Basta con gli sprechi

Campagna contro gli sprechi nell'amministrazione pubblica

ANNOZERO - Tengo famiglia di Marco Travaglio

 Gent.mo dr. Paul Wolfowitz,

 

ho visto la conferenza stampa in cui lei, sudato e tremante, chiedeva scusa per aver procurato la promozione e l’aumento alla sua amante, la bella tunisina Shaha Riza, manager della Banca Mondiale da lei presieduta. I soliti moralisti protestanti han tirato fuori il codice etico e il conflitto d’interessi. Che paroloni!

 Lei, dr. Wolfowitz, non ha sbagliato a promuovere la sua donna: lei ha sbagliato paese. Da noi per parenti, amici e amanti, si fa di tutto, di più. Alla luce del sole, con un certo vanto. Diceva Longanesi: “Nel tricolore andrebbe scritto: tengo famiglia”. Siamo un paese di mamme, babbi, figli e soprattutto nipoti. Ci scherzava su il card. Enea Silvio Piccolomini, appena divenne papa Pio II, nel ‘400: “Quand’ero solo Enea, nessun mi conoscea; ora che sono Pio, tutti mi chiaman zio”.

 Se lei visitasse la Rai, scoprirebbe decine di cognomi famosi, soprattutto politici: Andreatta, Berlinguer, Donat-Cattin, Leone, Letta, Mancini, Mancino, Rauti, Ruffini, Scelba, Squillante, Sottile. Non sono omonimi: sono proprio parenti. E alcuni sono pure bravi. La Rai ha assunto come dirigenti il capoautista e l’assistente di Berlusconi, e persino il figlio della segretaria di Gelli. Ma a Mediaset è lo stesso, per esempio al Tg5: Geronzi, Confalonieri, Agnes, Loiero, Buttiglione, Sterpa, Caputo, Reviglio.

 Poi si faccia un giro in Parlamento. Lì il seggio è ereditario. Craxi, quello che voi chiamereste latitante e noi chiamiamo esule, ha lasciato in eredità addirittura due seggi: la figlia Stefania deputata di destra, il figlio Bobo sottosegretario a sinistra. Forlani, più modestamente, ha piazzato un solo figlio, Alessandro (Udc). Anche perché non ne aveva altri. Cossiga ha portato il figlio Giuseppe (FI) e il nipote Piero Testoni (FI). Perchè i parlamentari non li eleggiamo più: li nominano i partiti, con le liste bloccate. E’ molto più pratico. Al Senato è arrivato il fratello di Pecoraro Scanio, Marco, che s’era fatto valere come terzino dell'Avellino. Poi c’è l’esercito delle mogli, versione all’italiana delle quote rosa. Alla Camera ora siede la prima moglie di Paolo Berlusconi, Mariella Bocciardo (FI). Al Senato c’è la signora Bassolino, Annamaria Carloni. Madama Fassino, Anna Serafini, è deputata per la quinta volta. Il regolamento Ds vietava più di 2 mandati, ma ci hanno aggiunto una parolina: “consecutivi”. Lei aveva saltato un turno, ed è rientrata. Il prof. Pasquino li chiama "ricongiungimenti familiari in Parlamento".

 Ma il più devoto ai sacri valori della famiglia è Clemente Mastella. La sua signora, Sandra Lonardo, è presidente del consiglio regionale Campania. Il cognato Pasquale Giuditta invece è deputato. Lui naturalmente è il ministro della Giustizia. Ma non è vero che piazza solo i parenti. L’altro ieri ha promosso direttore generale del ministero Gianpiero Nuvoli, un ex forzista passato all’Udeur che aveva proposto di impiccare Borrelli sulla forca in piazza. E, visto che gli piace il patibolo, gli ha dato la delega ai diritti umani. 

 Purtroppo in Parlamento i posti sono limitati. Chi resta fuori si arrangia come può. Per esempio sfruttando al massimo i posti di portaborse. Leggere ‘La Casta’, il nuovo libro di Stella e Rizzo, per credere.

Bossi, nemico giurato del clientelismo di Roma ladrona, sistema il fratello Franco e il figlio Riccardo al Parlamento europeo, come assistenti degli on. Salvini e Speroni. Chissà la durezza delle selezioni. I curricula dei due comunque erano di tutto rispetto: Riccardo è studente fuori corso, Franco ha un negozio di autoricambi a Fagnano Olona. Altri due leghisti si sono scambiati le mogli a Montecitorio: l’on. Ballaman assume come assistente la moglie dell’on. Balocchi, che ricambia ingaggiando come portaborse la signora Ballaman.

 Marco Follini si è spostato da destra a sinistra ma sua moglie è rimasta direttore del Demanio, nominata dal governo di centro-destra e confermata dal centro-sinistra.

 Giorni fa Cristiano Di Pietro, consigliere provinciale di Campobasso, è stato ricevuto per una riunione sull’energia eolica dal ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro, che è pure suo padre. E’ uscito molto soddisfatto. Poi dicono che nelle famiglie non c’è dialogo.

Nel calcio, fino all’anno scorso, regnava una cupoletta chiamata Gea Word, inventata da Luciano Moggi riunendo tanti figli e figlie di papà: il suo e quelli del banchiere Geronzi, del citì Lippi, dell’on. De Mita, dei bancarottieri Tanzi e Cragnotti. Da quelle parti si faceva le ossa un giovane procuratore in erba, Pellegrino Mastella. Che non è omonimo del ministro: è proprio suo figlio.

 

 Montanelli, contro il nepotismo, proponeva una soluzione drastica: sterilizzare i vip. Naturalmente non gli diedero retta. Perciò, dr. Wolfowitz, se le andasse male alla Banca Mondiale, si trasferisca in Italia. Minimo, la inviterebbero al congresso Ds e a comprarsi la Telecom. Da noi la famiglia viene prima di tutto. Anzi, se si spiccia con l’aereo, arriva giusto in tempo per il Family Day.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Comunità montane, sprechi d'alta quota

da un articolo di Giuseppe Salvaggiulo

 

 L'On. Sergio D’Elia, deputato della “Rosa nel pugno”, per tagliare il costo della politica, ha presentato un disegno di legge che  prevede l’abolizione delle 356 comunità montane, sparse nella Penisola, che, con i loro quasi 13 mila consiglieri, ci costano ogni anno in stipendi e gettoni di presenza quasi unmiliardo di euro(circa 2.000 miliardi delle vecchie lire).

 Questi  enti pubblici rappresentano un capitolo non trascurabile dei (..) costi della politica. Sparse per l’Italia ce ne sono 356. Non poche, considerando che solo il 35% del territorio nazionale è montagnoso. Tanto che è possibile trovarne addirittura in Puglia.

D’altro canto imporre un freno è difficile, poiché l’istituzione è decisa dagli enti locali in piena autonomia. In Umbria, per dire, ci sono 9 Comunità montane che si sommano a Regione, 2 Province, 92 Comuni, 3 Ambiti territoriali e 4 Parchi. Tutto per soli 800mila residenti. In Piemonte ce ne sono 48, in Calabria 26 (solo 4 meno della Lombardia), in Basilicata 14 (una ogni 40mila abitanti), in Molise 10 (una ogni 33mila abitanti).
(..)Lo Stato, spende 800 milioni di euro all’anno per tenerle in vita. Ogni Comunità montana ha uno statuto, una struttura burocratica, un presidente e un’assemblea di consiglieri nominati dai Comuni. Risultato: gli stipendi dei 356 presidenti costano alla finanza pubblica 13,6 milioni di euro all’anno, mentre i 12.800 consiglieri si accontentano di gettoni di presenza variabili tra 17 e 36 euro per ogni riunione.

 Nate nel 1971 come enti autonomi, oggi le Comunità montane altro non sono che unioni di Comuni. Il loro compito è «eliminare gli squilibri di natura sociale ed economica tra le zone montane e il resto del territorio nazionale, difendere il suolo e proteggere la natura». Hanno un ambito operativo prossimo all’infinito: dalle infrastrutture alla formazione professionale, dalla bonifica del suolo alla promozione economica. A tal fine, adottano «piani pluriennali per lo sviluppo economico-sociale» e ne curano l’attuazione.

 Vasto programma, lodevoli intenzioni. Ma analizzando i bilanci, i due deputati radicali rilevano che «circa la metà dei fondi viene destinata alle spese di struttura e solo una minima parte ridistribuita ai cittadini sotto forma di opere e servizi pubblici».

 A sostenere le tesi di chi ne invoca la soppressione è arrivata la Corte costituzionale, che ha definito le Comunità montane «enti costituzionalmente non necessari». Dunque, nulla vieta di eliminarle. Ma l’ultima riforma degli enti locali, nel 2000, non le ha toccate. Anzi, ne ha rafforzato l’autonomia e i poteri, rendendole «sovrane nella determinazione della loro organizzazione».

 Stefano Iannucci, in una ricerca per l’Università La Sapienza di Roma, ha esaminato il caso della XXI Comunità montana dei Monti Lepidi e Ausoni e Vallina della provincia di Frosinone, che comprende nove città e 30mila abitanti. Nel 2005 aveva a disposizione 1,1 milioni di euro. La spesa è stata così ripartita: 50% per l’acquisto di una nuova sede, 20% per il funzionamento degli uffici, 12% per il personale, 11% per gli stipendi degli amministratori. Solo il 7%, dunque, per gli interventi sul territorio. Non un euro è stato destinato alla promozione turistica, culturale e sportiva, a biblioteche e musei, alla protezione civile, alla difesa del suolo, all’assetto idrogeologico e forestale, ai trasporti, ai servizi sociali, all’agricoltura, all’industria, al commercio e all’artigianato.

