perché quei tizi che a volte ritornano  hanno surrogato un dovere, umano e cristiano (religioso, comunque) prima che civico. Non si può essere cristiani a cottimo. E’ vietato.  La delega che costoro assumono su di sé (per il tramite delle società di marketing e delle case di produzione) è virtuale . Dunque il nostro bisogno di dare e ricevere carità (com-passione) si trasforma in qualcosa di alineato, semprechè non si debba mettere mano alla tasca. Comunque, non ho ancora trovato una giustificazione plausibile al fatto di non aver visto Franca né tra i relatori né tra il pubblico. Non me ne dò pace. In una giornata così importante per i portatori di handicaps avremmo voluto ascoltarla volentieri. Forse avrà trovato barriere architettoniche all’ingresso? Ho capito: è una portatrice di handicappati.
 
                                                                           Mimmo Grasso


Somalia, fuga dall'inferno di Giampaolo Visetti, Repubblica

MOGADISCIO - Dopo 14 conferenze di pace, a quasi un anno dall'invasione etiope e dai bombardamenti Usa, giustificati con la necessità di fermare l'avanzata di Al Qaeda in Africa, la Somalia precipita sempre di più nel dramma. Una settimana fa, infatti, dall'Etiopia sono arrivati altri 20 mila uomini e 52 carri armati con un ordine semplice: fare una strage. Comincia da qui il viaggio nell'inferno della Somalia, paese senza pace, dove centinaia di conflitti sono stati coperti dal marchio globale di una guerra civile che dura da 17 anni. I militari del presidente provvisorio sono alla fame, i civili allo stremo (quattromila i morti nel 2007): donne, bambini e vecchi scappano a piedi. Un popolo in fuga dalla capitale e che si rifugia nelle tendopoli. Sperando nell'aiuto della Comunità internazionale. Adesso, con un lampo strano negli occhi, lo chiamano "la scimmia". Hawo Ali, da due settimane, vive sospeso tra gli spini del secondo ramo di una grande acacia. È il segreto degli sfollati nel campo di Elasha, a sud della capitale. L'eroe dell'ultima battaglia di Mogadiscio ha 11 anni. Per due ore ha trascinato per le vie del grande mercato di Bakara il cadavere di uno dei sette soldati etiopici ammazzati dai ribelli al governo di transizione. La notte prima era stato costretto ad assistere allo sterminio della sua famiglia. Assieme alle vedove del clan è stato scelto dalle milizie degli shabaab, i giovani delle corti islamiche in rotta, per offrire un macabro regalo agli invasori di Addis Abeba. Nel 1993 era successo con gli americani. Lo choc popolare aveva costretto Bill Clinton a ritirare le truppe. Oggi non è andata così. Gli etiopici hanno arrestato venti maschi somali, rastrellati a caso nel quartiere di Yagshid. Venti uomini vivi in cambio di un cadavere preso a calci dalla folla? Ai mercanti del porto è sembrato che il nemico cedesse. L'errore l'hanno capito l'altra notte. Nel quartier generale dell'esercito governativo è entrata la salma dell'occupante, avvolta in un lenzuolo bianco. Dal carcere sono usciti venti sacchetti di nylon blu, riempiti con i pezzi degli ostaggi, irriconoscibili, mescolati alla rinfusa. È scattata così l'ultima vendetta etiope contro il popolo somalo, scudo per la nuova resa dei conti tribale. Un ordine semplice: consumare una strage senza limiti, decimare la capitale, seminare il terrore e la disperazione in ogni zolla del Paese. Per questo Hawo Ali ora deve nascondersi da tutti. Il 4 novembre è stato il volto dell'insurrezione ispirata dai fondamentalisti, decisi a innescare una rivoluzione nazionalista. Ha fallito. Ora, per tutti, è solo il colpevole del più crudele massacro del Corno d'Africa dall'inizio della guerra civile in Somalia. È un bambino, ma ha capito. Rifiuta la razione di mais. La sua patria è un altoforno in fiamme, il destino ha spento la sua stella. Dieci chilometri a nord, poco sotto lo stadio di Mogadiscio, tocca a Fortun Abdullahi Ali Afrah assistere alla catastrofe. Un proiettile le è esploso negli