 «La molteplicità di enti locali è un’idea sbagliata di decentramento. Le Comunità montane sono un esempio di come le amministrazioni locali possano rappresentare fonti di spreco e simbolo di una gestione del potere fine a se stessa», scrivono D’Elia e Turco nella relazione che accompagna il progetto di legge.

 Le Comunità montane non ci stanno. Rivendicano «performance finanziarie di tutto rispetto», migliori di Comuni e Province. Sostengono che la spesa corrente (stipendi, indennità, costi degli uffici...) è ferma al 42,2% contro il 57,8% degli altri enti locali. E avvertono: «Senza la nostra azione il territorio rimarrebbe sguarnito di interventi specifici per l’ambiente, l’agricoltura, la forestazione, il turismo e l’agriturismo, la difesa idrogeologica, la lotta contro gli incendi boschivi, la protezione civile, la difesa dei valori antropologici e delle tradizioni locali». Insomma si sentono indispensabili.

 Eppure qualche tempo fa, rompendo il fronte unico dell’Unione delle Comunità montane, il consigliere nazionale Mario Caligiuri ha ammesso: «Tranne alcune lodevoli eccezioni, le Comunità montane non servono a niente e utilizzano male le risorse. Meglio sopprimerle e ripartire i fondi tra i Comuni di montagna», in grado di offrire gli stessi servizi «meglio, prima e spesso a costi più bassi».

 Esattamente quanto propongono D’Elia e Turco. Una piccola rivoluzione in soli quattro articoli di legge e mezza paginetta. Cose da pazzi.

 da Il Giornale del 26 aprile 2007


Calabria, ambiente e il gioco di 864 milioni

Corriere della Sera, Gian Antonio Stella, 09 febbraio 2007








Credevano di giocare coi soldi finti del Monopoli, al Commissariato per l'Emergenza Ambientale in Calabria. Scrivevano su un foglietto: entrate. Su un altro: uscite. Fine. Senza "un bilancio vero e proprio". Senza una "documentazione giustificativa". Senza un controllo della Ragioneria. Hanno speso così, in otto anni, 864 milioni di euro

Lo dice la relazione finale, esplosiva, dell'ultimo commissario. Che se ne va con una chiusa amarissima: "E molto altro ancora potrebbe essere illustrato, se valesse la pena di raccontare, avendo tempo e modo. E soprattutto scopo". Questo è il punto: c'è ancora un senso, nel radiografare una situazione amministrativa di confine tra la sciatteria e la criminalità? La denuncia, 50 pagine da far ribollire il sangue, è stata mandata al premier Romano Prodi, al ministro dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, al governatore Agazio Loiero e al capo della protezione civile Guido Bertolaso. Ed è firmata da Antonio Ruggiero, un prefetto che da anni viene sbattuto qua e là per l'Italia a farsi carico delle situazioni più rognose. Come quella di Isola Capo Rizzuto, dove il comune era andato in bancarotta, un terzo dei dipendenti municipali aveva precedenti penali o era stato indagato, il 93% non pagava la tassa sui rifiuti, il 97% non pagava l'acqua, il 30% non pagava l'Ici ed erano abusive perfino alcune tombe di famiglia costruite a ridosso del cimitero. Insomma: stiamo parlando di un funzionario che dalle bombe ai tralicci in Alto Adige ai primi sbarchi di albanesi a Brindisi ne aveva viste tante. Come al Commissario per l'emergenza ambientale in Calabria, però, mai. O almeno così pare di capire dal rapporto con cui, dopo due mesi e mezzo, ricostruisce la sua esperienza alla guida dell'organismo voluto nel '97, dopo l'ennesima emergenza, per mettere ordine nel caos totale che in cui agonizzava il mondo dei depuratori, dei rifiuti, delle discariche. Sette capi ha avuto, in una manciata di anni, quel Commissariato. Quattro presidenti regionali e tre prefetti. Con proroghe su proroghe di poteri speciali usati, stando anche all'inchiesta giudiziaria intitolata a "Poseidone", malissimo. Al punto che un anno e mezzo fa, tra i numerosi indagati per una serie di reati che vanno dalla truffa aggravata all'abuso d'ufficio, finì anche l'ex governatore Giuseppe Chiaravalloti. "Avete rilevato interessi di politici nazionali nella vicenda?", chiesero i membri della Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti ai giudici titolari delle indagini, Salvatore Murone, Isabella De Angelis e Luigi de Magistris. La risposta dei giudici fu eloquente: "Prima di rispondere vorremmo disattivaste il circuito audio-visivo interno".

Come finirà l'iter processuale si vedrà. Ma il rapporto di Ruggiero, al di là degli aspetti penali, dice già tutto. Dal 1998 al 2006 il Commissariato figura aver avuto entrate complessive per 692 milioni e mezzo di euro e uscite per quasi 645 milioni, tanto che al passaggio di consegne fu detto al nuovo commissario, con una "certificazione da parte della Tesoreria provinciale dello Stato" ( sic) che c'era perfino un saldo di cassa di 45 milioni di euro. Una bufala: neanche il tempo di metter mano ai conti e saltava fuori "una pesante situazione debitoria": oltre 223 milioni. Che non figuravano "né nei vari passaggi di consegne né nelle precedenti rendicontazioni". Possibile che non se ne fossero accorti? Ma certo che se n'erano accorti. Solo che tutto era stato occultato in una inestricabile selva contabile. "Lo scrivente ha rilevato la mancanza di un bilancio vero e proprio e la distinzione delle somme in soli tre capitoli di contabilità speciale che rende oltremodo difficoltosa la verifica dell'andamento delle spese relative ad ogni singolo intervento, perché di fatto la gestione delle suddette contabilità è tipo conto corrente finalizzato", accusa il prefetto, ricordando di aver denunciato tutto alla Corte dei Conti. Per capirci, c'erano solo dei "foglietti": di qua le entrate, di là le uscite. Fine. Si trattava di "emergenze", perché tener nota di tutto? Le "emergenze" sono "emergenze", no? Lo dice la parola stessa... Ed ecco centinaia di migliaia di euro (quanti? "Non siamo ancora riusciti a fare le somme") dati ad avvocati amici infischiandosene della regola che ogni vertenza doveva essere passata all'Avvocatura dello Stato. Ecco i buchi nel bilancio lasciato dai comuni calabresi in larghissima maggioranza riottosi a pagare al Commissariato quanto dovevano per la gestione dei deputatori dato che nessuno di fatto chiedeva loro i soldi, parzialmente recuperati solo adesso con la creazione di 127 commissari ad acta che sono riusciti a rastrellare in 127 comuni 21 milioni di euro mai versati.

Ecco la scoperta che "il programma di elaborazione dei dati contabili" è di fatto inutilizzabile e non ha neppure un contratto di assistenza: anzi, non si trova più manco il "carteggio relativo al contratto a suo tempo stipulato". Ecco infine i ritardi dovuti a una prassi burocratica che, nel casino totale di competenze e priorità, era "sostanzialmente finalizzata a ritardare tutto il ritardabile". Insomma, un disordine tale che nel settore dei rifiuti (che vede la Calabria buttare in discarica ancora il 50% della spazzatura!) "non si è ancora riusciti ad accertare una situazione complessiva e analitica dei debiti pregressi delle gestioni precedenti sulle quali non esiste una contabilità sistematica, né relazioni tecnico-economiche". Per non dire del personale. Oltre ai 64 dipendenti in organico, compresi contrattisti ed esperti, il prefetto ha scoperto che c'erano a carico del commissariato 41 fantasmi di cui non sapeva assolutamente nulla. Mai visti in faccia. Mai impegnati in una pratica. Assunti con "contratti stipulati da dirigenti del Ministero dell'Ambiente, nei quali è espressamente stabilito che il corrispettivo per la prestazione resa sarà corrisposto dal Commissario delegato dietro attestazione del committente che il lavoratore ha regolarmente adempiuto agli obblighi contrattuali". Traduzione: ogni mese arrivava da Roma l'ordine di pagare quegli sconosciuti senza che il Commissariato fosse in condizione "di indicare l'attività prestata dai dipendenti in questione". Domanda: ma nessuno controllava? Risposta, no: "Non risultano allegati né gli atti che avrebbe dovuto produrre il servizio di controllo interno né i verbali della verifica amministrativa e contabile". Peggio: "Le pezze d'appoggio" a giustificare i conti, da parte della Ragioneria competente, "non è stata mai richiesta".

 



IL MISTERO DELLA MITROKHIN? HA SPESO PIU’ DELL’ANTIMAFIA.

Di Carlo Ciavoni, Il Venerdì di Repubblica

Roma. Viviamo in un Paese dove per sapere se Romano Prodi sia una spia del Kgb – e se le 641 persone nominate nella lista Mitrokhin abbiano realmente tramato in Italia in combutta con gli agenti segreti sovietici – che per conoscere i veri intrecci tra mafia e politica. Non è difficile rendersene conto, basta leggere.

E mettere a confronto i bilanci delle commissione di inchiesta Antimafia e Mitrokhin. La prima, dal 2001, si è avvalsa di consulenti che sono costati 1.742.293 euro; la seconda, negli stessi anni, ha fatto sborsare al Parlamento italiano 1.190.663 euro.

La verità può costare cara.

Spulciano i conti delle commissioni bicamerali d’indagine del Parlamento Italiano, una cosa colpisce: costano molto. E si capisce che, di fatto, la regola non scritta è quella del "piè di lista", del Parlamento che paga senza troppo indagare.

Ma il Presidente Bertinotti ha dichiarato guerra agli sprechi, e quindi il Parlamento fisserà un tetto di spesa annuale rigorosamente insuperabile.

"E’ una delle tante misure di contenimento e di riduzione del costo della politica" ha detto il Presindente della Camera Bertinotti. "Invece di attendere misure miracolistiche, stiamo lavorando per limitare e ridurre i versanti di spesa". Sono soprattutto i costi delle consulenze a far scorrere brividi lungo la schiena ai funzionari delle ragionerie delle due Camere. Le commissioni d’inchiesta bicamerali sono composte da venti senatori e venti deputati, tranne l’antimafia, che da sempre. Di parlamentari ne impiega cinquanta, divisi a metà tra senatori e deputati.

Nessuno di loro percepisce gettoni di presenza aggiuntivi per partecipare alle sedute. Ogni organismo d’indagine ha rango costituzionale ed è investito dall’articolo 82 degli stessi poteri e dei medesimi limiti della magistratura.
Il costo complessivo per il funzionamento delle sette commissioni bicamerali prese in esame negli ultimi cinque anni e mezzo è stato di 8.169.978 di euro, di cui 5.569.095 solo per le consulenze.

L’Antimafia, in attività ininterrotta dal 20 dicembre del 1962, è forse quella meglio percepita dall’opinione pubblica, come un presidio necessario contro la criminalità organizzata.

Attualmente l’Antimafia è presieduta dal deputato del PRC Francesco Forgione, e vanta, comprensibilmente, il primato nella classifica delle spese complessive.

Non solo per il numero dei membri, ma soprattutto per la necessità, da parte di deputati e sentori, di spostarsi spesso, sia in Italia sia all’estero.

Le spese di viaggio, infatti, ammontano a 1.131.175 euro.

A queste vanno aggiunte quelle per la "rappresentanza", che sono di 27.986, e "altre spese di funzionamento" , come la ristorazione, le traduzioni, giornali e cancelleria, per un totale di 129.033 euro.

Il primato delle consulenze va, come si è detto, alla commissione Mitrokhin, presieduta dal senatore paolo Guzzanti di Forza Italia, dal 2003 al 2005. Un crescendo di fattura (arrivate anche nei primi 5 mesi di quest’anno), per cifre assai rilevanti, soprattutto rispetto ai risultati ottenuti.

Si è partiti dal 10.420 euro del primo anno di attività, diventati 499.403 nel 20003, per poi lievitare ancora fino a 629.329 nell’anno successivo e arrivare a 635.319 nel 2005, con uno strascico nel 2006 136.190 euro.

Il totale è di quasi due milioni di euro.

Il suo costo complessivo negli anni di attività è stato di 2.008.911 di euro, compresi i 33 mila e rotti di missioni; 28 mila e spiccioli di rappresentanza e 37700 euro tra ristoranti, alberghi, sicurezza, traduzioni, giornali e cancelleria.

Indagini della magistratura ordinaria stabiliranno se Mario Scaramella, l’informatore-consulente di Guzzanti abbia agito correttamente o abbia perseguitato solo il risultato di contrabbandare Romano Prodi per agente del Kgb, in vista delle scorse elezioni politiche.

Resta comunque il fatto che la commissione Mitrokhin non ha aiutato il Parlamento a capire se davvero gli u9omini di quella lista siano mai stati nel libro paga dei Servizi segreti sovietici.

Eppure, era nata proprio per smascherare le 641 "spie" indicate dall’ex archivista del Kgb: politici, generali, giornalisti.

Il rishltato è stato un flop clamoroso, seguito dallo sttrascioco di vicender ancotra opache. Uno storia limacciosa di omicidi, ex agnti segreti mercenari e veleni, che sta facendo parlasre di sé per ragioni spemre più lontane da quelle che motivavano le indagini sulla celebre lista. Il consulente principe della commissione, Scaramella, è persino indagato dalla Procura di Napoli per un giro di rifiuti smaltiti in modo irregolare, tanto che nei suoi confronti risulta emessa una informazione di garanzia con l’accusa di aver affidato rifiuti speciali non pericolosi a società non titolate per la loro gestione.

Cose di cui potrebbe occuparsi a pieno titolo la commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti. Un destino di scarsa efficacia e costi sproporzionati accomuna un po’ tutti gli organismi bicamerali d’indagine.

Come la Telekom- Serbia, istituita nel luglio del 2002 e costata 487.467 euro, tra consulenze (148.021), missioni, (269.911,) rappresentanza (20.754) e le solite altre spese.

O la commissione d’inchiesta "sulle cause dell’occultamento di fascicoli sui crimini nazifascisti", presieduta dal deputato Udc Fabio Tanzilli. Nei tre anni di lavoro ha macinato 1.208.899 di euro, di cui 971.825 solo per le consulenze, peri viaggi 199.646; per la rappresentanza 20.100; e 17.327 di varie.

Così la commissione sui rifiuti, costata in tutto 959.667 euro, con 477.577 di viaggi e 359.696 di consulenze, e quella nata nel 1998 per indagare sul dissesto economico dellea Federconsorzi, che, nel 2001, ha gravato sulle casse del Parlamento per 183.407 euro, senza aggiungere o toglier emolto a ciò che già si sapeva.

Alle commissioni bicamerali d’inchiesta, vanno aggiunte anche le monocamerali, attualmente assenti a Montecitorio, ma non al senato dove ne sono state istituite 4: per capire l’efficienza del servizio sanitario, per indagare sull’inquinamento del Sarno, per conoscere gli effetti dell’uranio impoverito sulla salute dei nostri militari impegnati in Kosovo, per approfondire il fenomeno degli incidenti sul lavoro. Da anni deputati e senatori si riuniscono, discutano, ascoltano testimoni, votano e scrivono.

Scrivono soprattuto migliaia e migliaia di pagine di documenti, per restituire i cittadini delle istantanee – si fa per dire – sullo stato delle cose.

La realtà parla di scarsa efficacia, di debolezza tipica di ogni collegio formato da forti identità politiche, costrette in un contenitore obbligato ad esprimere giudizi, valutazionei, e decisioni colettive, votate si a maggioranza, ma dopo lunghe e faticosissime mediazioni.

"si segue per lo più, la strada più difficile e tortuosa per raggiungere la verità" , dice sottovoce un alto funzionario del Parlamento. Il quale ricorda anche una delle insinuazioni più malevole che serpeggia nei corrdoi dei due palazzi: quella secondo la quale, "le commissioni d’inchiesta altro non sono che un logo di spartizione di privilegi e favori che stabenne un po’ a tutti. Perché, alla fine, nessuno ti viene a chiedere il conto su ciò che hai fatto. E poi si viaggia senza badare a spese e i presidenti godono degli stessi benefit dei Ministri…."

Insomma, si entra a far arte di quel numero di privilegiati che in Italia è diventata una classe sociale.

LA CLASSIFICA DEI COSTI:

COMMISSIONI D’INCHIESTA BICAMERALI :

                            consulenze                                         totale

- Mitrokhin            1.910.663,68                                       2.008.911,98

- antimafia            1.742.293,86                                       3.030.489,33

-crimini nazifascisti 971.825,20                                       1.208.899,50

- ciclo dei rifiuti        359.696,19                                       959.6667,91

- stragi                   272.328,97                                          291.134,78

- telecom-serbia     148.021,28                                        487.467,22

COMMISSIONI D’INCHIESTA DEL SENATO

                           consulenze                                               totale

efficienza servizio

sanitario nazionale 857.041,05                                         1.023.281,24

-inquinamento Sarno 540.994,44                                      560.526,47

- infortuni sul lavoro 180.275,56                                        204.334,02

- uranio                  174.419,43                                          182.658,70

COMMISSIONI D’INCHIESTA DELLA CAMERA DEI DEPUTATI

                              consulenze                                           totale

-Ilaria Alpi – Miran Hovratin 919.070,58                              1.242.114,05


Chi scorta e chi no

di Valentina Avon, LEFT


Oggi proponiamo un articolo sulle “scorte”. E’ una riflessione seria da cui emergono chiaramente le due facce della medaglia: quelle necessarie a tutelare la vita di persone minacciate, e quelle che invece rappresentano solo lo status symbol del potere. E’giusto chiedere un taglio dei costi, ma questi andrebbero fatti seriamente… Vi ricordate il post sui guardaspalle di Berlusconi?  

Ogni giorno in Italia circa 25.000 agenti di scorta vigilano su qualcuno o qualcosa. Ogni giorno a Roma 4/5.000 uomini lavorano nei servizi di scorta, tutela, sorveglianza. Per capire le proporzioni: in Afghanistan abbiamo mandato circa duemila uomini. Meno della metà di quelli che vediamo circolare armati a piedi o sulle auto blindate.
 