occhi. Ha sedici anni, nessuno ha il coraggio di portarla in un ospedale. La madre al mattino la depone su una sedia, in mezzo alla strada. Se non può vedere, che almeno senta quello che succede a chi può camminare. La città è un misterioso, imprevedibile, deserto campo di battaglia. Tra le macerie, squarci e spazi aperti dai bombardamenti sono vuoti. Negozi, mercati, scuole, uffici, università e porto sono chiusi. Ciò che resta della popolazione passa il giorno barricato nelle buche scavate sotto il pavimento delle case. Sono quasi tutti maschi, rimasti a difendere le proprietà. Chi deve uscire in cerca di acqua e di cibo, corre ricurvo tra auto bruciate e muri crollati. Cadaveri e feriti vengono lasciati dove cadono. Un'aria spessa, bollente e polverosa, stende su tutto una nebbia affumicata. Negli ultimi giorni non si spara più solo di notte. Gli insorti combattono in campo aperto. Ore di battaglia intensa cedono a lunghe pause di silenzio. Il terrore dirada gli scontri. Soldati etiopici e squadre fedeli al governo rastrellano però senza sosta, edificio per edificio. Circondano un quartiere e chi è all'interno è perduto. Ufficialmente danno la caccia ai terroristi vicini alle Corti islamiche, in fuga da gennaio. I superstiti raccontano invece un'altra storia. I militari armati dal presidente provvisorio, Abdullahi Yusuf del clan darod, da mesi non vedono un soldo. Alla fame, come la gente, aggrediscono e rapinano chi non confessa di sostenere la jihad. Chi ammette è giustiziato sul posto, quindi mutilato. Chi resiste viene decapitato. Membra umane sono state appese in una macelleria, come lezione collettiva. Centinaia le donne stuprate davanti ai parenti. Il primo ministro, Ali Gedi del clan hawiya, è stato costretto a dimettersi e a rifugiarsi in Kenya. La capitale torna nelle mani dei "signori della guerra", dei darod che garantiscono a Yusuf il controllo di porto e aeroporto: mezzo milione di dollari al giorno, in contanti. Sindaco e capo della polizia impongono il loro dazio a chi scappa. Per i bambini sotto i 12 anni la tariffa è doppia. I ribelli, non solo fondamentalisti, si preparano ad una lunga resistenza. Nel quartiere "Mar Nero", attorno al grande mercato e a Wahara Adde, si scavano trincee e cunicoli sotto le macerie. Dopo 14 conferenze di pace, a quasi un anno dall'invasione etiope e dai bombardamenti Usa, giustificati con la necessità di fermare l'avanzata di Al Qaida in Africa, la Somalia precipita in un massacro dominato dall'anarchia. Centinaia di conflitti coperti dal marchio globale di una guerra civile che dura da 17 anni: vendette tra clan, tribù e famiglie; lotte di potere tra generali e criminali che hanno spodestato Siad Barre; contese tra le bande che alimentano il più fiorente mercato africano di armi, droga e scorie nucleari; guerra santa dei fondamentalisti islamici, finanziati dal mondo arabo attraverso l'Eritrea; invasione colonialista dell'Etiopia, appoggiata dagli Usa per assicurarsi il controllo di petrolio e uranio; infine Somaliland e Puntland che reclamano indipendenza, l'irredentismo che riesplode nell'Ogaden, la resistenza nazionalista che spinge il nord contro il centro e questo contro il sud. In mezzo al caos, i caschi verdi dell'Unione africana. Avrebbero dovuto essere 8 mila. Meno di duemila ugandesi invecchiano assediati nelle caserme. Sabato notte i ribelli islamisti hanno obbedito all'appello di uno dei loro capi, Abu Mansur. Il quartiere generale di Mogadiscio è stato bombardato. Una capitale devastata attende l'ultimo atto della propria tragedia: l'esplosione degli attentati contro i contingenti stranieri, qui come ad Addis Abeba, o nel resto del Corno d'Africa. Per questo una folla sterminata, che aveva fin qui sopportato povertà e dolore come nessun altro, ora scappa. Vede che la criminalità rapace, l'indifferenza e l'idiozia della comunità internazionale, hanno sostituito il fondamentalismo degli islamisti, rinvigorito dall'intervento