(…) Nel programma dell’Ulivo si legge: «Meno agenti per le scorte e le auto blu». Ora se ne sta occupando il ministro dell’Interno Giuliano Amato, che a luglio ha messo in piedi un apposito gruppo di lavoro, affidato al suo vice Marco Minniti. E in commissione Affari istituzionali è partita un’indagine conoscitiva. Amato a maggio ha comunicato che gli agenti coinvolti nei “dispositivi di protezione personale”, di polizia, carabinieri, guardia di finanza e polizia penitenziaria, sono 2.686, il 14 per cento in meno rispetto ai 3.116 dell’anno scorso. Però il suo predecessore Pisanu, nella relazione annuale al Parlamento del 2005 aveva detto che gli uomini utilizzati erano 2.828, per 732 scorte (95 per governanti o politici, 334 per magistrati, 40 per amministratori locali, 263 per “altri”). Nelle relazioni precedenti si trovano: 3.798 agenti per 771 scorte nel 2000, che nel 2001 passano a 2.676 per 726 scorte, nel 2002 a 2.323 per 600 scorte, nel 2003 a 2.600 per 700 scorte, e nel 2004 troviamo 3.000 agenti per 744 scorte. Le variazioni sono più corpose per la custodia degli “obiettivi sensibili”. Nel luglio 2000 i presidi erano 1.575 per un totale di 4.572 agenti. Per ovvi motivi sono aumentati, ora ci sono circa 20.000 agenti per 13.664 presidi. A Roma, un anno fa il prefetto Serra ha proposto al ministro Pisanu un piano di riorganizzazione per meglio impiegare agenti e pattuglie, ma non se n’è fatto nulla. Serra (…) pensava alla minaccia terroristica interna (dopo gli arresti dei bierre Lioce e compagnia) e internazionale (contro cui più che la tutela funziona l’intelligence), non ragionava di numeri (…)
 

 
 
 
Dal dato numerico partì invece Scajola con la sua “famigerata circolare”. In cerca di uomini per la lotta al terrorismo internazionale dopo l’11 Settembre, l’allora ministro dell’Interno decise il taglio di un terzo dei «dispositivi di protezione personale». Ci andò di mezzo Marco Biagi, ucciso dalle Br sotto i portici di Bologna il 19 marzo 2002 (per la scorta negata sono finiti sotto inchiesta in quattro, il tutto è stato poi archiviato dalla procura di Bologna senza escludere “che la mancanza della protezione abbia indirizzato le Br proprio verso l’obiettivo indifeso”). Ma all’indomani della circolare Scajola, più che ai giuslavoristi si pensò ai magistrati. La scorta fu tolta al magistrato Ilda Boccassini (pubblica accusa nei processi milanesi a Berlusconi e Previti) che aveva fatto arrestare i responsabili della strage di Capaci. Il procuratore generale di Milano Francesco Saverio Borrelli non nascose la sua irritazione, e difese i magistrati che «per caso, per puro caso sono gli stessi che sostengono l’accusa contro il capo del governo». Scajola specificò che non spetta ai magistrati stabilire se una scorta sia opportuna o meno, e lo querelò. Dopo l’omicidio Biagi, la Boccassini ha riavuto la scorta. Come altri. (…)
 

 
 
 
La prima conseguenza delle polemiche seguite all’omicidio Biagi fu la creazione (luglio 2002) dell’Ucis, Ufficio centrale interforze per la sicurezza individuale che, raccolte le segnalazioni dai comitati locali per l’ordine e la sicurezza, dispone o revoca i provvedimenti di scorta e tutela (per determinate figure istituzionali, il presidente della Repubblica in carica e tutti gli ex, il premier e il suo vice, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio e i ministri di Interno, Giustizia, Difesa, Affari esteri ed Economia, più vari alti magistrati, decide un decreto).
 

 
 
 
Per legge istitutiva, solo l’Ucis potrebbe disporre le tutele, ma così non è per presidente e vicepresidente del Consiglio, su cui decide il Cesis (Comitato di coordinamento dei Servizi di sicurezza). Lo stabilì nel 2002 Berlusconi. Ma quest’anno il Copaco (Comitato di controllo parlamentare sui Servizi di informazione e sicurezza) ha sollevato il caso, e il senatore diessino Massimo Brutti si è chiesto come una «struttura di intelligence impegnata sul terreno dell’analisi, debba assumere compiti operativi, di vigilanza e protezione». E come mai ci fossero 70 agenti segreti pagati dal Cesis a protezione di Berlusconi e dei suoi vice (prima di andarsene dal Palazzo, il Cavaliere, con un misterioso decreto, come ha riferito Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, ha stabilito che per gli ex premier la tutela va conservata nel massimo dispiegamento: una trentina di uomini e una decina di auto blindate). All’anomalia Cesis se ne aggiunge un’altra, contenuta nella legge istitutiva dell’Ucis, che trasforma in agenti di pubblica sicurezza gli autisti delle auto blu. Se è vero che sulla scorta non decide lo scortato, è vero anche che a volte gli stessi ministri rifiutano. Bersani voleva solo l’auto di servizio, ha dovuto cambiare idea dopo il decreto sulle liberalizzazioni, la reazione dei tassisti e l’aggressione al ministro Mussi davanti al Parlamento: macchina blindata e due uomini fissi (però Bersani finì scortato già nel ’96, il suo nome era in un volantino Br). Il guardasigilli Mastella viaggia con due auto blindate e sei agenti della penitenziaria. Per lui, macchina nuova: al posto della Lancia Thesis una Bmw blindata, costo 270.000 euro. Il suo predecessore Castelli girava con un Suv Bmw, blindato pure quello, che però sostenne di aver trovato parcheggiato in cortile. Le ministre Turco, Pollastrini, Melandri hanno solo l’auto di servizio, come Pecoraro Scanio. Il presidente della Camera Fausto Bertinotti gira con auto di servizio e autista e ha rifiutato anche la postazione di sorveglianza sotto casa. Romano Prodi, che arrivato a Palazzo Chigi si è visto assegnare la scorta della guardia di finanza, ha optato per la polizia di Stato. Tre anni fa, per un libro-bomba e un paio di ordigni esplosi nei cassonetti sotto casa, alle due auto blindate che lo seguivano (era presidente dell’Unione europea) si aggiunse la tutela per moglie e figli. Nello stesso frangente il Viminale aumentò anche la protezione per Sergio Cofferati, altro scortato storico. Ex segretario della Cgil e adesso sindaco di Bologna, da una decina d’anni si muove con quattro uomini e auto al seguito.
 

 
 
 
(…) Dopo Biagi, come dice Oronzo Cosi, «nessuno, giustamente, ha il coraggio di negare una scorta». Della necessità della scorta solo l’autorità di polizia può e deve sapere. Delle centinaia di auto blu, date d’ufficio alla pletora di collaboratori di ministri, viceministri e sottosegretari (dai portavoce ai capi delle segreterie) invece decide, o dovrebbe decidere, la politica. 
 

 
 
 
 
 
 


UMBERTO SCAPAGNINI, GLI SPRECHI DI CATANIA

24/02/2006

Attilio Giordano**Dal Venerdì di Repubblica, 24 febbraio 2006

Catania. Qui si glorificava l’Etna Valley, una sorta di miracolo californiano. Si parlava di rinascimento e di movida, di una vita notturna febbrile sulle strade del centro storico sottratte alle criminalità. Ora la metafora perfetta di Catania è la sua metropolitana. Quattro chilometri realizzati a fine anni Novanta, e non è avanzata neppure di un metro. Un luogo di abbandono e di immondizia cristallizzata ai lati di scale mobili fuori servizio. Sei fermate, una vettura fantasma che viaggia su e giù come un insetto chiuso in una scatola. Due vagoni – mai si è visto un metrò così corto – eppure sono troppi: perché in tutto si possono contare tre, quattro persone. Il trenino, già partito, si ferma e riapre le porte per raccogliere un prezioso viaggiatore ritardatario. Come se fosse la corriere per Acitrezza.

Il 7 maggio 2005, a pochi giorni dal voto un Berlusconi con baschetto giallo, un Berlusconi metropolitano, poneva la prima pietra della stazione di Nesima, nel Nord-Ovest della città. Oggi, proprio dove sindaco e premier si scambiarono affettuosità e sorrisi, non si vede che il cartello ovale. “Fino a qualche mese fa c’era anche una specie di escavatore” racconta chi vive qui, “poi tolsero anche quello”. Ma se si chiede al sindaco, Umberto Scapagnini, che ne è della stazione inaugurata, risponde così: “La stazione? C’è, a Nesima la stazione c’è”. Forse si riferisce a quella in superficie, della linea etnea, che esiste da decenni, ed approfitta dell’ignoranza topografica del forestiero. Più probabilmente la risposta è il risultato di un incantamento: lui vede quello che non c’è.
Catania ha esaurito l’entusiasmo. È una città dove sono tornati gli abusivi, dove il tassista sibila: “L’unica produzione che funziona, qui, è il traffico”. Forse fu troppo gonfiata l’immagine del prima, ma certo oggi è di nuovo la città dell’arrangismo, del voto di scambio, delle inchieste giudiziarie, perfino sui fondi per la festa di Sant’Agata.
Il sindaco è sotto inchiesta anche lui, per aver elargito, a tre giorni dalle elezioni, una somma variabile tra i 300 e i mille euro ai quattromila dipendenti comunali per i danni dovuti alle ceneri del terremoto del 1990. Senza averne alcun titolo.
L’astro di questa città ripiegata viene da Grammichele, paese della provincia, e ha gli occhi chiari da siciliano freddo. Seguire Raffaele Lombardo, ex DC, ex UDC, oggi leader degli autonomisti siciliani (MPA), è un tuffo indietro nella Prima repubblica. “Lui è dappertutto”. Dicono i suoi collaboratori. Segue quello che accade nei mercati come le elezioni per il consiglio dell’ordine dei geometri. Onorevole, Catania ha perso la sua spinta propulsiva? Storce la bocca: “un po’, forse. Nei primi anni del centrodestra, Lombardo era il vicesindaco di Scapagnini, poi divenne presidente della Provincia. Si riferisce a questo? Sorride: “Una coincidenza”. Ha trattato con tutti, centrodestra e centrosinistra. Lei cosa avrebbe preferito? “Per me era uguale, sto con chi consente autonomia. Ma ho sentito che il ventre molle del mio elettorato non era ancora pronto per il centrosinistra”. Lombardo ha fatto il miracolo: dare una costola a Sud alla lega di Bossi. La cosa è ufficiale, il simbolo sarà diviso (due terzi alla Lega, un terzo al MPA). E’ venuto qui Calderoli e gli occhi freddi di Lombardo lo hanno squadrato come si fa con un parvenu, ma utile. Si riuscirà a far mettere ai siciliani la croce su Alberto da Giussano?