degli Usa. Il popolo in fuga non tenta solo di sottrarsi alla morte: non accetta di essere testimone passivo dalla propria autodistruzione, come un cuore sul fondo dell'abisso. Un fiume di scheletri neri, apatici e muti, emerge da quartieri isolati dal mondo. Nella capitale il cibo sta finendo e manca l'acqua potabile. I mercati, con la scusa di tagliare il sostegno popolare alle milizie shabaab, sono stati devastati e chiusi dall'esercito. Donne, bambini e vecchi scappano a piedi. I carretti, trainati da asini, sono colmi di materassi, stracci, pentole. Il racket dei miserabili vende posti su stipati pullmini, schiacciati dalla folla che si arrampica sui tetti. La popolazione si perde tra cammelli, capre, mucche, galline e cani, pure in fuga dalle esplosioni. Lungo i bordi dell'unica pista allagata, che collega Mogadiscio con il Sud, si affittano alberi per ripararsi dalla pioggia torrenziale. Le donne si fermano nelle pozzanghere per riempire di un liquido fangoso taniche gialle barattate con ciotole di riso. Si cucina, ci si lava, con la melma. Per accendere il fuoco i pochi maschi abbattono piante di cinnamomi e cespugli. Nei canali si ammassano le carcasse degli animali morti. Per mangiare si spara a branchi di scimmie grigie che, al tramonto, raggiungono la strada adescate con banane verdi. Bande di ragazzi si appropriano delle buche più profonde, le spianano e vi si stendono davanti. Chiedono cibo ai veicoli che scelgono di passarci sopra. I malati, oltrepassata la piazza K7 (sigla che indica la distanza dal centro di Mogadiscio), si fermano appena possono. Verso Lafole, i pozzi di Elasha e fino ad Afgoy, una distesa compatta di ramaglie, coperte con vestiti consumati e letame, protegge i reduci dagli orrori. Cinquanta, forse centomila ripari pieni di fori. Non si muore solo per l'assenza di cibo, o avvelenati dall'acqua infetta. Fanno strage la malaria, il colera, la tubercolosi e la bilarziosi. Non esistono latrine. Centinaia i feriti da proiettili vaganti, schegge, mine. Makagedi Wasuge è stata centrata alla gola mentre fuggiva con il figlio in abbraccio. Era nato da sei giorni. Lo ha perduto e chiede agli amici di ucciderla. Poche, generiche, le medicine. Nei campi di rifugiati a Lafole, Alabaray e all'Università di Agricoltura, opera un solo medico. Abdulrahman Abdi Haline, ortopedico, distribuisce sedativi a quasi ottantamila persone. Ne ha poche scatole, manda i vecchi a raccogliere certe erbe tra le dune. Ribelli vicini alle Corti islamiche e giovani insorti vengono curati clandestinamente. La massa è corrosa dall'odio contro l'Etiopia e contro "un governo agli ordini di Bush" che non controlla più nemmeno Villa Somalia, la propria sede dopo l'originaria a Baidoa. Fadumo, un anno fa, avrebbe impiccato chi le aveva imposto il velo integrale e chiuso caffè, cinema, radio e discoteche. Da questa mattina è volontaria tra i giacigli degli insorti. Fascia le ferite di chi, nel nome di Allah, le ha sgozzato il padre e un fratello. Tra la capitale e Afgoy la tendopoli misura ormai cinquanta chilometri. Negli ultimi dieci giorni i fuggiti all'inferno di Mogadiscio sono stati oltre 250 mila. Mezzo milione da gennaio, un milione negli ultimi due anni. Un milione di esseri umani che hanno perso tutto, privi di un luogo dove vivere. Da fine ottobre i civili uccisi sono circa 500, duemila i feriti. Quattromila le vittime della guerra nel 2007, oltre 10 mila i feriti. Solo in novembre, ogni giorno, a Mogadiscio sono morti 25 abitanti. Quasi sempre madri con i figli. Si avvicinano ai mercati in cerca di cibo, vengono freddati dai cecchini. Ieri sera è capitato anche a Madina Elmi, famosa come "general". Ai tempi di Aidid era la donna dei "signori della guerra" che taglieggiavano gli innocenti. Pentita, ha dedicato la vita alla pace. È stata colpita alla schiena mentre distribuiva pomodori agli orfani, ammassati poco fuori città. "Se la comunità internazionale non si sbriga - dice Tahlil Mahamud - tra un mese non avremo più sabbia per seppellire i cadaveri". È il capo di 2200 rifugiati, nascosti tra i cespugli che la stagione delle piogge fa rifiorire di giallo in un deserto rosso. Nelle ultime due settimane le 422 famiglie del suo clan hanno ricevuto 5 chili di riso e 10 di mais. I convogli umanitari sono al centro di un fuoco incrociato. L'esercito governativo li blocca per impedire i rifornimenti di cibo agli insorti. I fuggitivi li assaltano per una manciata di farina. I ribelli li rapinano per barattare cibo con armi. Sospesa tra guerra santa, conflitto civile, battaglia tribale e insurrezione patriottica, la Somalia è sconvolta dal compimento della più temuta catastrofe umanitaria del mondo. Il futuro, la prevedibilità degli eventi, si estendono ad un paio di ore. "Non vogliamo il ritorno delle Corti islamiche - dice il vecchio Sheikh Osman Hamsow-Abd vicino alla moschea di Al Idayha, nella capitale - ma i responsabili di questa carneficina se ne devono andare". Nelle ultime ore gli sfollati sono sempre più deboli. Mogadiscio si svuota. Per accorciare la marcia i più vecchi passano dalla spiaggia affacciata sull'oceano indiano. Camminano fino a Merca, cento chilometri a sud. Questa notte tre anziani sono morti sulla riva. I corpi, secchi come conchiglie spezzate, giacciono accanto ad una scuola mobile, allestita sotto una tenda per i figli dei rifugiati. I bambini, accanto, continuano a giocare a pallone prendendo a calci una sfera di alghe. In una capanna, costruita con i carapaci delle testuggini giganti, è riunita la "polizia". Affitta scorte alle organizzazioni non governative che tentano di fronteggiare l'emergenza. Ora stanno concordando le tariffe, come fossero taxi. Ma la polizia, in Somalia, non esiste. Milizie claniche controllano porzioni di territorio. Se cambia la zona, cambia la scorta, composta da poveracci alla fame, in ciabatte, con il kalashnikov in mano. Tutto dipende da chi possiede più armi. Un terrorista delle Corti può finire a spalleggiare un "signore della guerra", passando dai ribelli all'esercito governativo, o viceversa. Si cambia casacca per una cesta di manghi, nessuno ci bada. Al riparo dei gusci di tartaruga i capi attendono l'annuncio del nome del nuovo primo ministro. Sarà un hawiya, Nur Hassan Hussein, della famiglia Abgal. Domani decideranno a chi passa la sicurezza e chi tocca fuggire. "Per parlare di riconciliazione - dice il sultano Moaim Adnan Osman - è necessario che un nuovo governo dialoghi con l'opposizione, coinvolgendo tutti i clan, aprendo ai moderati delle Corti islamiche ed emarginando i fondamentalisti. Gli invasori etiopici, i loro amici della Cia, se ne devono andare, consentendo l'invio delle forze di pace africane delle Nazioni Unite. Solo così, con il sostegno di Unione europea e Lega araba, potremo arrivare al disarmo, all'elezione di istituzioni autorevoli e alla ricostruzione del Paese". Sembra un sogno, tutti lo raccontano come automi, nessuno ci crede. Chiudere i mercati e il porto di Mogadiscio significa scegliere di annientare la propria gente. Sparare sulla folla in fuga vuol dire rendere insuperabile l'odio tra Somalia ed Etiopia, tra mondo islamico e Occidente. Hassan Mursal lo sa. Per questo ieri mattina è partito. Ha un bastone, un camicione bianco e rigido come fosse di calce. Ad Afgoy dice di cercare la famiglia di suo fratello, scomparsa da aprile. Perché è rimasto solo, perché va verso sud, dove pensa di arrivare digiuno e a piedi scalzi, cosa deve annunciare ai nipoti? Non risponde alle domande. Alza le spalle, come andasse di fretta ad un appuntamento. Tutti, qui, capiscono che saranno i loro corpi, la loro carne, a dare infine un senso fisico all'essenza del destino. Dietro ad Hassan inizia a muoversi un popolo. Non sa dove andare: ma forse, scappando in massa dall'orrore, protestando con il sacrificio estremo di se stesso, rifiutandosi di morire, sta trovando la sua strada.
 
www.repubblica.it – 23.11.07