Con Scapagnini, Lombardo è riuscito nell’intento. Un anno fa, il sindaco è stato riconfermato dai catanesi in una battaglia su cui Berlusconi giocò tutto. L’unica vittoria in un campo punteggiato da sconfitte.
Enzo Bianco, l’avversario (Margherita, a Catania il primo partito), racconta dei tanti soldi spesi dal premier in quei giorni. Investimenti sproporzionati.

E poi Scapagnini ha avuto soldi dallo Stato come, forse, nessun altro: con i fondi speciali (e i poteri) della Protezione civile per l’emergenza traffico, con la legge di assorbimento dei precari fatta ad Cataniam con le regole che praticamente erano state tagliate addosso alla città. Soldi sfruttati tutti in campagna elettorale. Ma non bastavano mai. A fine 2005 si calcolava un buco di almeno 80 miliardi di euro (2003-2004), che metteva il Comune in condizioni imbarazzanti. Alla richiesta del consigliere d’opposizione Giovanni Giacalone a proposito delle consulenze – arrivate nei primi anni a 125, per svariati milioni di euro, compresa miss Eritrea e l’autista della moglie di Scapagnini – il sindaco rispondeva che non poteva mostrare il lavoro di questi collaboratori “ per impossibilità di fare le fotocopie”.

C’ erano le consulenze, ma non c’era la carta. Neppure quella igienica nei bagni. C’erano uffici in agitazione “per mancanza di cancelleria e strumenti elementari di lavoro”. Il sindaco minimizza: “Il buco c’era, non c’è più. Nel 2005siamo in pareggio”.
Ma è la solita generosa illusione. In realtà il bilancio di previsione ottiene il pareggio con la vendita di beni comunali che non sono definiti né misurati per valore.
Venderete? “E’ una bugia dell’opposizione, non venderemo niente. Ho solo chiesto di catalogare e stimare i nostri beni. Se qualche impianto sportivo si mostrerà improduttivo o ingestibile, vedremo.”
Ma se il bilancio è pareggiato con quelle vendite…Scapagnini non entra nel merito, preferisce i grandi scenari. Il water front di Catania, per il quale è stata chiesta una consulenza dall’architetto catalano Oriol Bohigas pagata 516mila euro. Un grande professionista. Ma a che cosa servirà? Soprattutto a dare parole al sindaco, parole per i giornalisti, per gli elettori. Un fiume incontenibile.”Catania diventerà questo e quello. Ma non si vede niente se non le opere fatte con i fondi della Protezione civile, in parte ferme o in ritardo”, osserva il vicepresidente di Confcommercio, Nino Nicolosi. ”Sta venendo di nuovo alla luce la debolezza di questa città, la sua cialtroneria”.
Dietro ogni atto apparentemente logico, se si sposta il tappeto, di scopre un po’ di polvere. Dice Scapagnini: “Dopo quarant’anni abbiamo presentato un nuovo regolatore”. Ma il piano è solo una sintesi vaga, poi ci sono state le elezioni e nessun consigliere comunale lo ha mai potuto vedere. Se non viene ripresentato, in realtà, non esiste. Dice Scapagnini: “Non abbiamo aumentato l’Ici né perseguitato i cittadini, preferendo il dialogo e gli accertamenti con adesione”. Ma l’evasione è enorme. E se l’Ici non è cresciuta, sono diminuite le detrazioni per chi ha la prima casa. Che significa – spiegano tecnici – circa 100 euro in più per cittadino. Le aziende pubbliche, che potrebbero essere in attivo, sono in deficit per assunzioni clientelari, sprechi. Tutto è rivolto alle elezioni, non all’amministrazione.
Caso forse unico in Italia, il sindacato ha chiesto le dimissioni del sindaco, ponendo, tra l’altro, una “questione morale” che non sembra affatto di moda. “All’ombra di questa strategia amministrativa, è stato tutto un fiorire di appalti, anche in forza dei poteri e dei soldi che sono stati affidati da Berlusconi al suo sindaco” dicono i sindacalisti Pippo De Natale (Cgil) e Salvatore Leotta (Cisl). Facendo capire che si sta aprendo una nuova stagione di possibile saccheggio.
L’aeroporto dipende da due società, una dovrebbe controllare l’altra, ma il responsabile è lo stesso, Stefano Ridolfo. Sindacati e Confindustria sembrano rappresentare la nuova, anomala, trincea di lotta. Il giovane presidente degli industriali, Fabio Scaccia, 38 anni, volto della rinnovata dirigenza appoggiata da Montezemolo è molto esplicito: “Si stanno ricreando logiche di potere paralizzanti, che vogliono controllare tutto, che pretendono rappresentanti di categoria che sono uomini di associazione e non di produzione, asserviti al potente di turno.” Chiede le dimissioni del presidente della Camera di Commercio (che è sempre Ridolfo, lo stesso che presiede i due enti aeroportuali) e del presidente dell’Asi, la società che gestisce l’area industriale, Alfio Massimino. La St Microelectronics, l’azienda tecnologica che ha portato cinquemila posti di lavoro, il cuore della famosa California siciliana. Attraversa una crisi e a Catania si sente sempre più stretta. Scapagnini lo sa? “Avevano detto che se vincevo io alle elezioni sarebbero andati via. Io ho vinto, ma loro sono ancora qui”. Poi sorride: “Vede quante bugie raccontano su Scapagnini?”.


PER IL RILANCIO A COSTO ZERO DEL PAESE (Lettera aperta sul Cip6)

Di Francesco Meneguzzo coordinatore tecnico Energia e Innovazione dei Verdi e Jacopo Fo presidente della Libera Università di Alcatraz
XX dicembre 2006

(Aderisci a questa lettera aperta utilizzando lo spazio dei commenti a questa news)
Mentre ci si affannava sulle virgole delle cifre di una manovra Finanziaria in cui, come sempre, gran parte dei flussi di denaro prescindono dalla produzione materiale dei beni, un piccolo gruppo di Senatori, guidato da Loredana De Petris e Tommaso Sodano, riusciva a ottenere quello che era impensabile fino a pochi mesi fa: che fossero finalmente cancellate le illegittime – perché in contrasto con le norme Comunitarie – incentivazioni alla produzione di energia elettrica da fonti che non siano rinnovabili, come le così dette fonti “assimilate”, per esempio i rifiuti non biodegradabili, i bitumi e gli scarti di raffineria, lo stesso gas naturale fossile purché si utilizzi il calore generato nella produzione elettrica (cogenerazione).
Uno scherzo, questo, che non è durato poco: iniziato nel 1992 con la delibera “CIP 6”, fondata sulla Legge 10 del 1991, ha consentito in 15 anni la destinazione di circa 40 miliardi di Euro attualizzati a fonti che niente hanno a che vedere con il sole, il vento, l’acqua, la geotermia, riservando a queste fonti soltanto il 20 per cento circa delle risorse complessive.
Ogni due mesi i cittadini italiani hanno sovvenzionato senza fiatare, per mezzo della bolletta elettrica, gli inceneritori di rifiuti e i gassificatori degli scarti del petrolio, quasi 4 miliardi di Euro nel solo anno 2005: tutto questo, credendo in buona fede di finanziare le fonti rinnovabili!!!
Intanto, dato che funzionava, la truffa si è fatta ancora più raffinata, concedendo all’elettricità prodotta dai rifiuti di plastica e gomma, il così detto CDR o combustibile derivato dai rifiuti, e perfino all’idrogeno prodotto a partire da qualsiasi fonte, petrolio, gas e carbone, l’accesso ai Certificati Verdi, titoli negoziabili che in pratica raddoppiano o perfino triplicano il valore dell’energia elettrica prodotta, mettendo impropriamente in competizione le fonti fossili con le fonti rinnovabili.
Grazie – si fa per dire – a questo lunghissimo scandalo, l’Italia è rimasta al palo con la maggior parte delle nuove fonti rinnovabili, in particolare con quella solare fotovoltaica, che è la più promettente, che in Germania e in Spagna, per non parlare del Giappone, degli Stati Uniti, della Cina, ha già prodotto un’economia diffusa e centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro capillarmente diffusi sul territorio, contribuendo al rispetto del Protocollo di Kyoto sui cambiamenti climatici.
Di fronte all’incontrollabile aumento dei prezzi del petrolio e del gas, che soffrono di crisi di approvvigionamento sempre più minacciose, alla minaccia del ritorno in grande stile del carbone, che l’Italia non possiede e che in ogni caso rappresenta la più grave minaccia per la stabilità climatica e ambientale del pianeta, all’improponibile ritorno a un nucleare che non ha risolto uno solo dei suoi problemi, la Legge Finanziaria 2007 poteva offrire una straordinaria occasione, e in parte è stato così: il comma 644-bis e successivi stabiliscono che le incentivazioni, di qualsiasi tipo e salvo deroghe particolarissime, ancora da stabilire, siano destinate alle sole fonti rinnovabili, in accordo con la Direttiva Europea 2001/77/CE (che da anni è stata recepita correttamente dai maggiori Paesi Europei).
L’oscura lobby trasversale dei raffinatori e degli inceneritoristi ha voluto però colpire anche questa volta, e così l’accordo raggiunto tra maggioranza parlamentare al Senato e Governo, di riservare le residue incentivazioni agli impianti alimentati da fonti non rinnovabili “ai soli impianti già realizzati e operativi” si è trasformato, con un colpo di mano pochi minuti prima del deposito della Finanziaria, nella concessione degli incentivi “ai soli impianti già autorizzati e di cui sia stata avviata concretamente la realizzazione”, rimettendo in gioco potenzialmente decine o centinaia di impianti, in maggioranza inceneritori di rifiuti, e ovviamente centinaia di milioni di Euro all’anno!
Di fronte alla clamorosa e coraggiosa protesta dello stesso piccolo gruppo di Senatori e del Ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, il Governo è stato costretto a tornare sulla questione, impegnandosi a ripristinare la versione originale della norma, ma non subito come con il comma “Fuda” sui reati contabili, piuttosto per mezzo di un emendamento al decreto legge sugli obblighi comunitari, il così detto “decreto mille proroghe” che, emanato il 22 dicembre, dovrà essere convertito in legge entro 60 giorni.
Il Ministro dello Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani, si è impegnato infine a non concedere autorizzazioni all’accesso alle incentivazioni ad alcun impianto alimentato da fonti non rinnovabili, fino al ripristino della norma originaria.

NON C’E’ PIU’ BISOGNO, SE MAI C’E’ STATO, DI FINANZIARE LE ENERGIE SPORCHE, NE’ L’INCENERIMENTO DEI RIFIUTI: LE TECNOLOGIE DI OGGI CONSENTONO DI PRODURRE TUTTA L’ENERGIA E GESTIRE I RIFIUTI IN MODO EFFICIENTE E SENZA PREGIUDICARE L’AMBIENTE, IL CLIMA E LA SALUTE.

CHIEDIAMO AI PARLAMENTARI TUTTI E AI MEMBRI DEL GOVERNO DI VIGILARE SENZA CONCEDERE SCONTI SUL RISPETTO DEGLI IMPEGNI PRESI, PER LA SALUTE, L’AMBIENTE, IL LAVORO:
PER IL BENE DELL’ITALIA !!!


Disegno di legge di Franca Rame

Tra le funzioni svolte dalla Corte dei Conti vi è anche quella di giudicare sulla responsabilità amministrativa per danno erariale.
Questa è l’anima operativa giudiziaria della lotta allo spreco, e và tutelata.
La strada da intraprendere è nella direzione opposta a quella del condono introdotto dall’art.231 della finanziaria ultima.
Bisogna creare una disciplina ispirata a principi di garanzia del contraddittorio e del giusto processo che contenga strumenti efficienti ed efficaci.

Scarica il testo del disegno di legge per la lotta agli sprechi

Sottoscrivi il ddl firmando qui



SENATO DELLA REPUBBLICA

DISEGNO DI LEGGE                 n. 702

d'iniziativa della senatrice Franca Rame

Delega al Governo per la redazione del "Codice di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti"

Onorevoli Senatori. La lotta allo spreco di risorse è un dovere giuridico per la Pubblica Amministrazione, ed il nostro ordinamento sancisce reiteratamente tale concetto laddove impone il principio di economicità dell'azione amministrativa - art.1 della legge 241/1990 - il principio del buon andamento - art. 97 Cost.- e
attraverso tutta una serie di norme che delineano un modello di amministratore e funzionario pubblico virtuoso, la cui capacità ed efficienza passa anche, necessariamente, per la capacità di contenere la spesa e di risparmiare risorse, fornendo così , oltre al risultato materiale, la possibilità di incentivare una cultura diffusa del risparmio di risorse nella collettività intera.
Questo modello di funzionario, ben evidente dopo la riforma degli anni '90, non avrebbe acquisito potere di gestione della cosa pubblica se non avesse anche acquisito anche responsabilità per i suoi errori. E nell'ambito delle varie responsabilità egli vede anche quella per danni arrecati alla sua o ad altra
amministrazione di appartenenza.
E' la responsabilità per danno erariale, e cioè la responsabilità per lo spreco, in virtù della quale l'amministratore o il funzionario pubblico, o il soggetto che svolge qualche attività per l'amministrazione pubblica, risponde del danno arrecato qualora il suo comportamento attivo o omissivo abbia determinato la
mancata percezione di introiti o la illegittima uscita di somme. I casi che ricadono nell'ambito di questa responsabilità sono tantissimi, e toccano tutti i settori di attività e tutta la pubblica amministrazione. Appalti affidati a condizioni svantaggiose, mancata riscossione di crediti, progettazioni inutili ed irrealizzabili, consumi ingiustificabili, mancata applicazione di sanzioni, contratti che avvantaggiano solo la controparte della amministrazione, consulenze inutili, procedimenti amministrativi non eseguiti che hanno causato
danni e contenziosi inutili, insomma i casi eclatanti dello spreco, della illegalità e illiceità dannosa, della gravissima trascuratezza nell'amministrare.
E' ovvia la sua fondamentale utilità. E' ovvia la sua giustificazione giuridica, giacché nel nostro ordinamento non esiste potere che non abbia una parallela responsabilità. E' ovvia la sua funzione di deterrente. Ed è infine ovvio che essa debba essere oggetto di attenzione da parte del legislatore, consentendo una elevazione qualitativa dell'azione amministrativa, e di generare un'immagine positiva della pubblica amministrazione.
Pur di fronte a tale ovvietà, il precedente governo ha introdotto un condono in materia. Gli articoli 231, 232, 233 della legge finanziaria per il 2006 - legge 23 dicembre 2005 n. 266 - hanno infatti previsto la possibilità di sanare i danni arrecati alla pubblica amministrazione ed accertati con sentenza - non passata in giudicato - mediante il versamento di una somma pari ad una percentuale variabile tra il dieci ed il trenta per cento. Un vero colpo di spugna, con effetti defatiganti sulle Procure che hanno lavorano per accertare questi tipi di danni e che quotidianamente tentano il recupero di queste somme; ed una vera offesa ai funzionari ed amministratori onesti e competenti che operano quotidianamente con capacità e professionalità in ossequio al
principio di legalità ed al principio di buon andamento dell'art. 97 della Costituzione.
Questa scelta di sanare, di coprire, di mandare in fumo sentenze e soldi pubblici, di sprecare lavoro di interi apparati pubblici, è agli antipodi del modello della pubblica amministrazione delineato dal legislatore e immaginato dalla nostra coalizione.
Dunque bisogna dare segnali opposti, e fare scelte concrete che possano creare condizioni diverse. E tra queste deve rientrare una nuova attenzione a questa forma di responsabilità la cui competenza è affidata alla Corte dei Conti.
Il regolamento di procedura risale addirittura al 1933 - R.D. n. 1038/1933 - mentre con le leggi 14 gennaio 1994 n. 19 e 20 e 20 dicembre 1996 n. 639 si è deciso, tra l'altro, di attuare il decentramento mediante le sezioni regionali e l'istituzione del doppio grado di giurisdizione.
Vorrà dunque darsi atto che un'attività giudiziaria così importante per il nostro ordinamento, e così rilevante per tutto ciò che in essa viene coinvolto (recupero di denaro, funzione di deterrente allo spreco, incentivazione di una cultura del risparmio, efficienza ed economicità dell'azione amministrativa) merita una attenzione diversa dal condono della passata legislatura. Merita infatti una disciplina specifica e finalmente chiara della procedura, che possa consentire giudizi celeri, adeguati ai nostri tempi e soprattutto adeguati alle
dinamiche attuali delle pubbliche amministrazioni. Merita, infine, una disciplina improntata ai principi equi del giusto processo, garantista dei diritti dell'indagato e rispettosa delle prerogative della difesa, in una
visione nuova del processo contabile.
Infatti, anche alla luce dei principi generali sul giusto processo, è ormai evidente ai più che l'attuale assetto normativo è assolutamente insoddisfacente. La necessità di adeguare i principi citati a questo processo sono assolutamente preminenti e sarebbe ora di raccogliere questa spinta , che proviene da giuristi, magistrati e studiosi :

- Una riforma del processo, che darebbe finalmente risposta a tante aspettative, dovrebbe tenere in considerazione i seguenti aspetti:
- La garanzia del contraddittorio tra le parti del processo secondo uno schema simile a quello penalistico, e quindi dovrebbe innovare mediante la introduzione ed il riconoscimento:

    1. del diritto di accesso al fascicolo del PM al momento della redazione della risposta all'invito a dedurre, ferma rimanendo la segretezza della istruttoria nella fase delle indagini precedente, con i limiti analoghi al processo penale;

    2. del diritto di assistenza mediante difensore nel caso di audizione dell'indagato avanti al PM, delle cui risultanze si potrà tenere conto nel giudizio;

    3. di un giudice terzo che possa fungere da filtro per processi inutili e che al contempo svolga la funzione di vaglio sugli atti preliminari (archiviazione, con garanzia del contraddittorio per l'amministrazione danneggiata; obbligo di motivazione della richiesta di archiviazione; obbligo di motivazione sulla richiesta di procedere a citazione);

    4. delle prerogative difensive a livello probatorio simili a quelle del processo civile, compresa la testimonianza;

    5. di istituti che possano migliorare la capacità operativa di effettivo recupero delle somme (controllo affidato ai magistrati sulla esecuzione delle sentenze di condanna);

    6. di una modifica e aggiornamento delle norme afferenti il giudizio pensionistico.

DISEGNO DI LEGGE

Art.1

1. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente Legge, il Governo è delegato ad adottare un decreto legislativo per la codificazione, il riassetto, la semplificazione e l'adeguamento alle norme legislative e regolamentari che disciplinano i giudizi dinnanzi alla Corte dei conti.

2. Il decreto legislativo di cui al comma1, assume la denominazione di "Codice di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti". Nell'attuazione della delega, il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:

    a) semplificazione e snellimento dei giudizi di responsabilità, di conto, pensionistici, nonché di ogni altro giudizio attribuito dalla legge alla giurisdizione della Corte dei conti, con eliminazione di ogni atto o
attività non essenziali del giudice, delle parti, nonché dell'ufficio di segreteria;
    b) adeguamento della disciplina processuale e del sistema delle notificazioni ai nuovi strumenti informatici e di comunicazione;
    c) partecipazione al giudizio delle parti, su basi di effettiva parità in ogni stato e grado del processo, anche in attuazione del principio costituzionale del giusto processo;
    d) disciplina puntuale delle fasi processuali, limitando il rinvio alle norme di procedura civile, nel rispetto della configurazione assunta dalla responsabilità amministrativa a seguito della riforma di cui alle leggi 14 gennaio 1994, n. 19 e n. 20, e successive modificazioni;
    e) riordino della disciplina della competenza territoriale delle sezioni regionali e della competenza delle sezioni di appello, con la previsione, ove necessaria, di nuove regole, in materia di riunione dei procedimenti relativi alla stessa causa o a cause connesse;
    f) riordino e adeguamento della disciplina concernente l'istruzione probatoria e la consulenza tecnica d'ufficio, anche in riferimento alla eventuale istituzione di albi di consulenti ed alle modalità di liquidazione dei compensi;
    g) razionalizzazione del contenuto e della forma dei provvedimenti del giudice, con ampliamento delle ipotesi di pronunce succintamente motivate;
    h) riordino della disciplina del giudizio di appello, con riguardo particolare alla individuazione delle ipotesi di annullamento con rinvio.

3. Per il giudizio di responsabilità amministrativa, il Codice di cui at comma 2 si attiene, inoltre, ai seguenti principi e criteri direttivi:

    a) riordino delle ipotesi in cui è previsto l'obbligo di denuncia del fatto dannoso;
    b) previsione che il giudizio di responsabilità amministrativa sia promosso con azione pubblica e
    necessaria del pubblico ministero competente per territorio;
    c) disciplina dell'archiviazione della notizia di danno, con previsione di un controllo del giudice nell'ipotesi di opposizione da parte dei soggetti danneggiati, previa comunicazione ai medesimi;
    d) riordino dei poteri istruttori spettanti al pubblico ministero prima del processo, con previsione delle garanzie del contraddittorio, anche con riguardo alla facoltà del pubblico ministero di avvalersi di consulenti tecnici;
    e) possibilità di istituire, presso ogni procura regionale, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 19 marzo 2001, n. 68, una sezione di polizia erariale, con facoltà per il pubblico ministero di effettuare anche
    le richieste di cui all'articolo 3 del regolamento approvato con decreto del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica 4 agosto 2000, n. 269;
    f) riordino della fase prevista dall'art. 5, comma 1, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, e successive modificazioni, con particolare riguardo al procedimento camerale per l'autorizzazione alla proroga del termine per l'emissione dell'atto di citazione;
    g) previsione espressa del potere del pubblico ministero di interrompere la prescrizione della pretesa al risarcimento del danno, mediante un atto di costituzione in mora, contenuto anche nell'invito a dedurre;
    h) disciplina degli elementi costitutivi dell'atto di citazione e del relativo regime di invalidità, secondo i principi del codice di procedura civile, salvaguardando la specificità del giudizio di responsabilità
    amministrativa;
    i) disciplina del regime e dei termini delle preclusioni e delle decadenze, anche con riguardo alle eccezioni processuali e di merito;
    j) previsione delle ipotesi di partecipazione di terzi al giudizio di responsabilità amministrativa, con particolare riferimento alla chiamata in causa per ordine del giudice di altri soggetti ritenuti responsabili del
    danno;
    k) disciplina dell'attività istruttoria del collegio giudicante, con previsione e delimitazione delle ipotesi in cui gli adempimenti istruttori possono essere affidati alle parti e delle relative modalità di esecuzione nel rispetto del principio del contraddittorio;
    l) disciplina del potere riduttivo dell'addebito, con esclusione della applicabilità dello stesso nei casi e nella misura dell'illecito arricchimento, anche al fine di adeguare l'ammontare della condanna alle concrete
    fattispecie di illecito, mediante il riferimento all'entità del danno, al comportamento tenuto dal soggetto responsabile e alle sue condizioni economiche;
    m) riordino della disciplina delle azioni previste a tutela delle ragioni del creditore, ivi compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro VI, titolo III, capo V, del codice civile, secondo quanto previsto dall'art. 1, comma 174, della legge 31 dicembre 2005, n. 266;
    n) disciplina della fase dell'esecuzione della sentenza soggetta alla vigilanza della Procura regionale competente, al fine di garantire l'effettività del giudicato, con facoltà di promuovere in caso di inerzia, avanti il Giudice collegiale, idonei provvedimenti sostitutivi con previsione anche di confisca contabile a favore del soggetto danneggiato;

4. Per il giudizio di conto, il Codice di cui al comma 2 si attiene, inoltre, ai seguenti ulteriori criteri:

    a) affermazione dell'obbligo della resa del conto della gestione per tutti i soggetti che hanno maneggio di denaro o di valori di pertinenza pubblica;
    b) semplificazione delle norme sul giudizio di conto nel rispetto del principio del contraddittorio;
    c) previsione di forme di condanna adottate dal giudice monocratico in ipotesi di ammanco o di perdita accertata con possibilità di reclamo al collegio;
    d) previsione di forme di controllo amministrativo per tutti i conti da parte delle amministrazioni interessate, con obbligo degli organi di controllo interno di riferire alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti sull'esito delle verifiche;
    e) possibilità di limitare l'esame giudiziale ai conti per i quali siano stati formulati rilievi o contestazioni in sede di controllo amministrativo ovvero da parte di amministratori pubblici o da soggetti, comunque, portatori di interessi collettivi o diffusi;
    f) previsione che in caso di compilazione del conto su ordine del Giudice lo stesso sia trasmesso alla Procura competente corredato da idonea relazione a cura del compilatore.

5. Per il giudizio pensionistico, il Codice di cui al comma 2 si attiene, inoltre, ai seguenti ulteriori criteri:

    a) adeguamento delle norme introdotte dalla legge 21 luglio 2000, n. 205, alle precipue caratteristiche del giudizio pensionistico;
    b) previsione dell'obbligo della notifica del ricorso all'amministrazione in persona del suo rappresentante legale ovvero presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato;
    c) riordino della disciplina in materia di nullità e di inammissibilità del ricorso con previsione delle ipotesi di eventuale declaratoria con decreto presidenziale, prevedendone il reclamo avanti il Collegio;
    d) disciplina del regime e dei termini delle preclusioni e delle decadenze, anche con riguardo alle eccezioni processuali e di merito;
    e) possibilità per il giudice monocratico di riservarsi la decisione da adottare entro trenta giorni dall'udienza di merito;
    f) conferma della competenza del giudice collegiale al processo cautelare e al giudizio di ottemperanza;
    g) compiuta disciplina del processo esecutivo e definizione del regime di impugnazione delle determinazioni assunte dal commissario ad acta.

6. Lo schema del Codice di cui al comma 2, deliberato dal Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, è trasmesso alla Corte dei conti che si pronuncia a sezioni riunite, ai sensi
dell'articolo 1 del regio decreto Legislativo 9 febbraio 1939, n. 273.

7. Lo schema del Codice è successivamente inviato, con apposita relazione cui è allegato il parere di cui al comma 6, alle competenti Commissioni parlamentari, le quali si esprimono entro sessanta giorni dal ricevimento.

8. Il Codice è emanato, decorso tale termine e tenuto conto dei pareri espressi, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa ulteriore deliberazione del Consiglio dei Ministri.

9. Entro dodici mesi dalla scadenza del termine di cui al comma 1, il Governo apporta le eventuali modificazioni e integrazioni, osservando la procedura di cui ai commi 6, 7 e 8. In tal caso, i termini per la pronuncia dei pareri sono stabiliti entro trenta giorni.

Scarica il testo del disegno di legge per la lotta agli sprechi

Sottoscrivi il ddl firmando qui


Ecco le proposte contro lo spreco uscite dal convegno

Qui potete leggere il testo del disegno di legge e di seguito trovate in video interventi al convegno promosso dalla Senatrice Franca Rame.

LIBERA UNIVERSITA' DI ALCATRAZ 9-11 GIUGNO 2006
Convegno sugli sprechi dell'Amministrazione pubblica

I VIDEO SONO STATI GIRATI E MONTATI DA ARCOIRIS TV

Convegno sullo spreco dello stato Italiano - Primo tempo
Convegno contro lo spreco di Stato organizzato dalla Senatrice Franca Rame a Alcatraz, 9-11 giugno 2006.




Convegno sullo spreco dello Stato Italiano - Conclusioni
Convegno contro lo spreco di Stato organizzato dalla Senatrice Franca Rame a Alcatraz, 9-11 giugno 2006.


Arturo Lorenzoni
Arturo Lorenzoni collabora con l'Università di Padova e l'Università Bocconi occupandosi di economia dell'energia. In questa intervista spiega come l'efficienza non significhi riduzione del benessere e l'impatto economico del risparmio.


Compagnia teatrale Itineraria
Fabrizio Di Giovanni e Maria Chiara Di Marco della compagnia teatrale Itineraria presentano il loro spettacolo AccadueOro, premiato dalla Presidenza delle Repubblica con la targa d'argento.


Davide Biolchini
Davide Biolchini è il coordinatore scientifico del Forum Cooperazione e Tecnologie. Intervenendo sul tema dello spreco spiega il paradosso del benessere e quale nuovo immaginario deve scalzare l'attuale visione consumistica.


Eliana Caramelli - Mattia Donadel
Eliana Caramelli e Mattia Donadel, nel corso del 2005 hanno coinvolto 1200 famiglie veneziane in un progetto di consumo consapevole Cambieresti? (consumi, ambiente, risparmio energetico, stili di vita). Ne raccontano l'esito e lanciano la nuova campagna Cambieresti 300x70, trecento famiglie che tentano il contenimento di consumi annui nello standarD di 70 kw.


Marco Marchetti
Marco Marchetti è avvocato e consulente per le amministrazioni pubbliche. In questa intervista spiega perché la Finanziaria del 2006 ha proposto il condono per il danno erariale e perché sugli sprechi esistono responsabilità patologiche.


Corrado Giannone
Corrado Giannone, della Conal, è un tecnologo alimentare. La sua esperienza professionale dimostra come la predilezione per l'uso di prodotti locali nelle mense pubbliche abbia una benefica ricaduta sulla qualità del cibo e sui costi di mantenimento del territorio. Perché far viaggiare la carne di regione in regione? Perché costringere frutta e verdura alla maturazione in cassetta?


Maurizio Fauri
Maurizio Fauri, dell'Università di Trento, si occupa di energia, efficienza e risparmio energetici. Come si può fare un'informazione corretta tra la tanta confusione e i molti profittatori? Quanta energia si può risparmiare e come?


Francesco Zaganelli
Francesco Zaganelli si è da poco laureato in giurisprudenza e ha condotto uno studio sulla difesa dei cittadini dalle clausole vessatorie imposte dai contratti offerti da erogatori di servizi.



Gli sprechi e il debito "pubblico"

Dati di un precedente studio sugli sprechi dello Stato:

I dati che seguono li ho rilevati dalla stampa: La Repubblica, L’Unità, Europeo, Panorama, L’espresso... e da vari libri, di S. Messina, G. Barbacetto, on. Raffaele Costa.
Costi di Montecitorio... detto anche Bengodi!
In un anno (1991) sono stati spesi: 23 miliardi di carta… hanno disboscato l’Amazzonia.
4 miliardi, spuntini e pranzi!
8 miliardi, posta e telefono!
Viaggi deputati: 10 miliardi!...
Riscaldamento: più di 7 miliardi!… Che a Roma, tutti lo sanno, il clima è mite... nei grandi alberghi non c'è quasi mai riscaldamento... non serve! A Montecitorio, un caldo! Tutti nudi!
Trasloco e facchinaggio: oltre 2 miliardi!...
Dentro a Montecitorio eh! Da una stanza all'altra. Cambian Partito... si portan via la scrivania.
9 miliardi: servizio pulizia, lavanderia... e disinfestazione!
Che non serve... la disinfestazione... Non serve... Son tutti lì!
600 milioni di carta igienica!...
Un milione e 643 mila lire al giorno di carta igienica! Bisogna riconoscere che i nostri parlamentari mangian tanto... ma funzionano d'intestino che è un piacere!
A Palazzo Madama la musica non era diversa.
Pomicino... il Cirino… quello del Mastella.
Raffaele Costa racconta che quando era ministro del Bilancio ha stanziato contributi vari, per miliardi… Vi citerò i più stravaganti: tra i più fortunati, i cani: 2 miliardi per l'acquisto di collari per cani... ma i di cani chi? Contributi a 65 monsignori, 30 curie vescovili e 16 ordinari diocesani, affinché possano costruire chiese, abbazie e santuari.
Contributo... - ci deve essere una storia d'amore e abbandono, dietro... - contributo alla "Casa secolare delle zitelle di Udine"!
Contributi all'associazione che cura i rapporti culturali tra Trieste e la Mongolia!
Questi non ricordo da chi siano stati elargiti… (fonte sempre Raffaele Costa) 30 miliardi per il progetto "Leopardi nel mondo"…
Il poeta o i felini?
Abbiamo a Roma due bei palazzotti dove ha sede l'Ispettorato Gestione Enti Disciolti. Pensavo a un refuso. No, proprio disciolti!
In Italia avevamo a quel tempo..., indagherò su oggi, 50.000 enti di cui 634 decretati inutili, ufficialmente disciolti ma in realtà ancora esistenti.
300 impiegati, costo annuo di soli stipendi: 12 miliardi.
Ve ne indico qualcuno di questi Enti: la G.I.L. Gioventù Italiana del
Littorio... L'Ente Tre Venezie che si occupava, ancora, dei beni degli altoatesini che nel '44 optarono per il Terzo Reich... Che son tutti morti gli altoatesini, ma l'Ente è lì!!
L'Ente Orfani di Guerra...
E per finire l'Ente per la distribuzione dei medicinali offertici dagli
americani alla fine della guerra del '45... che se mandi giù un cachet... TAK morto secco!
Negli anni successivi, con la sinistra al governo, checché dica Berlusconi, il debito pubblico è stato ridotto… oggi, pare stia scoppiando.

Anno: 

A Milano c’è un’emergenza. Abbattiamo lo smog subito.

A Milano c’è un’emergenza, Albertini intervenga ora: nella settimana di Natale sospenda il traffico a giorni alterni e raddoppi i mezzi pubblici.

Ormai da oltre 135 giorni (100 giorni in più rispetto al limite imposto dalla UE), le centraline dell’Arpa registrano concentrazioni di Pm10 al di sopra della soglia di attenzione. Il prossimo blocco del traffico sembra previsto per il 29 di gennaio 2006, cioè tra ben 50 giorni (e tra l’altro, guarda caso, nel giorno delle primarie dell’Unione a Milano)!
Le decisioni concrete e tangibili occorrono adesso, non l’anno prossimo, anche se queste dovessero risultare impopolari. Oltre a ridurre subito la concentrazione di inquinanti devono servire a far capire che la situazione non è grave ma gravissima. Oppure circa 1300 morti all’anno non sono rilevanti per il nostro sindaco, che pure è responsabile della salute pubblica? Oppure circa 800.000 giornate di lavoro perse in un anno non riguardano l’economia di questa città? (citiamo i dati raccolti dall’Istituto dei tumori di Milano).

Questo sindaco abbia il coraggio di essere impopolare, - tanto non si ricandida più – e ora assuma due semplici ma necessarie decisioni: nella settimana che precede il Natale sospenda il traffico privato a giorni alterni, e moltiplichi le corse dei mezzi pubblici. Al resto penseremo noi quando governeremo questa città, perché le proposte ci sono: dalla città centrifuga con le “isole di scambio”, dove i pendolari possano lasciare le automobili a prezzi contenuti per usufruire della rete di trasporti pubblici potenziati (in questo senso, la decisione di Trenitalia di rivedere l’orario ferroviario è scandalosa: la trasformazione degli Interregionali in Intercity su alcune delle tratte di maggior utilità per i pendolari in entrata e uscita da Milano - e il conseguente aumento dei prezzi – sono infatti un ulteriore deterrente all’utilizzo del trasporto pubblico), alla disponibilità di auto elettriche a noleggio, di un rete vera di piste ciclabili – ricordiamoci che Milano è in pianura -, a ristabilire orari limitati alle ore congestionate per la consegna delle merci, fino alla chiusura del centro cittadino al traffico privato.

Anno: 

Donca donca trì cunchett fan una cunca

(Modo di dire milanese rivolto a chi sollecita una spiegazione) Come si fa realmente ad affrontare il tema inquinamento e risparmio energetico nonché economico? Il progetto della famiglia FO è già applicabile, lo stanno realizzando con successo a Padova. Schema riassuntivo degli interventi Il Comune di Padova taglia i costi energetici A padova già messi in cantiere 4 dei 5 punti del progetto